Uno dei diari del compositore, quello del 1887, dove egli annotava una quantità di fatti intimi.
«Lei mi domanda, cara amica, se io conosco l’amore terreno. […] Credo che la mia musica dia una risposta a questa domanda. […] Non sono del suo parere su di un punto, quello che la musica non sia capace di rendere la forza universale dell’amore. Al contrario, la musica soltanto può farlo. Lei dice che questo può avvenire soltanto attraverso le parole. Oh no! […] Laddove esse vengono a mancare subentra in tutta la sua pienezza linguaggio più eloquente: la musica. Anche il discorso ritmico, ossia la poesia, con la quale i poeti glorificano l’amore, non è altro che un addentrarsi nel dominio riservato alla musica. Non appena le parole prendono forma di poesia, non sono più soltanto tali, si sono già trasformate in musica. La miglior prova che le poesie in glorificazione dell’amore sono assai più musica che semplici parole la trovo nel fatto che, molto spesso, molte poesie non hanno un senso immediatamente afferrabile […]. Invece, al contrario di quanto sembrerebbe, versi di quel genere non soltanto hanno un significato, ma racchiudono pensieri profondi, di natura però puramente musicale. […] L’aggiunta di parole alla musica è non di rado nociva. Esse la appesantiscono, la fanno scendere dalle sue sublimi altezze. Ecco una sensazione che ho avvertito spesso, con estrema chiarezza, fino a pensare che questa sia la ragione per cui composizioni puramente strumentali mi sono riuscite meglio di quelle vocali.
[…] Non creda a coloro che cercano di convincerla che il processo della creazione musicale non è altro che arido lavoro d’intelletto. Può colpire e commuovere unicamente quella musica che è stata colta nel profondo di un’anima d’artista, toccata dall’illuminazione. Senza dubbio, perfino i più grandi geni musicali hanno creato talora senza ispirazione. L’illuminazione è un’ospite che non compare al primo appello e tuttavia è necessario continuare a lavorare. Un vero artista non può restare con la mano in mano col pretesto che non si sente ben disposto. Se si volesse attendere la disposizione favorevole e non si facesse il tentativo di vincersi, si sarebbe sommersi dal/a pigrizia e dall’apatia …
[…] Mi stimo felice di non aver seguito l’esempio di molti compositori russi che non hanno né fiducia in se stessi né costanza, e che, alla minima difficoltà, sono pronti a cedere e a darsi per vinti.
È questa la ragione per cui, nonostante il grande ingegno, producono così poco e restano impantanati nel dilettantismo. […] Solo una musica concepita come rivelazione dell’anima, solo una musica scaturita dal tormento dell’ artista può toccare gli esseri umani».
Petr Ilic Cajkovskij, Lettera a Nadjeshda Filarestovna, 6 marzo. 1878
«Quando per la prima volta mi trovai di fronte a Tolstoj, provai un incredibile senso di panico. Mi sembrava che a questo grande conoscitore di cuori bastasse gettare uno sguardo su di me per penetrare fino ai più reconditi meandri della mia anima. Al suo occhio, credevo, non poteva rimanere celata neppur la più piccola debolezza della mia indole, per modo che risultava inutile cercar di mostrarglisi soltanto dal lato migliore. In realtà le cose andarono in modo tutto diverso. Il sommo fra tutti i conoscitori d’uomini, si rivelò un essere molto semplice, molto affabile, al quale non importava assolutamente nulla di mettere in evidenza davanti a chicchessia quell’onniscienza che tanto paventavo … evidentemente non vedeva in me un oggetto delle sue indagini, ma voleva unicamente discorrere un poco di musica con me. […] Tolstoj mi aprì gli occhi su molte cose. Mi convinse che chi non crea per intimo impulso, ma mira all’effetto calcolato con l’intenzione di piacere al pubblico, non è artista autentico».
Petr Ilic Cajkovskij, Diari, 1876-1877.
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893) – La musica non è illusione, è rivelazione. La sua forza risiede nel fatto che ci fa scorgere regni di una bellezza altrimenti irraggiungibile, la cui scoperta ci concilia con la vita.
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