«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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«In generale si deve ricordare come la necessità di frenare le passioni non indichi in alcun modo, da parte dei filosofi greci, una condanna delle passioni stesse […]. Ecco perché, in nessun caso, le virtù avranno il ruolo di distruggere le passioni, di annientarle, ma, semmai, quello di modularle, di incanalarle e, insieme, di dislocarle. La virtù, infatti, è proprio questa capacità di dare ordine alla molteplicità delle passioni,[1] di convogliarle. Un desiderio non adeguatamente convogliato, infatti, è un desiderio destinato a disperdersi in mille rivoli, a restare inefficace.
La virtù, dunque, da questo punto di vista, si configura come un “temperamento” del desiderio, come un far defluire le passioni secondo una regola, in modo appropriato, tenendo conto del fatto che, come ricorda Platone nella Repubblica: «quando in una persona il desiderio è incanalato verso un solo obiettivo, gli altri desideri diretti ad altri obiettivi sono attenuati come se il loro flusso fosse stato deviato verso quell’unica parte».[2]
Come ha osservato a questo proposito Mario Vegetti: «l’idraulica platonica dei flussi di energia psichica contribuisce a chiarirne il senso: si tratta di chiudere un possibile canale per costringere questa energia a defluire verso scopi più alti, a beneficio dell’anima intera e non di una sola sua parte».[3] Ma per compiere questo incanalamento, occorre essere virtuosi, temperanti[4] (laddove la temperanza «ha […] poco a che fare con l’inibizione; al contrario è forza, è la misura che modula il canto»),[5] occorre educare le passioni,[6] instillare la ragione nel desiderio per dar luogo a quella perfetta fusione che è la virtù. Nella virtù, infatti, come è stato ricordato, «ragione e desiderio si uniscono fondendosi, come acqua e vino, e non si mescolano soltanto come acqua e olio».[7]
Arianna Fermani, Virtù, Unicopli, Milano 2021pp. 27-28.
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[1] «L’esistenza della sfera appetitiva e le connessioni che essa intrattiene con i livelli razionali dell’anima costituiscono una posta in gioco particolarmente elevata all’interno dell’indagine aristotelica, poiché forniscono l’indispensabile supporto alla teoria della virtù etica: essa infatti si instaura quando le spinte passionali provenienti dall’orektikon si sottopongono al controllo della razionalità pratica» (S. Gastaldi, Le immagini della virtù. Le strategie metaforiche nelle “Etiche” di Aristotele, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1994, pp. 75-76).
[2] Platone, Repubblica, VI, 485 D 7-9. «Le parte dell’anima (ognuna delle quali ha i suoi desideri specifici) vanno allora concepite come possibili canalizzazioni di un’unica fonte di energia psichica, che proviene dal suo fondo irrazionale, e che può dar luogo a diverse spinte motivazionali a seconda della direzione in cui fluisce» (M. Vegetti , L’etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 132).
[4] «Una persona siffatta sarà anche temperante» (Platone, Repubblica, VI, 485 E 4).
[5] S. Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Universale Economica Feltrinelli, Milano 1996, 19972, p. 125.
[6] «Il recupero all’anima delle istanze del desiderio e della passione ne fa certo il teatro di un conflitto sempre presente fra centri motivazionali diversi. Ma, dal punto di vista di una politica dell’anima, questo comporta anche due decisivi vantaggi rispetto alla concezione tradizionale. Se desideri e passioni appartengono all’anima e non al corpo, essi risultano in qualche modo omogenei alla facoltà razionale, al principio d’ordine dell’anima, e sono quindi almeno potenzialmente educabili, governabili, persino utilizzabili per le finalità superiori; la parte irrazionale dell’anima non è tanto impenetrabile ed ostile al governo della ragione quanto lo era una corporeità intrinsecamente malvagia» (M. Vegetti , L’etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1996, p.130).
[7] C. Natali, La saggezza di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 1989, p. 137.
Sommario
Quarta di copertina
L’αρετή di un individuo, come pure quella di un animale o di una realtà inanimata, è per un greco la sua migliore realizzazione, la perfetta esecuzione del proprio compito; la virtù di un qualsiasi essere è ciò per cui ne va del suo valore, ciò che realizza quel determinato essere proprio perché lo fa essere “ciò che è”. Il volume attraversa le ricchissime nozioni di αρετή e di virtus, nel lungo e stratificato arco storico che va da Omero a Proclo, intrecciandole a questioni, altrettanto complesse e appassionanti, quali quelle di responsabilità dell’agire, vizio, piacere e dolore, vita felice e così via. In un serrato “corpo a corpo” con i testi e con le riflessioni degli antichi – che oltre che a parlare a noi, su queste tematiche, più che mai, parlano di noi – il testo è impreziosito da due strumenti utili ad orientarsi nei diversi profili, storici e concettuali, del tema d’indagine: Lessico delle virtù e Glossario delle virtù.
Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana.
Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele
Editore: eum, 2006
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.
Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano. La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.
Sommario
Ringraziamenti Premessa I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni II “Essere” e “dirsi in molti modi” Introduzione I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele II. Autenticità delle tre Etiche III. Obiettivi e struttura del lavoro
PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù Capitolo primo: Giustizia e giustizie Capitolo secondo: La fierezza Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio” Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio
SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca” Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore
TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi Conclusioni Bibliografia Indice dei nomi
In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.
Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.
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Interiorità e anima: la psychè in Platone
Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani
Vita e Pensiero, 2007
Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.
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Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.
Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.
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Il ‘simposio’ di Platone
J. Rowe, Arianna Fermani
Academia Verlag, 1998
Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.
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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità
“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità; Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203
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ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE
Arianna Fermani
Vita e Pensiero
Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202
In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.
«Ora, bisogna dire che ogni virtù ha l’effetto di portare alla piena realizzazione ciò di cui è virtù e far sì che eserciti bene la sua funzione […]. Dunque, in tutto ciò che è divisibile è possibile cogliere il più, il meno e l’uguale, e, questo, sia in relazione alla cosa stessa sia in relazione a noi; d’altra parte l’uguale è una sorta di intermedio tra eccesso e difetto. Intendo dire che l’intermedio in relazione alla cosa, intermedio che è uno solo per tutti, è ciò che dista in modo uguale da ciascuno degli estremi, mentre l’intermedio rispetto a noi è ciò che non eccede né difetta; e questo non è uno solo né è lo stesso per tutti. Ad esempio: se dieci sono molti e due sono pochi, come giusto mezzo rispetto alla cosa si prende sei; infatti supera ed è superato in misura uguale: questo è il giusto mezzo in base alla proporzione aritmetica. Quello relativo a noi, invece, non deve essere còlto in questo modo[…]. Così, allora, ogni esperto rifugge dall’eccesso e dal difetto, mentre va alla ricerca del giusto mezzo e lo sceglie, ma non il giusto mezzo rispetto alla cosa, ma quello rispetto a noi. Se, quindi, ogni scienza realizza la sua funzione specifica, guardando al giusto mezzo e rivolgendo a ciò le sue opere […] e se la virtù, come la natura, è più precisa di ogni tecnica, ed è anche migliore, la virtù verrà ad essere ciò che mira al giusto mezzo. Mi riferisco alla virtù morale: essa, infatti, riguarda le passioni e le azioni, ed è in queste che si danno eccesso, difetto e giusto mezzo; per esempio del provare paura, dell’essere coraggiosi, del desiderare, dell’arrabbiarsi, del provare pietà e, in genere, del provare sensazioni di piacere e di dolore, vi è un troppo e un poco, ed entrambi non sono buoni; al contrario il provarli nel momento opportuno, riguardo alle cose e alle persone adatte, per il fine e nel modo adeguato, è il giusto mezzo e l’ottimo, e questa è la caratteristica della virtù. Allo stesso modo, anche nelle azioni vi è un eccesso, un difetto e un medio. La virtù, d’altro canto, riguarda le passioni e le azioni, nelle quali l’eccesso rappresenta un errore e il difetto viene biasimato, mentre il giusto mezzo è lodato e rappresenta la correttezza; e entrambi questi elementi caratterizzano la virtù. La virtù, pertanto, si configura come una certa medietà, dato che è ciò che tende al giusto mezzo. Inoltre, si può sbagliare in molti modi (infatti il male ha la caratteristica dell’illimitato, come avevano intuito i Pitagorici, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato), mentre la correttezza si dà in un modo solo (perciò accade anche che una cosa è facile e una è difficile: facile, da un lato, è fallire il bersaglio, mentre difficile è coglierlo). Per queste ragioni l’eccesso e il difetto sono propri del vizio, mentre la medietà è la caratteristica della virtù:
«nobili in un modo solo, ignobili in tanti modi».
La virtù, quindi, è uno stato abituale che orienta la scelta, consistente in una medietà rispetto a noi, determinato razionalmente e come verrebbe a determinarlo l’individuo saggio. Medietà tra due mali, l’uno secondo l’eccesso e l’altro secondo il difetto. Inoltre, per il fatto che alcuni stati abituali, sia nelle passioni sia nelle azioni, sono alcuni in difetto e altri in eccesso rispetto a ciò che si deve, la virtù individua il giusto mezzo e lo sceglie. Perciò, da un lato, se si prende come punto di riferimento la sostanza e la definizione che ne esprime l’essenza, la virtù si configura come una medietà, mentre dall’altro, se il punto di riferimento è l’ottimo e il bene, la virtù si configura come un estremo».
Aristotele, Etica Nicomachea, Libro II, 1106 a – 1107 a 9, in Id., Le tre etiche e il trattato sulle virtù e sui vizi, traduzione e cura di Arianna Fermani, introduzione di Maurizio Migliori, Bompiani, Milano 2018, pp. 497-501.
In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l'”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.
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