Karl Marx (1818-1883) – Non è per vergogna che si fanno le rivoluzioni. La vergogna è già una rivoluzione, è una sorta di ira che si rivolge contro se stessa. E se un’intera nazione si vergognasse realmente, diventerebbe simile a un leone, che prima di spiccare il salto si ritrae su se stesso.

Karl Marx- A. Ruge

Non è per vergogna che si fanno le rivoluzioni.
La vergogna è già una rivoluzione, è una sorta di ira che si rivolge contro se stessa.
E se un’intera nazione si vergognasse realmente,
diventerebbe simile a un leone,
che prima di spiccare il salto si ritrae su se stesso.

Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dommi,
bensì mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a se stessa,
sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico.

Auto-chiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo
in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri.
Questo è un lavoro per il mondo e  per noi.

K. Marx

 

 

Karl Marx ad Arnold Ruge. Sul battello per D., marzo 1843

Io viaggio in Olanda. In base ai giornali locali e francesi, la Germania è caduta nel fango e vi sprofonda sempre di più. Le assicuro che, benché privi di orgoglio nazionale, si sente lo stesso la vergogna nazionale, specie in Olanda. L’ultimo degli olandesi è ancora il cittadino di uno Stato, rispetto al primo dei tedeschi. E i giudizi degli stranieri sul governo prussiano! Prevale un accordo spaventoso: nimo si illude più su tale sistema e sulla sua reale natura. La nuova scuola è pur servita a qualcosa: l’abito di gala del liberalismo è caduto, e il più ripugnante dispotismo è esibito agli occhi di tutto il mondo in tutta la sua nudità.
 Pure questa è una rivelazione, benché a rovescio. È una verità che almeno c’insegna la vacuità del nostro patriottismo, la mostruosità del nostro Stato, e a coprirci il viso. Lei mi scruterà sorridendo e mi chiederà: «cosa si è guadagnato con ciò? Mica per vergogna si fa rivoluzione». Rispondo: «la vergogna è già una rivoluzione; è la vittoria della Rivoluzione francese sul patriottismo tedesco, dal quale essa fu vinta nel 1813». La vergogna è una sorta di ira contro di sé. E se davvero un’intera nazione si vergognasse, sarebbe come un leone che si china per spiccar il balzo. Invero, in Germania ancora non esiste la vergogna: i tedeschi sono miserabili patrioti tuttora. Ma quale altro sistema potrebbe purgare il loro patriottismo, se non questa buffonata del nuovo cavaliere Federico Guglielmo IV di Prussia? La commedia del dispotismo che ci è recitata è per lui altrettanto pericolosa quanto lo fu a suo tempo la tragedia per gli Stuart e i Borboni. E benché per un lungo periodo tale commedia non fosse considerata per quello che è, pure sarebbe già una rivoluzione. Lo Stato è una cosa troppo seria per farne un’arlecchinata. Una nave carica di matti spinta dal vento potrebbe forse veleggiar a lungo; ma essa andrebbe comunque verso il suo destino, proprio perché i pazzi non ci crederebbero. Questo destino è la rivoluzione che ci sovrasta.

Le tre lettere di Marx a Ruge comparse negli Annali facevano parte di un corpus, presentato sotto il titolo Un carteggio del 1843, nel quale si trovava anche una lettera di Feuerbach a Ruge, datata giugno 1843. Marx e Ruge, in effetti, avevano contattato Feuerbach – che, all’epoca, rappresentava per eccellenza la filosofia dell’avvenire – auspicando una comunione di intenti. La lettere di Feuerbach a Ruge, dove il filosofo esprimeva la sua adesione allo spirito che dirigeva il progetto della rivista, conteneva questa riflessione.

Che cos’è teoria, che cos’è pratica? Dov’è la differenza? Teorico è ciò che ancora si limita soltanto alla mia testa, pratico ciò che appare nelle teste di molti. Ciò che unisce molte teste fa massa, si dilata e si fa posto nel mondo. La possibilità di creare un organo nuovo per il nuovo principio è un tentativo che non va tralasciato.

 

Arnolde Ruge e Karl Marx, Annali franco-tedeschi, a cura di Gian Mario Bravo e con traduzione ad opera di Anna Pegoraro Chiarloni e Raniero Panzieri, Milano Edizioni del Gallo, 1965. Il passo in questione è contenuto a p. 78



«Non vorrei che noi innalzassimo una bandiera dogmatica; al contrario. Noi dobbiamo cercare di venire in aiuto ai dogmatici, affinché chiariscano a se stessi i loro principi. Così soprattutto il comunismo è un’astrazione dogmatica, e con ciò mi riferisco non a un qualsiasi, presunto ed eventuale comunismo, bensì al comunismo realmente esistente, quale lo professano Cabet, Dézamym Weitling ecc. Questo comunismo è proprio solo una manifestazione particolare del principio umanistico, contaminato dal suo opposto, l’elemento privato. Abolizione della proprietà privata e comunismo, quindi, non sono affatto identici e non a caso, bensì necessariamente, il comunismo si è trovato di fronte ad altre dottrine socialiste, come quelle di Fourier, Proudhon ecc., proprio perché esso spesso non è che un’attuazione particolare, unilaterale, del principio socialista». (ibidem, p. 81)



«Nulla ci impedisce quindi di collegare la nostra critica alla critica politica, alla partecipazione politica, perciò alle lotte reali, e di identificarle con esse. Allora non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, inginocchiatevi! Attraverso gli stessi principi del mondo noi illustreremo al mondo nuovi principi. Non gli diremo: «Abbandona la tua lotta, è una sciocchezza; noi ti grideremo la vera parola d’ordine della lotta». Gli mostreremo soltanto perché effettivamente combatte, poiché la coscienza è una cosa de deve far propria.

La riforma della coscienza consiste solo nel rendere il mondo consapevole di se stesso, nel ridestarlo da suo ripiegamento trasognato, nello spiegargli le sue proprie azioni. Come per la critica della religione di Feuerbach, il nostro scopo non è altro che condurre alla forma umana autocosciente tutte le questioni religiose e politiche». (ibidem, pp. 82-83)



«Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non mediante dommi, bensì mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico. Si vedrà allora come da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza per possederla realmente. Sarà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, ma di realizzare le idee del passato. Si vedrà infine come l’umanità non incominci un lavoro nuovo, ma venga consapevolmente a capo del suo antico lavoro.

Possiamo dunque sintetizzare in una parola la tendenza della nostra rivista: auto-chiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un lavoro per il mondo e  per noi. Esso può derivare solo da un’unione di forze. Si tratta di una confessione, non d’altro».

Per farsi perdonare le sue colpe, l’umanità non ha che da dichiararle per ciò che esse sono. (ibidem, p. 83).



***

Karl Marx – Cristalli di denaro: “auri sacra fames”
Karl Marx – Il denaro è stato fatto signore del mondo
Karl Marx – Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore
Karl Marx – La natura non produce denaro
Karl Marx (1818-1883) – A 17 anni, nel 1835, già ben sapeva quale sarebbe stata la carriera prescelta: agire a favore dell’umanità.
Karl Marx (1818-1883) – Il capitale, per sua natura, nega il tempo per una educazione da uomini, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali, per le relazioni con gli altri, per il libero gioco delle forze del corpo e della mente.
Karl Marx (1818-1883) – La patologia industriale. La suddivisione del lavoro è l’assassinio di un popolo
Karl Marx (1818-1883) – Sviluppo storico del senso artistico e umanesimo comunista. La soppressione della proprietà privata è la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane. Il comunismo è effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, è reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo
Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.
Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.
 
Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.
Karl Marx (1818-1883) – Noi non siamo dei comunisti che vogliono abolire la libertà personale. In nessuna società la libertà personale può essere più grande che in quella fondata sulla comunità.
Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.
Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.
Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”
Karl Marx (1818-1883) – L’arcano della forma di merce. A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Ecco il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.
Karl Marx (1818-1883) – Ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista equivale a un progresso non solo nell’arte di DERUBARE L’OPERAIO, ma anche in quella di SPOGLIARE LA TERRA, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle fonti durevoli di tale fertilità
Karl Marx (1818-1883) – Il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio è essenzialmente protestante. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi.
Karl Marx (1818-1883) – L’uomo «totale», è l’uomo che si appropria del suo essere onnilaterale. L’uomo ricco è l’uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la propria realizzazione esiste come necessità interna, in una società in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Ludwig Feuerbach (1804-1872) – Il fine è il condimento di un Esserci e di una vita. Solo il fine tiene distante il Nulla. Ogni istante è una sorsata che vuota fino in fondo il calice dell’infinità. In quanto ente che ha coscienza, sei nella coscienza. In quanto ente che pensa, sei nello Spirito.

Feuerbach Ludwig 01

Senza differenza non v’è alcun fine; il fine esclude l’eguale.
Il fine è il condimento di un Esserci e di una vita.
Solo il fine tiene distante e trattiene qualcosa dal Nulla.
Tutto ciò che è non è senza una fine e senza dei limiti.
Solo il Nulla è privo di limite

Una cosa indifferente è una cosa priva di contenuto o priva di determinazione.
Sii Qualcosa, ed allora sarai Tutto.
La vita stessa, in sé e per sé, in quanto Essere pieno di significato
e ricco di contenuto, assolutamente determinato ed effettuale, è vita eterna, immortale
.

Ogni istante della vita è Essere realizzato.
Ogni istante è una sorsata che vuota fino in fondo il calice dell’infinità.

Un Essere indifferente non è nient’altro che un semplice Essere temporale.
È il contenuto, non il tempo, che differenzia il tempo.
Ogni istante pieno, in quanto pieno, è eternità ed infinità.

 

Eternità è forza, energia, azione attiva, vittoria vincente.
È azione attiva solo se nel tempo è oltre il tempo.
Vincente è solo colui che si eleva oltre l’infelicità, non colui che sonnecchia.

In quanto ente che ama, tu sei nell’amore.
In quanto ente che ha coscienza, sei nella coscienza.

In quanto ente che pensa, sei nello Spirito.
In quanto ente che vive, sei nella vita infinita stessa.

«[…] se due oppure alcuni si eguagliano nel fatto di contenere la stessa vita, allora sempre soltanto uno di essi sarà necessario e non sarà invano, poiché di due cose che sono perfettamente eguali una è priva di fine. Se io sapessi che già una volta sono esistito sulla Terra, che vi è stato un secondo ente del tutto identico a me, subito mi precipiterei nell’abisso del Nulla, nella persuasione di essere un ente privo di fine; non potrei sopportare questo orrendo scherno e questo ghigno satanico verso me stesso. Infatti, senza differenza non v’è alcun fine; il fine esclude l’eguale, il semplicemente plurale, la ripetizione duplice [Zweimal], il doppio; soltanto nella mia particolarità, nella mia determinatezza, nel mio differenziarmi risiede il fondamento, il fine, la ragione del mio Esserci.
Una cosa ha bisogno di esistere solo una volta; se esiste una seconda volta in maniera del tutto identica, allora è priva di fine.
Il fine è il condimento di un Esserci e di una vita; è esclusivamente attraverso questo condimento che l’Esserci e la vita acquistano sapore; ma l’Esserci e la vita hanno condimento e sapore soltanto se sono una volta sola.
Se la Terra avesse tra le stelle un fratello tanto eguale, un tale alter ego, piena di collera per questo suo Esserci privo di sapore e di gusto si precipiterebbe, senza dubbio, nel baratro del Nulla; infatti solo il fine tiene distante e trattiene qualcosa dal Nulla. […] È certamente indubitabile che si possano rappresentare, cioè che si possano immaginare, enti superiori, poiché l’immaginazione è, appunto, priva di confini e perciò priva di ragione; ma se questi enti immaginati esistano in altro luogo che non nell’immaginazione, e se questi immaginati enti superiori siano effettivamente superiori, è una questione alla quale senza dubbio si deve rispondere negativamente, ove si seguano i limiti e le leggi che la realtà effettiva, la ragione e la verità prescrivono. Infatti quella immaginazione non è appunto nient’altro che una immaginazione e perciò, tanto nelle sue conseguenze quanto nel suo fondamento, priva di ragione. Se, infatti, si oltrepassa l’uomo, se si oltrepassa l’effettivo confine dell’ente vivente individuale, allora ogni confine che viene posto è un confine assunto solo arbitrariamente, un confine solo immaginato» (pp. 91-92).

«Tutto ciò che è non è senza una fine e senza dei limiti […]. Essere, determinatezza, limite sono posti contemporaneamente, l’un con l’altro; solo il Nulla è privo di limite. […] V’è soltanto un’arma contro il Nulla, e questa arma è il confine; esso è l’unico punto d’arresto di una cosa, la trincea del suo Essere. Il limite, infatti, non è un qualcosa di esterno […]». (p. 101)

«[…] l’indifferenza o la non-indifferenza d’una cosa dipende esclusivamente dalla sua mancanza di contenuto o dal suo contenuto. Una cosa indifferente è una cosa priva di contenuto o priva di determinazione. […] Essere immortale vuol dire, in verità, Essere-qualcosa, poiché con il Qualcosa è superata la mancanza di significato, con il superamento della mancanza di significato è superata l’indifferenza e la casualità, e con il superamento di queste è superata la mortalità. Soltanto la peculiarità ha significato; la fine o l’assenza di fine sono senza interesse, sono privi di senso e privi di significato per la peculiarità. Sii Qualcosa, ed allora sarai Tutto. La fine è una negazione priva di Spirito e di intelletto, la mancanza della fine è una affermazione priva di Spirito e di intelletto. Ma la vita stessa, in sé e per sé, […], in quanto Essere pieno di significato e ricco di contenuto, assolutamente determinato ed effettuale, è vita eterna, immortale. Immortale è ciò che è fine a se stesso. Il fine di una cosa è il suo significato, il suo significato è ciò che la costituisce ed il suo valore, ciò che la costituisce e il suo contenuto, il suo contenuto sono le sue determinazioni; ma la vita è l’Essere che in sé e per sé, già in quanto Essere, ha in sé il suo valore, il suo dato costitutivo [Gehalt] ed il suo significato, che in questa sua unità con il suo significato è, dunque, fine a se stessa, e, conseguentemente, immortale.
Ogni istante della vita è Essere realizzato, di significato infinito, posto di per se stesso attraverso se stesso, soddisfatto in se stesso, pienezza conchiusa e appagata della effettualità, affermazione illimitata di se stesso; ogni istante è una sorsata che vuota fino in fondo il calice dell’infinità, un calice che, come il calice miracoloso di Oberon, sempre si riempie ogni volta da solo. La vita è musica celeste che il sublime artista dell’universo fa magicamente apparire dallo strumento della natura. Gli stolti dicono che la vita sia un semplice e vuoto suono, che essa passi come il fiato, che si disperda come il vento.
Ma la vita è musica ed ogni istante è una melodia oppure un suono pieno, colmo di anima e ricco di Spirito. Il vento sibila nelle mie orecchie, ma è senza contenuto e significato; la sua essenza è caducità priva di essenza e di contenuto, un soffiare ed un disperdersi senza interesse, indifferente. Il suono, invece, è musica, è pienezza, è Essere pieno, fondamento di se stesso, fine, contenuto che sussiste in se stesso. Anche i suoni della musica passano, ma ciascun suono è pieno di Essere, ha significato in quanto suono; di fronte e questo significato intimo, di fronte all’anima del suono, svanisce, come un Nulla e come un qualcosa di insignificante, la caducità. Il vuoto suono è compreso solo nel flusso del passare; infatti il momento presente, nel suono, non si distingue dal momento passato e da quello futuro, ed a causa di questa uniformità priva di distinzioni, a causa di questa ripetizione dell’uno e medesimo, il suono stesso è caducità indifferente e finitudine. Al contrario, il suono in quanto istante pieno, colmo di contenuto, è un momento temporale determinato, differenziato; questa pienezza, questo contenuto, è il suo fine ed il suo significato; con questa sua differenza, con questa sua peculiarità e con questo suo contenuto svanisce l’indifferenza del suo Esserci, e con lo svanire della sua indifferenza svanisce la sua semplice temporalità, poiché l’indifferenza dell’Essere è la semplice temporalità del medesimo: un Essere indifferente non è, in verità, nient’altro che un semplice Essere temporale. Un Essere solo temporale è un Essere nel quale l’esser-presente, l’esser-futuro e l’esser-passato non si distinguono l’un dall’altro, poiché nel tempo in quanto tale non v’è alcuna differenza; il momento temporale presente, in quanto semplice momento temporale, non è né distinto né separato dal momento temporale passato. È il contenuto, non il tempo, che differenzia il tempo. Esclusivamente attraverso la sua peculiarità il momento presente è un momento determinato, in quanto è un momento differenziato.
Ogni Qualcosa, ogni contenuto è perciò intemporale ed oltretemporale, ogni confine nel tempo è un confine, una negazione, del tempo stesso, ogni istante pieno, in quanto pieno, è eternità ed infinità.
L’eternità non è nient’altro che la pienezza, la peculiarità e la determinazione del tempo, in quanto è la negazione attiva, effettuale, del tempo nel tempo; è appunto pienezza, determinazione del tempo. Eternità è forza, energia, azione attiva, vittoria vincente.
Ma essa è azione attiva solo se nel tempo è oltre il tempo, solo se nel tempo nega il tempo.
Vincente è solo colui che si eleva oltre l’infelicità, solo colui che nell’infelicità nega e sconfigge l’infelicità, ma non colui che sonnecchia, aldilà dell’infelicità, nel molle grembo della Fortuna.
Il suono è suono solo per il fatto che nel passare è la negazione del passare, per il fatto che è un suono non semplicemente temporale, bensì, nella sua temporalità, un suono determinato, pieno di contenuto, negatore della temporalità medesima.
Certo, il suono è breve oppure lungo; ma non è nient’altro che breve o lungo? Certo, passa anche questa sonata stessa, in essa questi singoli suoni sono ora brevi ora lunghi; essa non viene suonata in eterno. Ma io ti domando, come chiameresti colui che, mentre la sonata viene eseguita, non ascoltasse bensì si limitasse a calcolare la durata dei suoni separatamente dal loro contenuto, e che, in questa separazione, facesse della temporalità suo proprio oggetto e, allorché la sonata fosse terminata, facesse del quarto d’ora della sua durata il predicato del suo giudizio sulla sonata medesima e, mentre gli altri, incantati dalla meraviglia del suo contenuto cercassero di designarne il significato con parole appropriate, la caratterizzasse come una sonata d’un quarto d’ora? Senza alcun dubbio troveresti il predicato “folle” ancor troppo demente per designare un individuo simile.

Come si dovrebbero allora chiamare coloro che fanno della caducità un predicato di questa vita, coloro che credono di dire qualcosa, di esprimere un giudizio sulla vita, quando dicono che è temporale, che è transitoria? Col che, nulla si dice, nulla si pensa, nulla si designa; nulla di nulla!
Come si dovrebbero chiamare coloro che fanno di ciò che è Nulla loro oggetto e che, col fare del Nulla loro oggetto, ad esso conseguentemente danno significato e realtà, in modo tale che annientano il Qualcosa, l’effettivamente effettuale, oppure lo perdono di vista?
Essi medesimi chiamano se stessi devoti, razionalisti e persino anche filosofi. Ma lascia che i morti seppelliscano i morti!
Dio è la vita, l’amore, la coscienza, lo Spirito, la natura, il tempo, lo spazio stessi, il Tutto tanto nella sua unità quanto nella sua differenza.
In quanto ente che ama, tu sei nell’amore di Dio; in quanto ente che ha coscienza, sei nella coscienza di Dio; in quanto ente che pensa, sei nello Spirito di Dio; in quanto ente che vive, sei nella vita infinita stessa, nel tempo oltre il tempo, nello spazio al di fuori dello spazio. Dio è immortale, e nell’immortale non vi è che l’immortale. Tu sei in Dio, quindi tu stesso sei immortale; la verità, infatti, vien còlta ed espressa nella verità ed in quanto verità, non nell’ opposizione ed in quanto opposizione.
Dio è la coscienza, la vita, l’essenza, ma è l’amore, in quanto amore infinito ed eterno per coloro che hanno coscienza, amore eterno per gli enti e per coloro medesimi che vivono eternamente. Oggetto dell’ eterno è, infatti, solo ciò che è eterno» (pp. 229-233).

 

Ludwig Feuberbach, Pensieri sulla morte e sull’immortalità, a cura di Fabio Bazzani, Editori Riuniti, Roma 1997.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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