Penelope ed Ulisse nel talamo nuziale, 1563 ca, dipinto di Francesco Primaticcio.
«[…] Se veramente
è Odisseo e a casa è tornato, certo noi due
ci riconosceremo anche meglio: perché anche noi
abbiamo dei segni, che noi soli sappiamo, nascosti agli estranei».
Omero, Odissea, XXIII, 106-110.
«A Penelope non bastano né la cicatrice né i ricordi né la semplice dichiarazione del suo nome. Lei diffida, vuole qualcosa in più. Per credere, per riconoscere davvero e senza dubbi che quell’uomo vestito di cenci è veramente il suo Ulisse, Penelope ha bisogno di un indizio molto privato, che appartenga solo a lei, alla sua vita col marito. Quando ordinerà ai servi di portare in sala il loro Ietto, Ulisse le fornirà la prova: no, quel letto non si sposta perché lui lo ha costruito intagliando lo direttamente sul tronco di un vecchio ulivo. Questo è il segno privato, che solo lui poteva conoscere, dunque l’unico che possa convincerla.
Secondo me, bisognerebbe continuare a distinguere pubblico e privato, oggi come ieri. Soprattutto bisognerebbe ancora considerare alcune cose soltanto e rigorosamente private, invece di divulgarle e condividerle, rendendo le universalmente pubbliche. Se Ulisse avesse rivelato a mezzo mondo d’aver costruito il letto coniugale sul tronco di un ulivo, chiunque avrebbe potuto spacciarsi per lui. E Penelope non avrebbe mai riconosciuto veramente il suo sposo.
Dovremmo pensare a Penelope, ogni volta che mandiamo una foto o un video ad altri, immettendoci nella scia della condivisione cosmica. Ogni volta che spediamo via etere l’immagine della pizza che stiamo per addentare, del cane che ci fa le feste, di noi abbracciati alla persona amata, o la prima ecografia del bambino che aspettiamo, dovremmo chiederci che cosa stiamo facendo, e distinguere che cosa mandare in giro e cosa tenere per noi, che cosa può appartenere anche agli altri, e a chi, e che cosa invece appartiene solo a noi. […]
Il segno del letto scolpito nell’ulivo scioglie a Penelope le ginocchia, e il cuore. Ma, anche, rassicura Ulisse della fedeltà di sua moglie, di quanto saldo (radicato!) sia rimasto il loro legame, attraverso cui egli può finalmente ritrovarsi dopo vent’anni: è proprio negli occhi di Penelope che Ulisse riconosce se stesso. Si vede, specchiato. Come dicono Françoise Frontisi-Ducroux e Jean-Pierre Vernant, nel loro libro di qualche anno fa, Ulisse e lo specchio. I segreti ci specchiano, dunque.
Per questo è bene che conserviamo e coltiviamo i nostri segreti, le zone biografiche nascoste e solo nostre; manteniamole all’ombra e riserviamole davvero a pochi, soltanto a coloro nei quali è bello riconoscerci, ritrovare quel che siamo come in uno specchio, anche dopo lunghi viaggi, peregrinazioni, naufragi. Non priviamoci della salvezza, solo per il gusto estemporaneo di sentirei al centro dell’universo condividendo un selfie, una foto, un
video. Il centro è sempre altrove e comunque gli angoli ombrosi hanno un fascino ineguagliabile».
Paola Mastrocola, Il Sole 24 Ore, Domenica 27 novembre 2016, p. 49.
- La gallina volante, Parma, Guanda, 2000.
- Palline di pane, Parma, Guanda, 2001
- Una barca nel bosco, Parma, Guanda, 2004.
- La scuola raccontata al mio cane, Parma, Guanda, 2004.
- Che animale sei? Storia di una pennuta, Parma, Guanda, 2005.
- Più lontana della luna, Parma, Guanda, 2007.
- E se covano i lupi, Parma, Guanda, 2008.
- La narice del coniglio, Milano, Corriere della Sera, 2008; Parma, Guanda, 2009
- La felicità del galleggiante. Poesie 1995-2009, Parma, Guanda, 2010.
- Facebook in the rain, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2011; Parma, Guanda, 2012.
- Togliamo il disturbo, Saggio sulla libertà di non studiare, Parma, Guanda, 2011.
- Non so niente di te, Torino, Einaudi, 2013.
- L’esercito delle cose inutili, Torino,2015.
- La passione ribelle, Roma-Bari, Laterza, 2015
Saggi di Paola Mastrocola
- La forma vera. Petrarca e un’idea di poesia, Bari, Laterza, 1991.
- La fucina di quale dio, Torino, Genesi, 1991.
- Le frecce d’oro. Miti greci dell’amore, Torino, SEI, 1994.
- L’altro sguardo. Antologia delle poetesse del Novecento, a cura di e con Guido Davico Bonino, Milano, A. Mondadori, 1996.
- Nimica fortuna. Edipo e Antigone nella tragedia italiana del Cinquecento, Torino, Tirrenia Stampatori, 1996.
- L’idea del tragico. Teorie della tragedia nel Cinquecento, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998.
- E se divento grande. Storia del giovane Agostino, Torino, SEI, 1999.
F. FRONTISI-DUCROUX e J.-P. VERNANT
Ulisse e lo specchio
Il femminile e la rappresentazione di sé nella Grecia antica
Quarta di copertina
Perché, nella Grecia antica, gli uomini rifiutavano di guardarsi allo specchio? E perché il suo uso era riservato solo alle donne? Attorno al tema dello specchio ruota l'argomentazione di questo libro, che si apre e si chiude sulla figura di Ulisse. Tornato ad Itaca, l'eroe deve riconquistare la propria identità, insieme con il proprio status di re. Ma simile riconquista sarà possibile solo con il pieno benestare di Penelope. Per Ulisse è dunque questione di identità: di identità maschile, giacché solo i maschi per quella cultura ne hanno diritto. Ma le donne sono costantemente presenti in questa ricerca di sé da parte dell'uomo greco. Senza di loro, questo riconoscimento non sarebbe possibile. Lo specchio, messo in mano alle donne, diviene dunque il mediatore simbolico del rapporto tra i sessi, la via per il riconoscimento di sé, attraverso la mediazione del femminile. Non a caso lo specchio di Venere - il cerchio sopra la croce che ancor oggi rappresenta il simbolo della femminilità - si riflette nell'arco di Apollo - il cerchio da cui sale una freccia obbliqua che denota il maschile - che ad esso in qualche modo si ispira. A partire da una ricchissima messe di materiali artistici e letterari, Jean-Pierre Vernant e Françoise Frontisi-Ducroux mostrano in questo libro godibilissimo come i greci percepivano se stessi e vedevano le loro donne, ripercorrendo i primi fondamenti dell'auto-rappresentazione nella storia della nostra civiltà.
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