George Steiner – Lo spettro della diversità forma un continuum tra i più sottili e in  ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità. Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum.

Salvatore Bravo

 

Lo spettro della diversità forma un continuum tra i più sottili e in  ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità. Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum.

 

 

Verità ed interpretazione

Vi sono opere imperiture, il cui significato polisemico racchiude segretamente la verità della condizione umana, la quale si offre ad una molteplicità di letture, condizionate dalle circostanze storiche. La verità è nella storia e si svela in essa: pertanto vi sono nuclei veritativi filtrati mediante l’orizzonte storico-mondano in cui l’essere umano è situato.

La letteratura greca è fonte di verità, come lo è la filosofia greca: si utilizzano linguaggi differenti ma in entrambe si colgono verità intramontabili. La verità non brilla al di là dello spazio e del tempo; essa è nel mondano, quindi pone problemi interpretativi, e nei differenti periodi storici un particolare aspetto della verità prevale sugli altri. La verità è prismatica e dinamica, è rizomatica, è una unità che contiene e relaziona una pluralità di aspetti tra di loro razionalmente congiunti in una fitta rete di relazioni.

La letteratura e la filosofia greca non possono essere spiegate con il semplice rapporto struttura-sovrastruttura. Tale consapevolezza era presente anche in Marx. La verità eccede la storia, pur vivendo in essa. Ogni semplicismo rischia di introdurre l’irrazionale, e l’irrazionale comporta una contrazione della capacità di decodificare la verità nel suo disvelamento storico.

Il mondo greco è per Marx un problema, poiché sfugge alle categorie del materialismo: vi è in esso un’eccedenza che esige altre categorie per poter essere interpretato e compreso. La verità della condizione umana ha un nucleo profondo che sfugge all’applicazione meccanica di taluni schemi preordinati:

 

«Nell’Introduzione alla critica dell’economia politica, Marx cerca di raffinare il modello ingenuo e sociologicamente rozzo delle relazioni tra la “sovrastruttura” estetico-ideologica di una cultura e la sua base economica sociale. Secondo Marx, non è possibile formulare un’equazione semplicistica e univoca di tali relazioni che sono molto più sottili sia in rapporto al carattere del clima ideologico o artistico di una determinata comunità, sia agli stadi temporali dell’evoluzione sociale».[1]

 

D’altra parte la verità di una “civiltà altra” non ci giunge nell’oggettività abbagliante del mattino, ma essa deve implicare uno sforzo ermeneutico e una tensione dialettica capaci di un doppio movimento: si arretra dinanzi ad essa, poiché consapevoli dell’alterità filtrata mediante schemi, giudizi e pregiudizi del proprio tempo storico al fine di approssimarsi alla sua presenza senza l’arrogante pretesa di possederla:

 

«Quando arriva a noi dall’Antigone di Sofocle, il “significato” è distorto nella sua struttura originaria proprio come la luce sellare è deformata quando arriva a noi attraverso il tempo e campi gravitazionali successivi».[2]

 

Dai Greci siamo distanti e vicini, le loro verità sono le nostre, ma nel contempo il vissuto storico le fa apparire in modo diverso e dona ad esse una diversa configurazione. Gli esseri umani sono proiettivi, pertanto per decodificare l’alterità e la verità è opportuno il lavoro dello spirito senza il quale nessuna interpretazione risulta razionale e ben fondata.

 

Le Antigoni

L’Antigone di Sofocle è un’opera eterna: si dispiega davanti a noi non una semplice tragedia, ma l’umanità nei suoi complessi conflitti dialettici. Il male è l’opposizione senza sintesi: se il particolare e l’universale guerreggiano senza la capacità di sintesi del concetto, si è colti dalla rovina. La vita sociale e politica è attività dialettica finalizzata a conciliare ciò che pare-appare opposto. Eraclito,[3] nel frammento 51, già affermava la necessità dell’unità degli opposti: la verità è l’unità nella quale gli opposti ridisegnano posizioni e significati. L’armonia non è nella sclerotizzazione della vita, ma nel confliggere fecondo e consapevole.

La tragedia del nostro tempo storico è la cultura della cancellazione degli opposti: il conflitto è sostituito dall’omologazione. La verità senza opposti riposizionati nel reciproco riconoscimento è solo “il niente” ideologico. Il conflitto concettuale è stato sostituito dal confliggere crematistico senza riconoscimento delle autocoscienze nella loro specificità materiale e di genere.

Hegel ha interpretato l’Antigone, ne ha colto un aspetto eterno, ovvero in Antigone il conflitto conduce alla rovina, poiché il polo femminile (Antigone) e il polo maschile (Creonte) non ammettono la sintesi. Il dialogo è solo un atto di forza, poiché entrambi non ascoltano e rifiutano il polo opposto che vive in ciascuno. Creonte non ascolta Antigone con le sue ragioni, poiché è distante dal suo polo femminile, e lo stesso avviene in Antigone. Entrambi sono irrigiditi dall’incapacità di pensare e vivere il proprio nucleo profondo nel quale vi è una sintesi che se pensata-vissuta favorisce l’ascolto e la comunicazione:

 

«I riti funerari, poiché rinchiudono letteralmente il morto nello spazio della terra e nella sequenza fantomatica delle generazioni, che sono alla base del mondo famigliare, sono un compito specificatamente femminile. Quando tale compito tocca a una sorella, qualora l’uomo non abbia né madre né moglie che lo riportino alla terra custode, i riti funebri acquistano la massima sacralità. L’atto di Antigone è il più sacro che una donna possa commettere. È anche ein Verbrechen: un crimine. Ci sono situazioni in cui lo stato non è pronto a rinunciare alla propria autorità sui morti».[4]

 

Per Hölderlin Antigone è una “santa pazza”, è il polo dionisiaco, è la verità aorgica che vive solo in relazione alla razionalità apollinea. Resecare i due poli significa spezzare la profondità della razionalità. Senza dualità nell’unità non vi può che essere irrazionalità e una pericolosa scissione in cui le parti prendono il sopravvento fino alla morte. L’unità è nella dualità dei poli: Antigone sente le potenze profonde della vita, la sua sacralità terrena e trascendente, ma è respinta dalla razionalità della polis e dai suoi poteri. Antigone mostra con la sua rivolta e il suo dolore la parzialità dell’altro polo, nella lotta palesa che vi è altro oltre l’ordine stabilito, nel contempo è sull’abisso dell’irrazionale, poiché in lei vi è il prevalere di un solo aspetto:

 

«Ella è la quintessenza dell’Antitheos, di cui il poeta aveva parlato nella lettera a Böhlendorff, nel dicembre 1801. Il che significa che Antigone fa parte di coloro che si pongono di fronte a Dio o agli dèi (Hölderlin usa alternativamente queste due espressioni) con atteggiamento contrario, avverso, polemico. Ma questa opposizione, questo attacco agonistico rappresentano una forma sublime di devozione. […] I punti di riferimento di Hölderlin sono di natura filosofica. Proprio come Empedocle e come Rousseau, secondo la descrizione che Hölderlin ne dà nell’ode “Der Rhein” (Il Reno), Antigone è una “pazza santa” (törig göttlich)».[5]

 

Maschile e femminile nell’Antigone

George Steiner individua il dramma e la verità dell’Antigone nel rifiuto della differenza profonda: ciascun uomo reca con sé il maschile con un fondo femminile e lo stesso accade nella donna. Una società sana consente l’ascolto del sottofondo che completa la disposizione di genere prevalente senza cancellarla. La comunicazione interiore non può che favorire e incentivare le relazioni positive tra i due generi. Antigone rappresenta il rifiuto di tale positiva ambiguità che non chiede la rinuncia o la negazione di nessun polo, ma consente una proficua comunicazione-sintesi. Nella tragedia di Sofocle è rappresentata la negazione, e l’incomunicabilità tra le due figure è il segno di una resecazione interiore proiettata all’esterno. Antigone e Creonte sono l’uno speculare all’altro:

 

«Il germe di tutto il dramma sta nell’incontro tra un uomo e una donna. Nessuna esperienza di cui abbiamo diretta conoscenza è portatrice di un maggiore potenziale conflitto. Essendo inalienabilmente una sola cosa, in virtù dell’umanità che li separa da ogni altra forma di vita, uomo e donna sono allo stesso tempo inalienabilmente diversi. Lo spettro della diversità. Come sappiamo, forma un continuum tra i più sottili. In ogni essere umano sono presenti elementi di mascolinità e di femminilità (ogni incontro, ogni conflitto è, di conseguenza anche una guerra civile all’interno del proprio io ibrido). Ma la maggior parte degli uomini e delle donne cristallizza la propria essenziale virilità o femminilità in qualche punto di questo continuum. Questa riunione della personalità divisa, questa composizione dell’identità, creano una breccia attraverso la quale le forze dell’amore e dell’odio si congiungono».[6]

 

Il tempo attuale è nel segno della separazione da sé e dall’alterità. le innumerevoli tragedie sono il sintomo di una realtà sociale ed economica che ha cancellato la bella unità nella differenza sostituendola con forme manierate e artefatte congegnali al sistema capitalistico. Ovunque si assiste ad una imitazione del femminile e del maschile senza autenticità e relazioni. Estetiche e scelte sono dettate dal sistema, sono curvate dall’industria del maschile e del femminile ad uso e consumo del mercato. La violenza non può che generare se stessa. Senza la letteratura greca e la filosofia l’Occidente è avviato alla decadenza, poiché si priva di opere in cui può guardarsi e pensarsi.

[1] George Steiner, Le Antigoni. Un grande mito classico nell’arte e nella letteratura dell’Occidente, Garzanti, 2003, pag. 142.

[2] Ibidem, pagg. 232-233.

[3] Eraclito, frammento 51: «Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira».

[4] George Steiner, Le Antigoni, cit., pag. 45.

[5] Ibidem, pag. 93

[6] Ibidem, pagg. 262-263.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Rob Riemen – «La nobiltà di spirito. Elogio di una virtù perduta»: La cultura, come l’amore, non ha il potere di costringerre. Non offre garanzie. L’unica possibilità di conquistare e difendere la nostra dignità di uomini ce la offrono la cultura e una educazione libera.

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«La cultura, come l’amore, non ha il potere di costringerre.
Non offre  garanzie.
Ciò nonostante, l’unica possibilità di conquistare e difendere la nostra dignità di uomini
ce la offrono proprio la cultura e una educazione libera».
Rob Riemen

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Rob Riemen

La nobiltà di spirito.

Elogio di una virtù perduta

189 pagine, Rizzoli, 2010

“I valori umanistici classici implicano una fondamentale fiducia nel potere, sempre imperfetto ma costantemente corroborato, dello spirito umano” afferma George Steiner. Portavoci, spesso incarnazioni di questi valori furono grandi figure come Socrate, Baruch Spinoza, Walt Whitman, Thomas Mann e Leone Ginzburg. La consapevolezza di vivere un’epoca di crisi, segnata dalla guerra o dall’abbrutimento, ma soprattutto la strenua volontà di opporsi alle derive del loro tempo ne accomuna il lascito umano e intellettuale: la determinazione a non perdere di vista la destinazione morale dell’essere umano, anche nelle tenebre della storia, anche nel fondo di un carcere. In “La nobiltà di spirito” Rob Riemen si sforza di mettere in salvo il messaggio di queste grandi figure “inattuali” per legarle al nostro travagliato presente, ricostruendo una genealogia spirituale che va dall’Atene di Pericle all’Europa dei totalitarismi. Ripercorre una catena di esistenze esemplari spese alla ricerca di una libertà che non sia arbitrio, ma aspirazione a una vita giusta; di una saggezza che non sia erudizione, ma inseguimento dell’assoluto pur nell’imperfezione della conditio humana; di un coraggio che non sia vanagloria, ma forza di lottare per gli ideali intramontabili dell’umanesimo occidentale. (Prefazione di George Steiner)

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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George Steiner – Il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo. In esso l’identità e la presenza storica dell’uomo si esplicano in maniera unica. La cultura è una forza umanizzatrice? Le energie dello spirito sono trasferibili a quelle del comportamento?

George Steiner 01

«Il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo, in esso l’identità e la presenza storica dell’uomo si esplicano in maniera unica. È il linguaggio che separa l’uomo dai codici segnaletici deterministici, dalle disarticolazioni, dai silenzi che abitano la maggior parte dell’essere. Se il silenzio dovesse tornare di nuovo in una civiltà in rovina, sarebbe un silenzio duplice, forte e disperato per il ricordo della Parola».

«Quali sono i rapporti del linguaggio con le atroci falsità che esso è stato costretto ad articolare e a consacrare in certi regimi totalitaristici? O con la gran congerie di volgarità, imprecisione e cupidigia di cui è saturo in una democrazia di consumatori
di massa?».

«L’edificio dell’umanesimo classico, il sogno della ragione che animava la società occidentale, si è in gran parte infranto. […] Pensare alla letteratura, all’educazione, al linguaggio, come se non fosse successo nulla di molto importante in grado di sfidare il concetto stesso che noi abbiamo di tali attività, non mi sembra affatto realistico. […] Noi veniamo dopo [dopo i campi di sterminio, dopo Hiroshima e Nagasaki, dopo i campi di sterminio in Cile e in Argentina, dopo …]. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale
e ipocrita. In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento?
[…] Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano?».

George Steiner, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano, Garzanti, Milano 2001.

 

 

 

 

  • «Tra il 1976 e il 1982, durante la dittatura militare argentina, migliaia di cittadini sono stati gettati vivi in mare. Oggi i responsabili di questi crimini, camminano liberi per le strade». Così iniziano i titoli di coda del film.
  • «Al piano di sopra c’erano 50 monitor televisivi con la bandiera argentina su cui scorrevano i nomi dei desaparecidos, mentre il sonoro riproponeva i gol del campionato del mondo di calcio del 1978. Al piano di sotto, in un sotterraneo, avevo cercato di ricostruire in modo astratto e concettuale l’idea di un campo di concentramento…». (il regista del film Marco Bechis su Duel, febbraio 2000).