Michail Bachtin (1895-1975) – La comprensione creativa non rinuncia a sé. Di grande momento per la comprensione è l’extralocalità del comprendere. Nel campo della cultura, l’extralocalità è la più possente leva per la comprensione. Un senso svela le proprie profondità, se si incontra e entra in contatto con un altro, altrui senso: tra di essi comincia una sorta di dialogo. Senza proprie domande non si può capire creativamente alcunché di altro e di altrui (ma, naturalmente, le domande devono essere serie, autentiche).

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L’atteggiamento valutativo verso se stessi è [...] del tutto improduttivo,
per me stesso io sono irreale [...].
La forza organizzatrice
 è data dalla categoria di valore dell’altro, del rapporto con l’altro,
rapporto arricchito da una eccedenza di valore
 che ha la mia visione dell’altro [...].
 Nell’uomo vi è sempre qualcosa che solo lui può scoprire
nel libero atto dell’autocoscienza e della parola,
che non si assoggetta alla determinazione esterna ed esteriorizzante.
[...] La vera vita della persona
è accessibile soltanto a una penetrazione dialogica
alla quale essa si apre liberamente in risposta.

M. Bachtin

 

«C’è l’idea molto tenace ma unilaterale e quindi falsa, che per meglio comprendere un’altrui cultura ci si deve, per così dire, trasferire in essa e, dimenticata la propria, guardare il mondo con gli occhi di questa cultura altrui. Questa idea, come ho detto, è unilaterale. Certo, una certa immedesimazione nella cultura altrui, la possibilità di guardare il mondo coi suoi occhi è un momento necessario del processo della sua comprensione; ma se la comprensione si esaurisse in questo solo momento, essa sarebbe una semplice duplicazione e non porterebbe in sé nulla di nuovo e di arricchente.

La comprensione creativa non rinuncia a sé, al proprio posto nel tempo, alla propria cultura e non dimentica nulla.

Di grande momento per la comprensione è l’extralocalità del comprendere, il suo trovarsi fuori nel tempo, nello spazio, nella cultura rispetto a ciò che egli vuole creativamente comprendere. L’uomo non può veramente vedere e interpretare nel suo complesso neppure il proprio aspetto esteriore e non c’è specchio e fotografia che lo possa aiutare; il suo vero aspetto esteriore lo possono vedere e capire soltanto gli altri, grazie alla loro extralocalità spaziale e grazie al fatto di essere altri.

Nel campo della cultura, l’extralocalità è la più possente leva per la comprensione. Una cultura altrui, soltanto agli occhi di un’altra cultura si svela in modo più completo e profondo (ma non in tutta la sua pienezza, poiché verranno ancora altre culture che vedranno e capiranno ancora di più).

Un senso svela le proprie profondità, se si incontra e entra in contatto con un altro, altrui senso: tra di essi comincia una sorta di dialogo, che supera la chiusura e l’unilateralità di questi sensi, di queste culture. Noi poniamo a un’altrui cultura nuove domande che essa non si poneva e cerchiamo in essa risposta a queste nostre domande e l’altrui cultura ci risponde, svelandoci suoi nuovi aspetti, sue nuove profondità di senso. Senza proprie domande non si può capire creativamente alcunché di altro e di altrui (ma, naturalmente, le domande devono essere serie, autentiche). Quando si ha questo incontro dialogico di due culture, esse non si fondono e non si confondono, e ognuna conserva la propria unità e la propria aperta totalità, ma entrambe si arricchiscono reciprocamente».

                                                                                                     Michail Bachtin

                              

 


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Michail Bachtin (1895-1975) – Una sola voce non porta a termine nulla e nulla decide. Due voci sono il minimum della vita, il minimum dell’essere. Essere significa comunicare dialogicamente.

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M. Bachtin

«Non è possibile comprendere l’interiorità dell’uomo se se ne fa un oggetto di analisi indifferente e neutrale; non lo si può nemmeno se ci si fonde con lui, se si penetra in lui col sentimento. No, a lui ci si può accostare e lo si può scoprire – o, meglio, indurlo a rivelarsi – solo comunicando con lui, dialogicamente. […]
Raffigurare l’uomo interiore […] si può soltanto raffigurando il rapporto comunicativo di lui con l’altro. Soltanto nella relazione comunicativa reciproca, nella interazione dell’uomo con l’uomo si rivela “l’uomo nell’uomo” sia per gli altri, sia per se stesso. […]
È ben chiaro che al centro […] deve trovarsi il dialogo, e il dialogo non come mezzo, ma come fine autonomo.
Il dialogo non è la soglia dell’azione, ma l’azione stessa.
Esso non è neppure un mezzo per scoprire, per manifestare il carattere già pronto dell’uomo; no, l’uomo non solo si manifesta all’esterno, ma diviene per la prima volta ciò che è […] non solo per gli altri, ma anche per se stesso. […]
Essere significa comunicare dialogicamente.
Quando il dialogo finisce, tutto finisce.
Perciò il dialogo in realtà non può e non deve finire […] il dialogo è il fine.
Una sola voce non porta a termine nulla e nulla decide.
Due voci sono il minimum della vita, il minimum dell’essere».
Michail Bachtin

 

 

 

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