Byung-Chul Han – La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo. Non è necessaria alcuna riflessione o pensiero. Essa resta coscientemente infantile, banale, svuotata di qualsiasi profondità. Nessuna interiorità si nasconde dietro la sua superficie levigata. Giova dismettere vesti levigate accogliendo l’invito di Rilke: «Tu devi cambiare la tua vita».

Byung-Chul Han 03

 

Torso arcaico di Apollo

Non conoscemmo il suo capo inaudito,
e le iridi che vi maturavano. Ma il torso
tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto,

resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti
la curva del suo petto e lungo il volgere
lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino a quel centro dove l’uomo genera.

E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle,
e non scintillerebbe come pelle di belva,

e non eromperebbe da ogni orlo come un astro:
perché là non c’è punto che non veda
te, la tua vita. Tu devi mutarla.

Rainer Maria Rilke

 

 

La salvezza del bello

La salvezza del bello

logo nottetempo

 

«La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo. È ciò che accomuna le sculture di Jeff Koons, l’iPhone e la depilazione brasiliana. Perché oggi troviamo bello ciò che è levigato? Al di là dell’effetto estetico, esso rispecchia un generale imperativo sociale, incarna cioè l’attuale società della positività. La levigatezza non ferisce, e neppure offre alcuna resistenza. Chiede solo un like. L’oggetto (Gegenstand) levigato elimina la propria oppositività (Gegenf). Rimuove così ogni negatività.

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Anche lo Smartphone segue l’estetica della levigatezza. Lo Smartphone LG G Plex è addirittura ricoperto da una pellicola autorigenerante che fa scomparire molto velocemente ogni graffiatura, dunque ogni traccia di lesione, rendendolo per così dire invulnerabile. La sua pelle sintetica lo mantiene sempre levigato.

 

LG G Flex 003, il primo smartphon curvo

LG G Flex 003, il primo smartphon curvo

Inoltre è flessibile e pieghevole, essendo leggermente curvato verso l’interno. In tal modo si adatta perfettamente al volto e alla postura. Questa adattabilità e questa assenza di resistenza sono tratti costitutivi dell’estetica della levigatezza.
La levigatezza non si limita all’aspetto esteriore dell’apparato digitale. Anche la comunicazione che avviene attraverso l’apparato digitale risulta levigata, infatti vengono scambiati soprattutto messaggi compiacenti, positivi. Sharing e like rappresentano un mezzo comunicativo levigato. Le negatività sono eliminate poiché rappresentano un ostacolo alla velocità di comunicazione.

Jeff Koons’, ‘Ballerina’

Jeff Koons’, ‘Ballerina’.

[…] Tutto fluisce in transizioni morbide e levigate; tutto risulta arrotondato, liscio, levigato. L’arte di Jeff Koons riguarda superfici levigate e l’immediata impressione che esse provocano. Non c’è nulla di quanto offre che vada interpretato, decifrato o pensato: è un’arte del like.
Jeff Koons dice che l’osservatore delle sue opere dovrebbe soltanto esclamare un semplice “wow”. È chiaro che al cospetto della sua arte non è necessario alcun giudizio, né interpretazione o ermeneutica, riflessione o pensiero. Essa resta coscientemente infantile, banale, impassibilmente rilassata, disarmante e alleggerente, poiché è svuotata di qualsiasi profondità, di qualsiasi abissalità e malinconia […].
Alla sua arte manca la negatività che imporrebbe una distanza. Solo la positività del levigato suscita l’impulso aptico, invita l’osservatore all’assenza di distanza, al touch. Un giudizio estetico presuppone invece una distanza contemplativa. L’arte della levigatezza la abolisce.
[…] La levigatezza procura soltanto una sensazione piacevole non collegata ad alcun senso, ad alcuna profondità, e si esaurisce nel “wow”.
[…] anche il levigato touch screen è un luogo […] di consumo totale, e porta alla luce solo ciò che piace.
Le sculture di Jeff Koons sono per così dire levigatezze specchianti, di modo che l’osservatore vi si possa rispecchiare. […] Nessuna interiorità si nasconderebbe dietro la sua superficie levigata. Come per lo Smartphone, di fronte alla lucentezza delle sculture levigate non s’incontra l’altro ma solo se stessi».

Byung-Chul Han, La salvezza del bello, nottetempo, 2018, pp. 8-11.

 

Descrizione
Dostoevskij aveva detto che solo la bellezza ci salverà. Ma oggi è il bello stesso a dover essere messo in salvo, recuperando l’integralità della sua esperienza che l’epoca digitale fa svanire di giorno in giorno. Questo è l’intento del saggio di Byung-Chul Han, che ripercorre momenti essenziali del pensiero europeo sul bello, da Platone a Nietzsche e Adorno, per mostrare con vigorosa persuasività la deriva estrema della nostra esperienza estetica. L’estetizzazione diffusa, la veloce proliferazione di immagini levigate e consegnate al consumo, dove conta solo il mero presente della piú piatta percezione, conducono a una fondamentale anestetizzazione. Nulla piú accade e ci riguarda nel profondo, e cosí l’arte diventa, come già aveva avvertito Nietzsche, solo occasione di una momentanea eccitazione. Ma l’originaria esperienza del bello è invece una scossa estatica che ci trasforma e si prolunga anche nella vita etica e politica. La bellezza non rimanda al sentimento di piacere, ma a un’esperienza di verità. “Tu devi cambiare la tua vita”: il monito che promana dal Torso arcaico di Apollo nell’omonima poesia di Rilke è la parola che il bello ci rivolge attraverso questo libro.

 

 

Byung-Chul Han, nato a Seul, è considerato uno dei piú interessanti filosofi contemporanei. Docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino, ha pubblicato con nottetempo La società della stanchezza (2012), Eros in agonia (2013), La società della trasparenza (2014), Nello sciame (2015), Psicopolitica (2016), L’espulsione dell’Altro (2017) e Filosofia del buddhismo zen (2018).

 

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Ilaria Rabatti – Tra poesia e profezia: Il buio e lo splendore, l’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci

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M. Guidacci

M. Guidacci

Il buio e lo splendore

Il buio e lo splendore

Ilaria Rabatti, Tra poesia e profezia: Il buio e lo splendore, l’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci [Articolo pubblicato su Le opere e i giorni, Periodico di cultura, arte, storia – Anno IX, NN. 1-3 – Gennaio/Settembre 2006 – Direttore responsabile: Carmine Fiorillo], pp. 21.

sintesi

 

Ma le notti alte dell’estate,
ma le stelle, le stelle della terra.
Oh esser morti una volta, e saperle all’infinito
tutte le stelle perché come, come, come dimenticarle!
R. M. Rilke

 

Ad identificare i contorni, dilatati in infiniti spazi di luce, dell’ultima stagione poetica guidacciana, sembrerebbe indispensabile mettere in campo una fortissima tensione verso il trascendente (quasi mistica preparazione al “viaggio” verso l’eterno, consumato e atteso ad ogni istante, drammaticamente avvertito come “confine tra l’incontro e l’addio”), oltre la “soglia” del tempo e dello spazio, in un’assorta, pascaliana contemplazione dell’universo stellare, da lei amato con una profonda conoscenza scientifica. Il tema cosmico-astrale – che nasce nella Guidacci come corollario contemplativo della tarda epifania amorosa – già ampiamente introdotto nell’Inno alla gioia, torna ancora più fulgido a campeggiare nel Liber fulguralis (1986) che del maggiore Il buio e lo splendore, pubblicato solo nell’89 da Garzanti, costituisce il significativo e prezioso anticipo. Nel Liber fulguralis, edito quasi “clandestinamente” a Messina, nella collana “La mela stregata”, curata dalla Facoltà di Magistero, sono riunite infatti (fiancheggiate dalla traduzione inglese di Ruth Feldmann) in un ideale ponte lirico tra passato e futuro, cinque poesie dell’Inno alla gioia (Supernova, Anche tu conosci i nomi delle costellazioni, Ubbidiente e fedele, Appuntamento di sguardi nella luna, Aratura) e dodici testi inediti che successivamente confluiranno nel libro garzantiano dell’89 (più esattamente, undici andranno a formare la sezione finale de Il porgitore di stelle, mentre uno, Sibilla Persica, arricchirà quella iniziale delle Sibyllae). [Leggi tutto, pp. 21]

Ilaria Rabatti,
Tra poesia e profezia: Il buio e lo splendore,
l’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci

 


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