Mariapia Veladiano – La competizione fa malissimo alla salute della scuola. L’apprendimento è sempre cooperativo. La costruzione dell’equità è irrinunciabile. La scuola richiama la necessità del tempo lungo: non si coltiva niente da un giorno all’altro, servono le stagioni.
«La parola abita le aule di scuola. Ecco la scelta di mettere al centro le parole. Perché possono essere forti senza essere violente, possono trasformare il mondo, possono ricostituire la fiducia e la giustizia, e mettono in gioco la volontà e l’intelligenza delle donne e degli uomini».
Mariapia Veladiano
«La competizione fa malissimo alla salute della scuola, se è quella che comunemente pensiamo, e cioè l’arte coltivata di voler arrivare primi. Uno su mille ce la fa. Vinca il migliore. Sembra cosa giusta ma non lo è.
Competere viene dal latino cum (con, insieme) e pètere (andare verso), ovvero andare insieme verso uno stesso punto. Il contrario della corsa solitaria immaginata dall’ enfatizzazione del voto, del premio, dell’eccellenza intesa come una posizione che lascia il mondo ai lati o meglio ancora alle spalle. L‘apprendimento è sempre cooperativo e solo una scuola che non riflette su sé stessa può davvero enfatizzare la competizione e poi nello stesso tempo organizzare corsi di apprendimento cooperativo e peer to peer.
Potrebbe essere “solo” una questione etica ma è anche una verità esistenziale, pedagogica e didattica. Andare insieme vuoI dire non lasciare indietro, andare più lontano» (p. 39).
«Il più potente mito di legittimazione delle diseguaglianze è la meritocrazia. Un mito pericolosissimo perché rende acquiescenti i poveri, persuasi che ognuno abbia quel che si merita […]. Meritocrazia non è una parola di scuola» (p. 44).
«La costruzione dell’equità è irrinunciabile. La scuola deve denunciare ogni attentato alla sua missione di essere luogo delle opportunità per tutti» (p. 79).
«Ancora una volta torna la metafora del coltivare, come per il giardino di parole. Con un tocco di realismo in più per l’orto. Perché richiama la necessità del tempo lungo: non si coltiva niente da un giorno all’altro, servono le stagioni. E la necessità della cura individuale» (p. 108).
Mariapia Veladiano, Parole di scuola, Guanda, Guanda, Milano 2019.
Risvolto di copertina
Mariapia Veladiano, dopo più di vent’anni nella scuola, prima come insegnante e poi come preside, la conosce bene, la scuola. Conosce i ragazzi, l’energia che corre tra i banchi, le adolescenze fatte di paura e desiderio, il futuro che promette, e insieme minaccia. E conosce bene i professori, il loro lavorare in condizioni sempre più difficili, il fare i conti con una professione che ha perso prestigio e riconoscimento, il sopperire all’impietosità dei tagli ministeriali con le risorse (non solo di spirito) personali. Conosce le parole della scuola – paura, entusiasmo, vergogna, condivisione, integrazione, esclusione, empatia, identità, equità – e il suono che fanno tra i banchi, dove la vita è più urgente che altrove, dove la vita stessa sta più che altrove. Perché in aula si imparano le parole giuste per capire se stessi, gli altri, il mondo. E la vita.