Theodor L. Adorno (1903-1969) – L’ontologia di Heidegger finisce in una terra di nessuno. In ciò si manifesta la miseria del pensiero che vuol giungere al suo altro, e non può permettersi nulla senza timore di perdervi ciò che afferma. La filosofia diventa tendenzialmente gesto rituale. In esso però c’è anche qualcosa di vero: il suo ammutolirsi.

Theodor Ludwig Adorno - Heidegger

«Per essere conseguente l’ontologia di Heidegger finisce in una terra di nessuno. Essa deve eliminare gli elementi a posteriori, tantomeno essa deve essere logica, come dottrina del pensiero e una disciplina particolare; ogni passo del pensiero dovrebbe condurla oltre il punto, in cui soltanto le è lecito di sperare di bastare a se stessa. Alla fine, essa non osa quasi più predicare qualcosa dell’essere. In ciò si manifesta non tanto una meditazione mistica quanto la miseria del pensiero che vuoI giungere al suo altro, e non può permettersi nulla senza timore di perdervi ciò che afferma. La filosofia diventa tendenzialmente gesto rituale. In esso però c’è anche qualcosa di vero: il suo ammutolirsi».

Theodor L. Adorno, Negative Dialektik [1966], tr. it. Dialettica negativa, Einaudi, Torino 1970, p. 69.


Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.
Theodor L. Adorno (1903-1969) – Il fatto che a filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Theodor L. Adorno (1903-1969) – Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico.

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«Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore [Glanz] di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico [ …] e neppure un adempimento di desiderio psicologico. La qualità immanente di un pensiero: ciò che in esso si manifesta come forza, resistenza, fantasia, come unità dell’ elemento critico con il suo contrario, è se non un index veri, almeno un sintomo».

Theodor Ludwig Adorno, Dialettica negativa, trad. it. di C.A. Donolo, Einaudi, Torino 1970, pp. 347-348.


Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.

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Theodor Ludwig Adorno, La crisi dell’individuo, a cura di Italo Testa, Diabasis, 2010.

«La convenzionalizzazione della psicanalisi determina la sua propria castrazione […]. L’ultimo grande teorema dell’autocritica borghese è diventato un mezzo per assolutizzare, nella sua ultima fase, l’alienazione borghese, e per vanificare anche il sospetto dell’antichissima ferita, in cui si cela la speranza di qualcosa di meglio nel futuro».

T.L.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, 1954.


È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.


 

La trasformazione dell’ambiente, di cui abbiamo estrapolato alcuni esempi che tenevano già conto delle rispettive implicazioni psicologiche, rimandano a un nuovo tipo umano in corso di formazione. La si è denominata con espressione felice radio-generation, generazione radiofonica.
È il tipo dell’uomo la cui essenza è definita dall’incapacità di compiere esperienze personali, un uomo che si lascia imbandire le esperienze dall’apparato sociale, fattosi strapotente e impenetrabile, e che proprio per questo non riesce a spingersi fino allo stadio della formazione dell’io, fino alla «persona».
Secondo le teorie della psicanalisi ortodossa un tipo umano che fallisce a tal punto nella formazione dell’io sarebbe da classificare come nevrotico. Il concetto di nevrosi, però, implica determinati conflitti con la realtà. Dal momento che però la generazione radiofonica si priva della possibilità di formarsi un io proprio, adeguandosi passivamente alla realtà, e dal momento che proprio in virtù della mancanza di un «io» essa sembra integrarsi senza alcun conflitto nella realtà, il concetto di nevrosi non può essere applicato senza alcune riserve.
Se tutti costoro sono malati – e ci sono ottimi motivi per crederlo – essi non sono in ogni caso più malati della società in cui vivono. Al tempo stesso è dalla loro conformazione che dobbiamo partire per tentare di cambiare le cose.
Abbiamo ragione di credere che l’atrofizzazione si accompagni alla liberazione di alcune facoltà che mettono queste persone in grado di operate trasformazioni che i vecchi «individui» non avrebbero mai saputo realizzare.
L’apertura di una breccia nella parete monadologica che nell’era liberale imprigionava ogni individuo in se stesso è motivo di grandi speranze. La generazione radiofonica è stata definita «bidimensionale». La mancanza di continuità nell’esperienza rende loro quasi impossibile provare felicità e dolore.

Nessuna felicità, perché essa si dà soltanto dove c’è il sogno, ed essi non sanno più sognare.
Sono pressoché incapaci di concepire scopi che vadano al di là del loro ambito d’azione abituale, e tali da trascendere l’adattamento alle sue condizioni.
Felicità significa per loro adeguarsi, poter fare quello che fanno tutti, fare ancora una volta quello che fanno tutti. […]
Vedono il mondo così com’è, ma a costo di non poterlo più vedere come potrebbe essere. Per questo sono carenti anche dal punto di vista del dolore. Sono «induriti» in senso fisico e psicologico.
La freddezza è uno dei loro tratti più spiccati: sono freddi nei confronti del dolore altrui, ma anche nei confronti di se stessi.
[…] A questa freddezza risponde una complicità segreta con le cose, alle quali si cerca di assimilarsi. […] Il mondo delle cose diventa il sostituto delle immagini. Professano la religione dell’automobile. Il rapporto con i prodotti della tecnologia mette capo a una quanto mai curiosa mescolanza tra capacità di improvvisazione e obbedienza, tra «iniziativa» autonoma (mentalità da truppe di assalto) e rinuncia a un pensiero autonomo, una miscela che racchiude in sé la possibilità di entrambi gli estremi.
[…] Pensare di più, cioè spingersi per mezzo del pensiero al di là delle esigenze immediate poste dall’ambiente circostante, equivale oggi per la maggior parte degli individui a turbare quel processo di adattamento che requisisce la totalità delle loro energie psichiche.
Pensare di più significa ormai di per sé mettere a rischio le proprie chance di carriera, se non addirittura la propria immediata sicurezza.
Al tempo stesso, però, la perdita di ogni illusione intorno alla realtà, la quantificazione dei processi lavorativi che in teoria può consentire a ciascuno di svolgere qualunque mansione, e la relativa immediatezza con la quale le forze della società si affermano fanno sì che proprio il mondo oggettivo delle cose venga incontro a quella conoscenza che esso contemporaneamente reprime.
Quegli stessi uomini che si vietano il pensiero (e comportamenti affini come leggere libri, discutere di problemi teorici, ecc.) si sono fatti «scaltriti» e non si lasciano più abbindolare da nessuno.
Questa contraddizione ci sembra delimitare il problema veramente centrale di un’educazione riflessiva nell’attuale fase storica.

 

Theodor Ludwig Adorno, La crisi dell’individuo, a cura di Italo Testa, Diabasis, 2010.

Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.

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Minima moralia

Minima moralia

 

«Una società emancipata

è la realizzazione dell’universale

nella conciliazione delle differenze.

Una politica a cui questo

stesse veramente a cuore

dovrebbe richiamare l’attenzione

sulla cattiva eguaglianza di oggi […]

e concepire uno stato di cose

migliore come quello in cui si potrà

essere diversi senza paura».

 

Theodor Ludwig Adorno, Minima moralia, Einaudi.

 




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Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.

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Minima moralia

Minima moralia

Nei giorni del consumo totale le parole sembrano sparire, sono consumate dall’industria culturale. Diventano flatus vocis, sono mezzi per la pervasività mercantile, sono parole per un soggetto preda dei crampi del pensiero. La capacità e la motivazione allo scandaglio con il pensiero sembrano ridursi: il tramonto dell’occidente è il silenzio della sua identità. Gli autori che hanno rimasticato per creare nuovi possibili scenari non parlano con il presente, sono reliquie polverose a cui si irride e nel migliore dei casi sono documenti del passato a cui non ci si relaziona: semplicemente si archiviano.
La dimenticanza è la dimensione del presente: l’attività dev’essere rivolta al presente, al consumo immediato senza memoria.
Il pensiero è elaborazione di esperienza, vive nella prassi, ma necessita della sospensione del tempo del consumo per rappresentarsi il vissuto su cui operare ed essere metacognizione.
Si assiste invece ad una avversione preconcetta verso ogni attività che esiga ripensamenti, riconfigurazione, ricategorizzazione di mappe del pensiero. L’imperativo è ormai oltre il consumo per il consumo: è l’attività per l’attività, anche quando questa non consuma o non produce in modo da impedire che il soggetto emerga e possa diventare consapevole del suo esistere e porsi domande.
L’attività per l’attività è un mezzo ideologico di controllo. Il tempo è sempre pieno di attività con cui si impedisce la metariflessione e si educa ad essere disponibili “sempre” all’eterno movimento della globalizzazione. La globalizzazione del capitale finanziario – già descritta da Marx nel terzo capitolo del Capitale – ha la sua triste paideia, la sua diseducazione alla dialettica, mediante la costrizione all’attività: lo smanettare su pc, smartphone mentre si è seduti, spesso ha la sola funzione di formare alle dipendenze, mascherata da educazione digitale. Adorno, in Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa, ci dona concetti per la comprensione dei tempi attuali. Il capitalismo finanziario è il regno dell’astratto. Adorno, invece, coerente con l’elaborazione marxiana, ci insegna che il soggetto non è un accidente sostanziale da cui avviare l’indagine; piuttosto bisogna spiegare il soggetto partendo dalle condizioni materiali e dunque dai modi di produzione per capire il processo di soggettivizzazione e giudicarne la qualità. L’epoca dei diritti individuali per i quali si bombarda e si trasforma il pianeta Terra in inferno realizzato compiutamente, l’epoca dell’assoluta peccaminosità, ha favorito il regno dell’astratto: si parte dall’individuo astratto, astorico per poter affermare i diritti individuali universali in nome dei quali perseguire interessi di parte. Adorno mostra quanto l’industria culturale formi le opinioni con inganno mefistofelico. Ovvero, prima crea campagne capillari per la scelta di prodotti o di altro, e poi spinge a scegliere, decantando la libera scelta dell’individuo, il quale diviene paradigma ideologico delle libertà dell’occidente:

«La triste scienza, di cui presento alcune briciole all’amico, si riferisce ad un campo che passò per tempo immemorabile come il campo proprio della filosofia, ma che, dopo la trasformazione dei metodi di quest’ultima, è caduto in preda al disprezzo intellettuale, all’arbitrio sentenzioso, e infine all’oblio: la dottrina della retta vita. Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, che non è più se non un’appendice del processo materiale della produzione, senza autonomia e senza sostanza propria. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Parlare immediatamente dell’immediato significa fare come quei romanzieri che adornano le loro marionette, quasi con vezzi a buon mercato, con le pallide imitazioni della passione di un tempo, e fanno agire personaggi che non sono – ormai – che pezzi di un macchinario come se fossero ancora in grado di agire come soggetti, e come se dal loro agire dipendesse ancora qualcosa. Lo sguardo aperto sulla vita è trapassato nell’ideologia, che nasconde il fatto che non c’è più vita alcuna. Ma il rapporto tra vita e produzione, che abbassa la prima, nella realtà, ad una manifestazione effimera della seconda, è perfettamente assurdo. Mezzo e fine sono invertiti. Il sospetto di questo assurdo “quid pro quo” non è ancora del tutto cancellato dalla vita. L’essenza ridotta e degradata si ribella tenacemente contro l’incantesimo che la trasforma in facciata».[1]

La vita è offesa quando il soggetto ha come essenza solo la società, quando i pensieri non sono soltanto alienati ma molto di più: sono rubati. La mutazione antropologica che oggi il capitale assoluto tenta di realizzare esige utilizza l’abbattimento di ogni resistenza. Il soggetto si forma nella dialettica costellativa, ovvero nella relazione dinamica in cui l’alterità non è intombata nella gabbia delle logiche verticali di dominio. Se prevale la logica identificativa in cui l’altro è ridotto ad ente, ed è dunque fagocitato, il prigioniero è tale senza esserne consapevole e dunque finisce con l’amare la propria gabbia. È più realista del re perché il suo io è minimo, abituato alla sopravvivenza ed alla sopraffazione ama la sua gabbia e vorrebbe essere come il dominatore:

«Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento, che, per poter sopravvivere nell’orrore del mondo, attribuisce realtà al desiderio e senso al controsenso della costrizione. Non meno che nel credo “quia absurdum”, nell'”amor fati”, nell’esaltazione di ciò che è più assurdo, la rinuncia si umilia davanti al dominio. Alla fine la speranza, come si sottrae, negandola, alla realtà, è la sola figura in cui si manifesta la verità. Senza speranza l’idea della verità sarebbe difficilmente concepibile, ed è la falsità capitale spacciare per verità l’esistenza riconosciuta come cattiva, solo perché è stata una volta riconosciuta. In questo, piuttosto che nel contrario, è il delitto della teologia, contro il quale Nietzsche intentò il processo, senza mai pervenire all’ultima istanza. In uno dei passi piú forti della sua critica, egli ha accusato il cristianesimo di mitologia. “Il sacrificio espiatorio, e nella sua forma più raccapricciante e barbarica, il sacrificio dell’innocente per i peccati dei colpevoli!”». [2]

È possibile per il sistema di controllo giungere ad un tale risultato in cui le vittime collaborano con i carnefici inquinando le sorgenti di vita. Adorno ipotizza la genesi di un tale processo nella divisione del lavoro, nella specializzazione spinta, nella parcellizzazione dei saperi che favoriscono la formazione di uomini a dimensione unica e minima. Il risultato dell’atomizzazione sociale diventa atomizzazione dello spirito, per cui si recidono le relazioni interne al soggetto il quale non pensa perché non sente, il suo pensiero ha perso la profondità della genealogia pulsionale per divenire semplice azione meccanica irriflessa. In questo modo il soggetto non sente l’umiliazione a cui è quotidianamente esposto ed abbraccia un volgare amor fati consolatorio e specialmente non pensato, oltre il confine della gabbia non vi è nulla perché il gesto a guardare oltre è stato necrotizzato:

«Credere che il pensiero abbia da guadagnare una superiore obbiettività, o, perlomeno, non abbia nulla da perdere dalla decadenza delle emozioni, è già espressione del processo d’inebetimento. La divisione sociale del lavoro si ripercuote sull’uomo, per quanto possa promuovere l’operazione a comando.
Le capacità che si sono sviluppate in un processo d’azione e reazione reciproca, si atrofizzano non appena vengono separate l’una dall’altra. L’aforisma di Nietzsche “Grado e qualità della sessualità di un individuo penetrano fino nella sommità del suo spirito” non riflette solo uno stato di fatto psicologico. Poiché anche le più remote oggettivazioni del pensiero traggono alimento dagli impulsi, il pensiero, distruggendoli, distrugge la condizione di se stesso. Non è la memoria inseparabile dall’amore, che vuol conservare ciò che passa, ed ogni moto della fantasia non è generato dal desiderio, che trascende ciò che esiste e pur gli resta fedele, in quanto traspone i suoi elementi? E la più semplice percezione non si modella sull’angoscia di fronte all’oggetto percepito o sul desiderio del medesimo? Certo, con la crescente oggettivazione del mondo, il senso oggettivo delle conoscenze si è sempre più svincolato dal loro fondo impulsivo; e la conoscenza manca al suo compito, quando la sua attività oggettivante resta sotto l’influsso dei desideri. Ma se gli impulsi non sono superati e conservati nel pensiero che si sottrae a questo influsso, non si realizza conoscenza alcuna, e il pensiero che uccide suo padre, il desiderio, è colpito dalla nemesi della stupidità».[3]

Se la comunità è solo la somma di funzioni si può proclamare la vittoria del capitale assoluto e la morte della filosofia e dell’uomo. Malgrado i tempi siano terribili, l’umanità ridotta a vagabondi alla ricerca di emozioni fugaci e poco compromettenti, la Filosofia vive. In essa è possibile trovare contenuti per la resistenza, per formarsi e formare persone capaci di dono (e non solo del “libero” scambio). La speranza non è solo anelito ma motivazione alla resistenza logicamente fondata oltre che sentita.
La rilettura degli autori che paiono scomparsi dall’orizzonte culturale può essere un buon inizio per osservare il mondo con un rinnovato sguardo che possa alimentare con nuovo pensiero vitale la prassi. Ci sono autori che invitano ad uscire dal privato, a superare l’osmosi tra tempo libero e tempo lavorativo, per smascherare quanto il tempo libero è l’altro volto della manipolazione in continuità con il tempo gerarchizzato del lavoro. Si può favorire l’uscita dal privato, dal monadismo mercantile, anche con il semplice invito spontaneo al domandare, ad un agere che si riteneva impossibile e che può dare nuovo senso e densità al quotidiano. La lettura di Adorno oggi ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci, la necessità di guardare la Gorgone, la quale ci pone quesiti sul destino personale e del tempo storico condiviso. Non dobbiamo temere di essere trasformati in statue di sale, poiché è il non guardarla che ci fa essere semplice copia dell’umanità, creature scambiabili, perché funzioni consumanti. Colui che pensa si riappropria della qualità del suo essere umano e dunque rompe il ciclo quantitativo della facile scambibilità.

Salvatore Antonio Bravo

[1] Theodor Ludwig Adorno, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa, Einaudi, pp. 48-49.

[2] Ibidem, p. 113.

[3] Ibidem, pp. 128-129.

 


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