«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera.
Il libro affronta la questione della scuola pietrificata di oggi che disconosce una questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento, bene è tutto ciò che del fondamento, cioè dell’uomo, si prende cura. Qualsiasi approccio a questo tema in chiave riduttivamente economicistica o aziendalistica non consente infatti minimamente di coglierne lo spessore reale. Né è possibile, sulla base di una concezione dell’umanità dell’uomo come semplice prassi empirica e funzionalismo sociale, capire realmente cosa è in giuoco nella scuola. Il tema della scuola rimanda infatti al significato dell’educazione umana, del rapporto tra le generazioni, della temporalità, della cultura. L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità.
Contributi di:
Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.
In copertina: Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914. Per Marc Chagal l’acrobata è utopia che cerca – da una prospettiva inusuale – un nuovo equilibrio, su un filo teso sull’orlo di un mondo alla rovescia.
Carmine Fiorillo – Luca Grecchi
Dalla Nota introduttiva
Ringraziamo tutti gli studiosi che a questo numero hanno partecipato, apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema, quello educativo, sempre centrale e che, anche quando non esplicitamente affrontato, rimane sempre l‘implicito riferimento di tutte le pubblicazioni di Petite Plaisance.
Fernanda Mazzoli
La centralità delle conoscenze: una bussola per uscire dalle secche dell’aziendalismo
L’educazione ai tempi del liberismo La deconcettualizzazione dell’insegnamento La storia negata Il maestro negato Una scuola forte è possibile? Indicazioni bibliografiche sul tema
Franco Toscani
Sul senso e sul declino della nostra scuola
Scuola e panaziendalismo L’alienazione scolastica Don Lorenzo Milani e l’esperienza della “scuola di Barbiana”: una lotta per la cultura e il linguaggio, per l’eguaglianza e la dignità delle persone La testimonianza della ‘Scuola di Barbiana’ e la sua eredità odierna La scuola e la “mutazione antropologica” Maestri e allievi. Per una etica della responsabilità Friedrich Nietzsche e gli interrogativi sull’avvenire delle nostre scuole La Bildung e il destino della civiltà planetaria
Lucio Russo
Per una scuola in grado di trasmettere cultura
Per una scuola in grado di trasmettere cultura, è essenziale interrogarsi su quale cultura si voglia trasmettere e perché
Claudio Lucchini
La merce a scuola ovvero la scuola della merce
La merce a scuola ovvero la scuola della merce: riflessioni
sulle tendenze antropologico-sociali sottese alla pratica scolastica attuale
Alberto Giovanni Biuso
Per la παιδεία
Scuola e politica Conoscenze e competenze Socratismo e comportamentismo Marketing e analfabetismo Europa e παιδεία
Salvatore A. Bravo
Il freddo, implacabile strangolamento della παιδεία
L’ecolalia pedagogica Pedagogia senza fondamento La didattica breve e il neolinguaggio pedagogico L’homo oeconomicus La scuola azienda Trascendere le classi per strutturare lo sradicamento Conclusioni
Arianna Fermani
L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano Riflessioni sulla παιδεία in Aristotele
I. Osservazioni preliminari Originalità e attualità della riflessione aristotelica sull’educazione II. Primo scenario educativo: l’educazione precede l’etica II.a L’insegnabilità della virtù: limiti e caratteristiche II.b L’emotional training e l’educazione “delle” passioni II.c Ulteriori articolazioni del modello educativo III. Secondo scenario educativo: l’educazione è l’etica III.a Educazione e metodo della ricerca IV. Riflessioni conclusive
Romano Luperini
Insegnare la letteratura oggi
Ogni educazione presuppone
una utopia, la esige *** Appendice
Alessandro Pallassini
Note sugli apparati riproduttivi societari, guardando alla scuola
I. Introduzione II. Produzione e riproduzione societaria. Brevi cenni III. Mutamenti del sistema societario e mutamenti nell’educazione latamente intesa IV. Scuola-lavoro: possibili omologie V. Conclusioni (molto provvisorie) VI. Bibliografia utilizzata
Eros Barone
La crisi dei saperi socratici: una sfida per l’‘humanitas’
I. Società di mercato e saperi socratici III. Quale rapporto tra il vero e l’utile nel sapere e nella formazione? III. I “saperi che servono” fra nichilismo antisocratico e ideologia del ‘politicamente corretto’ IV. Il riscatto dei saperi socratici: utilità, eredità, identità IV. Futuro dell’‘humanitas’ e ‘humanitas’ del futuro
Giovanni Carosotti
L’«ideologia» della Buona Scuola
Una didattica autoproclamatasi “innovativa” Un apparato ideologico per formare nuovi soggetti Una dimostrazione di dissenso: dall’Appello per la Scuola pubblica alla sua contestazione Una critica delle ideologie rivolta al concetto di «competenza» La scelta impositiva Una salutare critica delle ideologie La pseudo scienza delle competenze L’azzeramento della pluralità storiografica ed ermeneutica delle discipline Una scuola di sorveglianti e sovergliati, misurati e misuratori Breve riflessione sul quantitativo
Rossella Latempa
L’ossessione valutativa
Il mito dell’oggettività L’imbracatura ortopedica della valutazione scolastica Matematizzazione dell’essere umano
Lorenzo Varaldo
La posta in gioco
È in gioco il sapere dell’umanità La nostra Dichiarazione di oggi *** Dichiarazione finale della Conferenza Nazionale del 19 maggio 2018 per l’abrogazione della legge 107
Fernanda Mazzoli
Per una seria cultura generale comune
Una proposta di Lucio Russo Recensione al libro Lucio Russo, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista
Lucrezia Fava
Λόγος, linguaggio, tempo
Dai seminari heideggeriani di Le Thor Recensione al libro Martin Heidegger, Seminari
Silvia Gullino
Una appassionata ricostruzione della filosofia aristotelica
Alla ricerca del luogo in cui la sapienza teoretica si radica nell’umano Recensione al libro Claudia Baracchi, L’architettura dell’umano. Aristotele e l’etica come filosofia prima
Fabio Acerbi – Marino Badiale – Giuseppe Bailone – Fabio Bentivoglio – Piero Bernocchi – Lucio Bontempelli – Massimo Bontempelli – Paolo De Martis – Adolfo Scotto Di Luzio – Federico Dinucci – Giampiero Giampieri – Giulio Ferroni – Emanuele Narducci – Fabrizio Polacco – Costanzo Preve – Lucio Russo – Livio Sichirollo – Roberto Signorini – Lorenzo Varaldo
Sommario
Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, di Massimo Bontempelli La scuola sospesa, di Giulio Ferroni Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento, di Lucio Russo Orwell 2000, di Fabrizio Polacco Sulle sorti della matematica e della fisica nella scuola superiore, di Fabio Acerbi L’insegnamento delle discipline scientifiche e la storia della scienza, di Lucio Bontempelli 30 tesi contro la Scuola-Azienda e l’Istruzione-Merce, di Piero Bernocchi La catena dei perché. Riflessioni sulle radici del “Concorso Berlinguer”, di Costanzo Preve Autonomia didattica e libertà di insegnamento, di Federico Dinucci Chi non sa nulla, insegna ad insegnare, di Paolo De Martis Che buon pro facesse (e faccia) il “Verbo”, di Giampiero Giampieri “L’agonia della scuola italiana”: un libro controcorrente, di Fabio Bentivoglio Una lettura critica del libro “L’agonia della scuola italiana”, di Roberto Signorini Il libro di Antonio La Penna “Sulla scuola”, di Emanuele Narducci L’insegnante trova le sue parole. Perché un “no” ai salari di merito, di Lorenzo Varaldo Il libro verde della Pubblica istruzione, di Giuseppe Bailone Il Liceo classico, di Adolfo Scotto di Luzio Il resistibile declino dell’università. Ragioni per un titolo, di Livio Sichirollo Il nome delle libellule. Breve riflessione sulle culture popolari, di Marino Badiale
La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi. Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere. La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori.
Il libro si articola in sette capitoli: L’innovazione distruttiva Il didatticismo di regime L’autonomia aziendalistica L’educazione negata La stupidità rivelata La scuola del totalitarismo neoliberista Il destino della scuola
Guido Armellini – Andrea Bagni – Antonia Baraldi Sani – Fabio Bentivoglio – Carlo Bolelli – Massimo Bontempelli – Francesco Borciani – Marcello Cini – Vittorio Cogliati Dezza – Luca Grecchi – Corrado Maceri – Fabiano Minni – Bruno Moretto – Cesare Pianciola – Gianna Tirandola – Marcello Vigli
La scuola e il fondamento, di Luca Grecchi Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, di Francesco Borciani Sapere di polis, di Andrea Bagni Il quinto postulato, di Fabio Bentivoglio Quale scuola per quale Stato?, di Marcello Vigli L’intelligenza del tranviere, di Guido Armellini Partiamo dalle nuove sfide, di Vittorio Cogliati Dezza Il cappotto del professore, di Antonia Baraldi Sani La scuola della Repubblica tra Stato, Regioni e sussidiarietà, di Corrado Mauceri Evoluzionismo: un ponte tra due culture, di Marcello Cini Sul sapere critico, di Carlo Bolelli La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana, di Massimo Bontempelli Il tutto e le parti, di Guido Armellini L’esperienza del referendum in Emilia Romagna, di Bruno Moretto Intervista immaginaria di Ignazio Olloy al Professor E. De Candi, di Fabiano Minni L’esperienza del referendum in Veneto, di Gianna Tirondola Lettera aperta ai partiti della sinistra sulla scuola Venti anni di attività, di Cesare Pianciola
Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.
Allegato il CD-ROM per Windows con l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta, di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini.
Si manifesta ormai da più parti l’esigenza di considerare con metodo scientifico la storia degli anni Settanta, superando sia l’urgenza della testimonianza personale che la rimozione di un materiale impegnativo e «scomodo». Questo discorso vale in modo particolare per la scuola, in quegli anni al centro dell’attenzione con analisi, pratiche, lotte, che presto e abbastanza superficialmente sono state liquidate o «demonizzate». In realtà la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo, è il punto d’incontro dei problemi che in quel momento agitano la società italiana. È un vero e proprio laboratorio di idee e progetti vissuti come rivoluzionari: partecipazione democratica, non delega, autonomia e potere dal basso. Questo libro è una prima ricostruzione di quei fermenti, caotici ma aperti e vitali. Esso si basa su una documentazione inconsueta (prese di posizione politiche e sindacali dei «nuovi insegnanti», lavori degli studenti, materiale didattico delle scuole sperimentali e dei corsi 150 ore, documenti di programmazione didattica, produzione dell’editoria didattica alternativa), in cui è possibile cogliere il profondo cambiamento rispetto al passato, la ricchezza del dibattito e delle proposte didattiche, l’impegno civile.
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Marx, per argomentare tale tesi, ricostruisce la genesi del capitale, l’accumulazione originaria del capitale. Tra le condizioni che hanno permesso lo sviluppo del capitalismo Marx enumera una serie di cause tra cui il commercio triangolare. Quest’ultimo denuncia la vera natura del capitalismo, ne smaschera la sostanza in modo inequivocabile. Il commercio triangolare tra Inghilterra, Africa (Guinea), e continente americano nel sedicesimo e diciasettesimo secolo, ha consentito una enorme eccedenza in denaro e la produzione del cotone a costo zero. Entrambe le variabili sono tra le precondizioni più importanti per l’affermarsi della prima Rivoluzione industriale. Se per mare il cattivo infinito del denaro – rompendo ogni legge della misura, della razionalità e dell’etica – imperversava e si concretizzava nelle navi negriere, in terra il capitale ungulato mostrava il suo volto con le recinzioni.
Campi recintati in Inghilterra (enclosures), dipinto del Settecento
Sia nel caso delle navi negriere che nelle recinzioni in Inghilterra, si assisteva alla deportazione coatta e violenta di popoli e culture da un contesto in un altro al fine della produzione. Le recinzioni necessarie a trasformare il latifondo in azienda agricola, impedivano l’uso comune delle terre. Il latifondo conservava una parte comune delle terre nelle quali i contadini potevano procurarsi cibo, legna, coltivare orti o piccoli appezzamenti di terra per la famiglia o per la comunità. Con le recinzioni si assiste alla scomparsa di un popolo costretto a servire il capitale in città fumose e anonime. Con le recinzioni scompare l’abitudine a condividere, si afferma l’individualismo borghese sancito da Hobbes come da Locke. La volontà dei deportati non ha mai contato, la sopravvivenza li ha costretti a vivere l’esperienza distruttiva della fabbrica.
Se in terra il movimento coatto è dalla campagna alla città, o meglio alla fabbrica, in mare è da continente a continente. Le navi negriere sono l’espressione concreta e metaforica della “cultura” della fabbrica e del potere disciplinare. Nelle navi come nelle fabbriche, gli spazi erano organizzati secondo un calcolo razionale: legati l’un l’altro con catene, per poter accumulare più schiavi possibili, si calcolava per ciascun nero lo spazio e la quantità di cibo e d’acqua necessarie. Nel caso non sopravvivessero per le cattive condizioni igieniche, per le malattie e per il terrore, la merce umana era gettata in acqua. Le navi negriere erano munite di assicurazione qualora accadessero incidenti in mare e dunque il carico fosse perso. Marx, nel primo libro del Capitale, svela l’essenza mondana del capitale attraverso la ricostruzione storica e genealogica del fenomeno capitalismo:
«I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno, in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.
Un uomo famoso per il suo senso critiano, W. Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: “Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata”. La storia dell’amministrazione coloniale olandese e l’Olanda è stata la nazione capitalistica modello del secolo XVII — “mostra un quadro insuperabile di tradimenti, corruzioni, assassini e infamie”. Più caratteristico di tutto è il suo sistema del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava. I ladri di uomini venivano addestrati a questo scopo. Il ladro, l’interprete e il venditore erano gli agenti principali di questo traffico, e prìncipi indigeni erano i venditori principali. La gioventù rubata veniva nascosta nelle prigioni segrete di Celebes finché era matura ad essere spedita sulle navi negriere. Una relazione ufficiale dice: “Questa sola città di Makassar per esempio è piena di prigioni segrete, una più orrenda dell’altra, stipate di sciagurati, vittime della cupidigia e della tirannide, legati in catene, strappati con la violenza alle loro famiglie”. Per impadronirsi di Malacca gli olandesi corruppero il governatore portoghese, che nel 1641 li lasciò entrare nella Città; ed essi corsero subito da lui e l’assassinarono per “astenersi” dal pagamento della somma di 21.875 sterline, prezzo del tradimento. Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento. Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti, nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce!
La Compagnia inglese delle Indie Orientali aveva ottenuto, come si sa, oltre al dominio politico nelle Indie Orientali, il monopolio esclusivo del commercio del tè, del commercio con la Cina in genere e del trasporto delle merci dall’Europa e per l’Europa. Ma la navigazione costiera dell’India e fra le isole, come pure il commercio all’interno dell’India, erano divenuti monopolio degli alti funzionari della Compagnia. I monopoli del sale, dell’oppio, del betel e di altre merci erano miniere inesauribili di ricchezza. I funzionari stessi fissavano i prezzi e scorticavano a piacere l’infelice indù. Il governatore generale prendeva parte a questo commercio privato. I suoi favoriti ottenevano contratti a condizioni per le quali, più bravi degli alchimisti, essi potevano fare l’oro dal nulla» (K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Genesi del capitalista industriale).
Come detto il capitalismo nasce già grondante di sangue; le condizioni di emergenza spiegano il fine e la sua evoluzione: lo sfruttamento, le merci che feticisticamente governano i soggetti, poiché padroni e servi sono due prospettive della stessa sostanza. Le due dimensioni da terra e dal mare sono spiegabili con la stessa teleologia: il plus valore ed il plus lavoro. I soggetti che divengono religiosi servitori della produzione fine a se stessa, in cui il valore d’uso è sostituito dal valore di scambio, vera struttura portante della forma mentis del capitale.
Lo storico francese Olivier Pétré-Grenouilleau (Les Traites négrières. Essai d’histoire globale, 2004) ha documentato e quantificato il numero delle vittime. Ha distinto per aree geografiche e rotte le tre tratte principali. La tratta orientale ha causato 17 milioni di persone scomparse. La tratta intra africana ha causato 14 milioni di vittime, mentre la tratta atlantica, tra il 1519 ed il 1867, 12 milioni. Durante l’attraversata circa un sesto degli schiavi moriva, per cui l’Atlantico era di fatto un cimitero liquido. Un vero genocidio non riconosciuto. Si consideri che gli effetti della tratta sono stati devastanti per le popolazioni africane: la forza lavoro impiegata coattamente che il capitale ha utilizzato, naturalmente, ha vampirizzato le energie migliori dell’Africa, ha privato il continente di generazioni che avrebbero potuto contribuire allo sviluppo dell’Africa.
Milioni di uomini, donne e bambini sono stati trasformati in energia per la produzione e lo sviluppo degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. Solo nel 1807 la schiavitù in Inghilterra è stata abolita, mentre in Mauritania solo nel 1980. Capire la genesi del Capitalismo è fondamentale per ricostruire il senso dei nostri giorni. La storia ama i corsi ed i ricorsi storici, come affermava Vico, i quali si ripetono in modo mai uguale ma simile. Oggi assistiamo all’affermarsi e al riaffermarsi di un’esperienza già vissuta.
La storia, affermava Gramsci, è maestra di vita ma non ha scolari: forse è il nostro caso. Dall’Africa e dall’Asia giungono schiavi per il turbocapitalismo: degli sradicati, che fuggono dalle miserie, come dalle guerre, di cui l’Occidente è un comprimario in quanto a responsabilità. I nuovi schiavi che vengono per così dire “accolti”, in nome di “diritti universali”, servono come manovalanza a costo minimo per la valorizzazione del capitale; l’aspetto più inquietante che non viene messo in evidenza è che tale massiccia esportazione di lavoro neo-schiavile annichilisce il futuro delle nazioni africane, in quanto uomini e donne spesso con competenze altissime sono utilizzati dal nostra sistema a decremento dei luoghi di origine, i quali in tal modo divengono dei non luoghi molto affollati, dove manca tutto, specialmente la prassi che orienta verso il futuro. La massiccia e costrittiva “accoglienza” condanna interi continenti al sottosviluppo perenne. Il Mediterraneo diventa spesso il loro cimitero. Naturalmente una volta approdati il loro futuro è segnato dallo sfruttamento e dalla cancellazione dell’identità culturale (in nome della così detta “integrazione” da realizzarsi come prezzo dovuto). La situazione congiunturale favorisce, legalmente lo sfruttamento e la condizione neo-servile mascherata dalla legalità “buonista”. La controriforma del lavoro del sign. Renzi ha introdotto – con l’articolo quattro –, la possibilità del controllo digitale del lavoratore, favorendo la forma mentis et agendi finalizzata alla totale riduzione dei lavoratori ad oggetti da controllare sullo stesso piano delle merci. L’articolo così recita, e il termine articolo mai è stato tanto appropriato: «Esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale».
Naturalmente il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro. Si vuole con la fermezza del controllo introiettato, col ricatto e con l’abitudine ad essere strumento e mai soggetto, impedire ogni riorganizzazione dei popoli come dei lavoratori, ma in quanto uomini. Si devia da tale condizione con espressioni retoriche per evitare che si guardi il volto meduseo della trappola in cui stiamo cadendo. Ripensare con Marx il presente ci può dare dei validi strumenti, delle categorie di comprensione che possono far cadere il velo di Maya della falsa rappresentazione della realtà. La prassi necessita della teoria, i due piani se scissi producono o semplice azione poietica o asfittica teoria. La prassi di cui urge la presenza, dunque, necessita che si ritorni a pensare per capire come orientarsi tra le ipostasi del nuovo ordine/disordine globale.
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