Mircea Eliade (1907-1986) – Costruire una casa, una dimora, è una decisione vitale per l’intera comunità quanto per l’individuo, poiché si tratta di assumere la creazione del mondo che si è scelto di abitare. Si tratta insomma di creare il proprio mondo e di assumersi la responsabilità di mantenerlo e di rinnovarlo.

Mircea Eliade - Il sacro e il profano

Per Mircea Eliade costruire una casa, una dimora, è una decisione vitale per l’intera comunità quanto per l’individuo, poiché si tratta «di assumere la creazione del mondo che si è scelto di abitare». La casa costituisce una imago mundi, un’immagine del mondo. «Nella stessa struttura della casa si registra il simbolismo cosmico». Ancora oggi «insediarsi da qualche parte, costruire un villaggio o semplicemente una casa rappresenta una decisione di peso poiché l’esistenza stessa dell’uomo ne è coinvolta: si tratta insomma di creare il proprio mondo e di assumersi la responsabilità di mantenerlo e di rinnovarlo. Non si cambia casa a cuor leggero, perché non è facile abbandonare il proprio “mondo”». Eliade nota in maniera molto interessante che «ogni dimora si situa presso l’axis mundi». La molteplicità o addirittura l’infinità dei Centri del Mondo non crea «alcuna difficoltà» in tali società: non si tratta in verità del centro di uno spazio geometrico, ma del centro di uno spazio esistenziale.

Mircea Eliade, Le sacré et le profane, Gallimard, Paris 2001, pp. 50-55.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Marija Gimbutas (1921-1994) – L’inquietudine del «Pensatore» di Hamangia, metafisico contemplatore dell’universo di settanta secoli fa.

Il «Pensatore» di Hamangia

Il Pensatore di Crnavoda. Cultura di Hamangia, 500-4600 aC, Bucarest, Museo Nazionale di Storia della Romania

Il «Pensatore».
Cultura di Hamangia, 500-4600 a.C., Bucarest, Museo Nazionale di Storia della Romania.

«Questo libro splendidamente illustrato
 raccoglie una documentazione archeologica
 che difficilmente può essere trovata altrove».
Mircea Eliade

 

 

Le dee e gli dei dell'Antica Europa. Miti e immagini del culto

Le dee e gli dei dell’Antica Europa. Miti e immagini del culto

 

Marija Gimbutas (1921-1994), Le dee e gli dei dell’Antica Europa. Miti e immagini del culto, trad. e cura di Mariagrazia Pelaia, Stampa Alernativa, pp. 336, 2016.

 

Quarta di copertina

Scritto nel 1974 e riveduto e aggiornato nel 1982, questo volume determinò la notorietà dell’Autrice. La civiltà europea fiorita fra il 6500 e il 3500 a.C. – molto prima della civiltà greca e di quella giudaico-cristiana – non è stata un mero riflesso delle culture confinanti del Vicino Oriente, ma una cultura autonoma dotata di un suo carattere originale. L’immaginario mitico dell’epoca matrilineare rivela quali fossero le prime concezioni che l’umanità aveva del cosmo, dei rapporti tra uomo e natura e tra maschio e femmina: con al centro la Grande Dea che incarnava il principio creatore come fonte e scaturigine di tutto. Attraverso lo studio delle sculture, dei vasi e degli oggetti di culto provenienti dall’Europa sud-orientale, Gimbutas descrive una cultura che si strutturava intorno al villaggio, prima di essere travolta e dispersa dagli Indoeuropei patriarcali.

 

Marija Gimbutas, nata in Lituania nel 1921, dopo l’occupazione sovietica si trasferisce in Germania e poi nel 1949 come rifugiata negli Stati Uniti dove, alla Harvard University, si specializza nell’archeologia dell’Europa orientale, mettendo a disposizione dei colleghi testi e materiali altrimenti illeggibili. Nel 1963 le viene offerta la cattedra di Archeologia europea all’Università di California, che occupa fino al 1989. Dirige campagne di scavo nei Balcani e in Italia meridionale in siti dell’età neolitica. I suoi ultimi tre libri sono quelli che hanno suscitato maggiori reazioni in ambito accademico e culturale a livello mondiale: The Goddesses and Gods of Old Europe (1974, 1982; l’opera qui presentata è per la prima volta tradotta in italiano), The Language of the Goddess (1989; tr. it.: Il linguaggio della Dea, Longanesi) e The Civilization of the Goddess (1991; tr. it.: La civiltà della Dea – voll. 1 e 2, Stampa Alternativa). Con le sue intense ricerche sul significato sociale e simbolico delle antiche culture neolitiche ha ampliato in senso interdisciplinare il consueto approccio accademico fondando una nuova disciplina: l’archeomitologia.
Muore a Los Angeles nel 1994.



Oltre la linea che separa la Grecia dalle nebbie che la lambiscono, un retaggio ancestrale guida e mette in scena il pensatore mitico: ha l’aspirazione alla totalità, immagina spenditi vasi e statue, costruisce cosmogonie. Dal pullulare di forme appare la terracotta del “Pensatore” di Hamangia (Romania, 500-4600 a.C.). La figura maschile, forse un dio della vegetazione, sta seduta con il volto tra le mani, esprimendo un’inquietudine senza limiti profonda. Frutto di una convenzione già antinaturalistica, la statuina è una stenografia, una nota toroniana per il dolore del mondo. Questo contemplatore dell’universo, laliconico, metafisico di settanta secoli fa, è ltra le più struggenti testimonianze della presenza dell’uopmo nella storia.

Domenico Pinto, L’inquitudine della terracotta di Hamangia, “Alias”, il manifesto, 22-01-2017, p. 8.


 


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