William Morris (1834-1896) – Qual è lo scopo della Rivoluzione? Certamente quello di rendere felici gli uomini.
«“Qual è lo scopo della Rivoluzione? Certamente quello di rendere felici gli uomini. […] In breve, con l’assenza di coercizioni artificiali e con la libertà per chiunque di fare quello che sa fare meglio, unita alla conoscenza di ciò che vogliamo che il lavoro produca. Devo ammettere che a quest’ultima siamo arrivati lentamente e faticosamente. […] Da tutto ciò che sentiamo dire e leggiamo, appare chiaro che nell’ultimo stadio della civiltà, gli uomini si erano cacciati in un giro vizioso in materia di produzione di beni. Avevano raggiunto una straordinaria facilità di produzione, e per sfruttarla al massimo avevano gradualmente creato (o, piuttosto, lasciato sviluppare) un sistema assai complesso di compravendita, chiamato mercato mondiale; questo mercato mondiale, una volta entrato in funzione, li costrinse a continuare a produrre una quantità sempre maggiore di beni, ne avessero bisogno o no. Cosicché mentre, com’è naturale, non potevano sottrarsi alla fatica di produrre ciò che realmente era necessario, crearono una serie senza fine di bisogni falsi o inutili, che divennero, secondo la ferrea legge del suddetto mercato mondiale, di importanza pari a quella dei beni veramente indispensabili alla vita umana. Facendo questo, si accollarono un’enorme mole di lavoro, con l’unico scopo di mantenere in funzione il loro sciagurato sistema. […] Poiché si erano messi nella condizione di rimaner schiacciati sotto il terribile peso della produzione superflua divenne loro impossibile considerare il lavoro e i suoi prodotti da un punto di vista che non fosse l’incessante sforzo di impiegare la minor quantità possibile di lavoro per ogni articolo prodotto, e nello stesso tempo di produrre la maggiore quantità possibile di articoli. A questa ‘riduzione dei costi di produzione’, come era chiamata, tutto veniva sacrificato. La soddisfazione del lavoratore nel suo lavoro, anzi, i suoi bisogni fondamentali e la sua stessa salute, l’alimentazione, i vestiti, l’abitazione, il tempo libero, gli svaghi, l’istruzione – in breve, la sua vita – pesavano sulla bilancia meno di un granello di sabbia contro la crudele necessità di ‘ridurre i costi di produzione’ di merci che in gran parte non valeva nemmeno la pena di produrre. Si racconta anzi, e le prove sono tanto evidenti che, per quanto difficile, bisogna crederlo, che persino gli uomini ricchi e potenti, i padroni di quei poveri diavoli di cui vi ho parlato, si adattavano a vivere fra vedute, rumori e odori che la natura stessa dell’uomo detesta e cerca di sfuggire, pur di impiegare le loro ricchezze nel portare all’esasperazione questa suprema follia. L’intera comunità veniva gettata tra le fauci di quel mostro vorace che era la ‘riduzione dei costi di produzione’, imposta dal mercato mondiale”.
[…]
“Ma le macchine, per ridurre il lavoro?”.
“Che state dicendo? Le macchine per ridurre il lavoro? Sì, erano fatte per ‘risparmiare manodopera’ (o, per esser più precisi, energie umane) su certi prodotti perché potesse essere impiegata meglio – io direi sprecata – nella fabbricazione di altri prodotti probabilmente inutili. […] L’appetito del mercato mondiale cresceva man mano che questo ingoiava ricchezza: i paesi appartenenti alla cerchia della civiltà, cioè della miseria organizzata, venivano saturati di merci inutili e si ricorreva senza pietà alla forza e all’inganno per ‘aprire al commercio’ i paesi che si trovavano fuori di quell’area. Questo processo di ‘apertura’ appare strano a chi conosca le convinzioni degli uomini di quel periodo e non comprenda il loro modo di agire; e forse ci mostra nel suo aspetto peggiore la grande piaga del XIX secolo: l’uso dell’ipocrisia e dell’inganno per eludere la responsabilità di una ferocia praticata indirettamente. Quando il mercato mondiale dei paesi civili aveva delle mire su un paese che non fosse ancora nelle sue grinfie, si trovava qualche sfacciato pretesto […] insomma, ogni possibile trappola per catturare la preda. Poi si trovava un avventuriero audace, senza scrupoli […] e lo si pagava perché ‘creasse un mercato’ […].
Le merci che noi qui produciamo vengono prodotte perché ce n’è bisogno: lavoriamo per i nostri vicini come se lavorassimo per noi stessi, non per un astratto mercato di cui ignoriamo tutto e sul quale non abbiamo alcun controllo; poiché non c’è compravendita, sarebbe pura follia produrre merci basandosi soltanto sulla possibilità che ce ne sia richiesta: non c’è più nessuno che possa essere costretto a comprarle. Perciò tutto quello che si produce è di buona qualità e adatto all’impiego che bisogna farne. Non si può produrre nulla che non sia utile, e quindi non si produce nulla di scadente. Inoltre, come ho già detto, oggi sappiamo di che cosa abbiamo bisogno, e non produciamo più del necessario; e poiché nulla ci spinge a produrre una gran quantità di oggetti futili, abbiamo tempo e risorse a sufficienza per considerare la fabbricazione delle merci un piacere.
Tutti i lavori che sarebbe troppo noioso eseguire a mano, vengono fatti da macchine altamente perfezionate; mentre per tutti i lavori che danno piacere si fa a meno delle macchine. Non c’è difficoltà a trovare un genere di attività che corrisponda alle inclinazioni di ognuno, così nessuno è sacrificato alla volontà di un altro. A poco a poco, quando ci rendevamo conto che fabbricare qualcosa era sgradevole o presentava dei problemi, abbiamo rinunciato a fabbricarlo facendone a meno. Ora potete certamente capire che in queste condizioni ogni genere di attività che svolgiamo è un esercizio più o meno piacevole della mente e del corpo […]”».
«Sarebbe molto difficile, se non impossibile, raccontarvi tutta la storia: presa di coscienza, scontento, tradimento, defezioni, disastri, miseria, disperazione. Tutti quelli che hanno cooperato al cambiamento, perché vedevano più in là degli altri, hanno percorso queste tappe dolorose. E durante tutto quel tempo, la maggior parte della gente ha assistito, senza capire, agli avvenimenti credendoli naturali come l’alba ed il tramonto; il che in realtà era anche vero […]. Guardando il passato, ci accorgiamo che la forza che ha spinto le masse verso il grande cambiamento è stata l’aspirazione alla libertà ed all’eguaglianza».
«Guardate […] come intorno a voi degli uomini obblighino altri uomini a condurre un’esistenza che non è la loro, mentre essi stessi non hanno cura della propria […] addolcite la vostra lotta con un po’ di speranza […] sforzandovi di edificare a poco a poco, nonostante le pene e le sofferenze necessarie, questa nuova epoca di amicizia, di riposo, di felicità».
William Morris, Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano 1984, pp. 103 ss.