Michele Gasapini – La caduta di Icaro. Analisi del mito e della modernità

Marc ChagallLa Caduta di Icaro

Marc Chagall, La Caduta di Icaro.

Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono,
è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica.
Nonostante la loro consunzione moderna,
i
miti restano,
al pari della metafisica,
un ponte gettato verso la trascendenza.

E. Junger[1]

 

  1. Introduzione

Può un mito antico più duemilacinquecento anni raccontare e interpretare il presente? Inizio provando a rispondere a questa domanda che mi permette di esplicitare le premesse, garanzie non tanto di oggettività ma di trasparenza, su cui si basa questo lavoro.
In primo luogo, ricordando la lezione di Cassier[2]  l’uomo è un animale simbolico e dunque il mito contiene verità senza tempo sugli aspetti ultimi della natura umana. Natura umana che nel mondo della post-modernità sembra perdersi in favore di individualità prive di legami, funzionali all’attuale sistema ideologico – sociale. Occorre dunque ripartire dallo spirito greco, dalla concezione aristotelica di uomo come come politikon zwon[3] e zwon logon econ[4]  e dal concetto filosofico di metron[5]  come chiave fondativa non solo di qualsiasi interpretazione ma di ogni tentativo di riformulazione del presente. L’analisi proposta punta a compiere quel rovesciamento gestaltico rispetto alle tradizionali interpretazioni che aprirà alla comprensione, non solo del mito di Dedalo e Icaro, ma anche del nostro tempo.
Il lavoro si divide dunque in due parti, pur con le inevitabili contaminazioni, una prima parte dove saranno analizzate le strutture simboliche ricorrenti e una seconda dove queste premesse saranno sviluppate in un’analisi della modernità. Spetterà poi al lettore stabilire se si è trattata di un’indebita oppressione di un mito greco sul letto di Procuste della critica sociale oppure se le suggestioni suggerite dal percorso avranno contribuito ad allargare la comprensione del mondo attuale.

  1. Il mito[6]  e le sue strutture

Abbiamo quindi individuato le cinque strutture fondamentali da cui partire nell’interpretazione del mito. Non è rilevante individuare una versione unitaria della storia quanto analizzarne i suoi significanti fondamentali, senza perdersi in dettagli, filologicamente interessanti, ma privi di importanza per il lavoro che ci siamo proposti.
Le strutture individuate sono:

  • il minotauro
  • il labirinto
  • la costruzione delle ali
  • il volo e la caduta

Queste cinque costellazioni simboliche[7]  serviranno da guida nell’esplorazione dei significati del mito, nella convinzione che questi possano essere, non esauriti, ma ricondotti all’interno di queste cinque categorie fondamentali.

2.1 Il minotauro

Il Minotauro è una figura che ha affascinato artisti di ogni epoca storica proprio in virtù della sua duplice natura di uomo e animale.[8]  Pur non apparendo direttamente all’interno del racconto, il suo ruolo rimane quello di un primus movens:

  1. Dedalo è responsabile del suo concepimento, costruendo la giovenca di legno che permetterà a Pasifae, moglie di Minosse, l’incestuoso accoppiamento.
  2. per lui Dedalo costruisce il labirinto dove sarà rinchiuso insieme al figlio
  3. la sua presenza rende la fuga necessaria

La caratteristica fondamentale del minotauro è appunto il suo essere al medesimo tempo uomo e animale, creando una figura dove questi due aspetti non possono essere esaminati singolarmente ma nella loro unione. Il minotauro, quindi, come unione bestiale tra uomo e animale, frutto del cedere al desiderio irrefrenabile e innaturale, alle pulsioni irrazionali interne all’essere umano. Reificazione mostruosa, nel concepimento come nell’aspetto, del duplice tabù della zoofilia e del cannibalismo, trasformati in vivida verità che non possono essere semplicemente e privatamente negati nella loro realtà, ma per poter mantenere lo status quo devono essere rimossi dal visibile e nascosti in quella simbolizzazione dell’inconscio rappresentata dal labirinto[9].
E’ interessante osservare come il peccato originale da cui scaturisce quest’essere mostruoso è un peccato del maschile, un peccato del padre; padre e re e quindi peccato della comunità stessa come struttura sociale. La passione che si accende in Pasifae è scatenata da Nettuno per punire Minosse, reo di essersi rifiutato di sacrificare al dio il vitello bianco per tenerlo all’interno della propria mandria. Il peccato originale è dunque un peccato di accumulo, il desiderio di possedere ciò che era destinato agli dei[10]  crea il minotauro, che appunto reifica il desiderio sfrenato e che continuamente ha da essere alimentato tramite il più terribile dei sacrifici[11], senza poter essere eliminato.
La sua apparizione è il momento di consapevolezza dell’uomo nella forma della sua rappresentazione simbolica e da quel momento, il minotauro può essere celato, nascosto, ma rimane. E’ l’ente che rappresenta la realtà di questo lato della natura umana: il prodotto di un unione perversa che distorce l’essenza stessa dell’umano producendo un abomino.[12] E’ quindi un inganno consapevole quello che viene messo in atto, tramite il suo nascondimento all’interno del labirinto.

2.2 Il labirinto[13]

La seconda struttura che incontriamo nel nostro percorso è quella del labirinto. Costruito da Dedalo su ordine di Minosse è il luogo della prigionia del Minotauro, e il luogo in cui il suo costruttore venne rinchiuso insieme al figlio.
Il labirinto risponde a una duplice funzione nei confronti della creatura:

  1. imprigionare
  2. nascondere

Imprigionata per proteggere la comunità dalla sua furia, celata perchè la sua stessa presenza è scandalo e seppure sia necessario contenerlo non può essere eliminato dalle forze che l’hanno creato. La stessa costruzione del labirinto richiama costantemente alla sua presenza: non in una cella segreta ma in una struttura gigantesca e ben visibile è rinchiuso il Minotauro. Di fronte a queste premesse risulta quasi banale associare al labirinto la parte della psiche e al Minotauro la parte nera e scura, l’ombra dell’inconscio che si nutre di istinti irrefrenabili.
A chi appartiene dunque il labirinto? E’ il labirinto di Minosse certo, ma è anche il labirinto di Dedalo e delle sue colpe, è in fondo il labirinto dell’uomo, del Dedalo e del Minosse che è in ognuno di noi e che ciascuno di noi costruisce non solo come singoli ma anche come società.
Ma il labirinto è sempre anche una porta aperta verso l’ignoto. Accanto ai drammi, alle difficoltà, al rischio di perdersi al suo interno, l’idea del labirinto ci lascia la possibilità d’intravedere un’uscita, una soluzione agli enigmi, agli inganni, alle illusioni che esso ci pone davanti. Ecco che il nostro labirinto prende forma con le sue luci e le sue ombre, gli antri oscuri e i cortili da cui vedere il sole, una costruzione dell’uomo, dove perdersi e dove ritrovarsi.
Un luogo catartico nel quale ci si trova di fronte all’ombra, una sorta di bozzolo nel quale troviamo la possibilità di reale riscatto o di perdita definitiva. In un caso come nell’altro il labirinto apre alla scelta autentica tra la conquista della luce e il disperdersi nelle tenebre.

2.3 La costruzione delle ali[14]

Dedalo costretto nel labirinto si trova di fronte a due soluzioni: soccombere di fronte all’oscurità o trovare una via d’uscita. Tuttavia il labirinto non ha una soluzione, non esistono vie di fuga o passaggi segreti che la permettano. Ha costruito per se stesso la prigione perfetta: se una via di fuga esiste, Dedalo non è in grado di trovarla all’interno del labirinto, deve crearla. Artefice fino in fondo delle sue fortune, così come delle sfortune, Dedalo, allora, per fuggire insieme al figlio, progetta la costruzione di un paio d’ali[15].
A questo punto il mito ci mette di fronte a due figure fondamentali che si sovrappongono.

  1. Dedalo non riceverà aiuti esterni per fuggire, non l’appoggio di dei o salvatori, può contare solo sulle sue forze, sul suo ingegno, sulle sue scelte: sulla sua prassi, intesa come azione trasformatrice. Come l’uomo crea con le sue azioni il labirinto e il mostro che lo popola, ugualmente con le sue azioni è in grado di superarlo e fuggirlo. E’ la fuga da un labirinto a determinare la sconfitta, la soluzione dello stesso. Qui il concetto diventa più sottile: il mostro e il labirinto non sono superati con il loro annientamento, perchè intimamente connessi all’uomo. Il tentativo di affrontarli in questo strada apre unicamente la porta a nuovi labirinti e nuovi mostri e la futura storia di Teseo ce lo mostra molto bene. Il labirinto può essere superato, cioè risolto e quindi sconfitto nella sua essenza più propria, ma solo trascendendolo attraverso una prassi mirata e consapevole.
  1. Il secondo punto riguarda il livello su cui basare questa ricerca. La leggenda ci insegna che il labirinto non può essere superato rimanendo sul suo stesso piano. E’ necessario una sorta di salto quantico di consapevolezza per fuggire da questa prigione. L’unica azione che può salvarci deve portarci appunto a trascendere la realtà narrata dal labirinto. Una realtà che non può essere negata ma può essere superata con la forza del nostro ingegno e la determinazione delle nostre azioni. Il labirinto non è una necessità insuperabile è stato creato dall’uomo ed è nel potere dell’uomo superarlo. Un superamento che non è la sua distruzione o il suo annullamento, cosa che non è nelle possibilità dell’uomo, il labirinto rimane, ma l’uomo con le sue scelte e le sue azioni determina il proprio esserne o meno prigioniero.

2.4 Il volo e la caduta

Arriviamo all’analisi dell’ultima immagine presente nel mito, il tragico volo di Dedalo e di suo figlio Icaro. La via di fuga è una corda tesa su due lati di un abisso: è questo lo spazio dell’uomo che rimane sospeso tra gli dei e gli animali e che quindi si trova nella continua situazione di poter perdere l’essenza del suo essere. E’ la capacità di ragionamento[16] che gli è propria a permettere all’uomo di trovare il suo posto nel giusto mezzo che gli spetta. Il tema del metron, cifra della saggezza greca, ritorna prepotentemente anche in questo mito: solo la capacità di realizzarsi nella propria natura più intima che non è quella della bestia nè del dio, permette all’uomo di essere libero e trovare la propria salvezza. Nel momento in cui Icaro non si accontenta del suo essere uomo ma crede di poter arrivare fino agli dei, ecco si consuma la sua rovina. Il desiderio di oltrepassare quel limite, l’avvicinarsi al sole fa si che la cera che tiene insieme le piume si sciolga per il troppo calore e che precipiti nel mare. Lo spazio dell’uomo è, quindi, lo spazio del mezzo, uno spazio che richiede uno sforzo continuo per essere abitato ma che è l’unica strada che ci è offerta. Il desiderio, l’ardire di Icaro, disattendendo l’avvertimento del padre, di raggiungere lo spazio riservato agli dei provoca la sua caduta. Non è un immagine casuale, Icaro non viene distrutto dal calore, assorbito da esso, nonostante tutti i suoi sforzi il sole rimane irraggiungibile e il suo destino è quello di precipitare scomparendo tra i gorghi.

  1. Il mito e la modernità

Partendo dall’analisi delle strutture del mito svolta in precedenza proveremo ad arrivare al centro dell’obiettivo che ci eravamo prefissati e cioè aprire una finestra sul mondo che ci circonda. Ripercorrendo il sentiero svolto in precedenza proporremo, attraverso le suggestioni dei simboli incontrati, un percorso interpretativo in grado di portare in luce pieghe altrimenti nascoste del presente.

3.1 Minotauro: l’illimitatezza del desiderio

Il minotauro racconta lo spirito del capitalismo[17], lo spirito del mondo a cui apparteniamo e della sua cifra che è l’illimitatezza. Dove il mondo greco aveva posto il limite (peras) e la misura (metron) come dimensione dell’umana esistenza, il capitalismo, ponendo a fondamento del proprio essere l’accumulo illimitato del capitale, rovescia tali valori e la dimensione che gli è propria è quella dell’illimitatezza del desiderio astratto. Desiderio rappresentato dalla voracità insaziabile del minotauro che come il capitale non si ferma nemmeno di fronte alla vita umana per poter soddisfare la sua fame inestinguibile. Il meccanismo spietato che porta ogni anno a sacrificare vittime al minotauro non è forse lo stesso dispositivo che vediamo tutti i giorni alimentare l’appetito senza fine del capitale a discapito dei diritti, della dignità umana e della natura? Il mostro nato dal desiderio di possesso di Minosse, che in quanto re rappresenta simbolicamente l’uomo, cioè dal rifiuto di restituire agli dei ciò che era loro di diritto per assegnarlo alla propria sfera privata, genera un mostro che con la sua presenza più o meno consapevole, più o meno celata soggioga la vita e le dinamiche dell’intera comunità. Tuttavia la storia c’insegna anche un’altra verità, come il minotauro è stato creato dall’uomo così rientra nelle possibilità dell’uomo distruggerlo: il minotauro non è il destino ma qualcosa che, se dio vuole, avrà un destino.

3.2 Il labirinto: la gabbia d’acciaio

Il labirinto è il regno del capitale, il regno del minotauro nel quale Dedalo è imprigionato e noi con lui. Il labirinto evoca atmosfere differenti ma complementari a quelle dell’immagine weberiana della gabbia d’acciaio[18] arricchendone il ritratto con sfumature essenziali. Il labirinto non solo rinchiude, inganna. Inganna per la sua complessità, apparentemente inestricabile per chi si trova al suo interno, inganna per la falsa idea di libertà che trasmette, per le false vie che nascondono vicoli ciechi al posto delle uscite. E’ possibile passare la vita persi nel labirinto fino a convincersi che non esista altro al di fuori, che la realtà e il significato possano essere cercati soltanto all’interno dello spazio stabilito dal capitale e che sarebbe vana ogni ricerca che volesse portarci oltre le sue pareti. Oltre questo il labirinto veicola in sè, a differenza della gabbia d’acciaio, anche l’idea della sua risoluzione: di una libertà dal labirinto e non nel labirinto. Se il mondo di Weber è un esito finale, un destino ineluttabile a cui piegarsi e contro cui ogni battaglia è destinata a fallimento più o meno eroico, ecco, nascosta nel cuore del labirinto batte la speranza.

3.3 La costruzione delle ali: la prassi trasformatrice

La speranza che batte al centro del labirinto è un’impulso verso il futuro, il nucleo della dottrina di Marx secondo l’interpretazione, a mio parere corretta, che vede il suo pensiero ricondotto nell’alveo dell’idealismo, e l’analisi economico scientifica secondaria all’impianto filosofico che la sostiene e la attraversa, riemergendo come un torrente carsico che si nasconde solo per riaffiorare, in tutto il percorso del filosofo di Treviri[19]. Questa speranza non è sogno, si basa sul fatto che come l’uomo crea il minotauro e costruisce il labirinto con le sue azioni, con le sue azioni può liberarsi dalla sua prigionia. La costruzione della ali è quindi metafora della prassi trasformatrice che l’uomo ha la possibilità di mettere in atto, per rompere le catene che egli stesso ha forgiato e stretto ai proprio polsi. Costruire ali per permettere un radicale cambio di prospettiva, un allontanarsi verso l’alto che permetta una visione complessiva dell’inganno insito nel labirinto e che spinga l’umanità a sviluppare un pensiero in grado di comprendere e valutare la totalità. La soluzione del labirinto non si trova all’interno del labirinto ma nel suo superamento, un superamento che non può prescindere dalla prassi[20] e dalla volontà dell’uomo.

3.4 Il volo e la caduta: lo stretto percorso dell’emancipazione umana

Il cammino emancipativo dell’umanità è tortuoso e avvolto nella nebbia, il rischio di smarrirsi accompagna ogni passo; e d’altra parte se si fosse trattato di una strada diritta non staremmo dove stiamo, e cioè a valutare il successo di una persona sulla base del numero di optional che monta sulla macchina. Non esistono soluzioni preconfezionate, l’unica via percorribile richiede un continuo esercizio per conformarsi ad essa, un incessante sforzo che permetta la progressiva emancipazione dell’uomo da questa condizione di inautenticità. Un percorso dove il rischio di fallire è costante, fallimento che nel mito si concretizza simbolicamente in due opposti tra loro correlati: il cielo e la terra[21], il destino estraneo all’uomo proprio rispettivamente delle bestie e degli dei. Lo spazio dell’uomo è quello intermedio[22], e il costo di non accettare la necessità di uno sforzo costante di riappropriazione della propria umanità, mediato dalle capacità razionali dell’uomo e diretto a creare o riposizionare le condizioni politiche, economiche e sociali che permettano una reale realizzazione dell’essere più proprio, porta alla dissoluzione di coloro che non possono essere nè animali nè dei.
La caduta di Icaro e il suo perdersi nell’abisso rappresentano il rischio dell’illimitatezza: non soddisfatto di essere sfuggito al minotauro, il suo desiderio di raggiungere gli dei, è l’errore di chi non accetta la sua natura ma vuole spingersi oltre il giusto limite. Questo tipo di desiderio, lungi dal realizzarsi, conduce alla rovina, l’allontanarsi dalla traettoria del mezzo, isola, conduce a una singolarità priva di legami, destinata a perdere le ali che si sciolgono sotto il calore del sole; a perdere cioè la capacità di produrre una prassi trasformatrice della realtà, nella realtà, irretito dal desiderio di possedere l’ideale. Non è questa la strada riservata all’uomo, l’abisso che accoglie Icaro è l’abisso di colui che dopo aver abbandonato il reale per l’astratto, la comunità per la singolarità, scompare nelle profondità privo di strumenti per creare.

  1. Conclusioni

L’analisi del mito di Dedalo e dalla sua fuga dal labirinto ci ha accompagnato con le sue suggestioni alla ricerca di quel filo che possa condurre anche noi verso l’uscita. Si è trattata, dunque, di un’operazione lecita? Con che diritto abbiamo preso un mito dell’antica grecia per porlo alla base di una critica della società capitalista e del suo necessario, qui utilizzato nel senso di necessità storica e non d’inevitabilità, superamento. Il successo di questo tipo di operazione, se successo è stato, si basa sul fatto che il mito racchiude in sé verità senza tempo, e pur nascendo in un determinato periodo storico-sociale, contiene un eccedenza veritativa in grado di parlarci al di là dei secoli, rivolgendosi direttamente a ciò che la natura umana ha di più proprio. E’ proprio a questa natura a cui dobbiamo aggrapparci per trovare una strada che ci porti al dì là di questa gabbia: una natura umana che è nella sue radici profonde incompatibile col sistema capitalista. Per quanto il labirinto del mondo del capitale sia grande e complesso, per quanto il minotauro sia una sorta di fratello mostruoso delle nostre pulsioni distruttive, ci sarà sempre un parte della natura umana che non confonderà le pareti del labirinto con i confini della storia e la sagoma deforme del minotauro con il reale spirito dell’uomo. E questo per l’intrinseca falsità che sta nel profondo della riproduzione capitalistica, a livello strutturale così come nel piano simbolico. Sarebbe però pericoloso affidarsi a questa speranza confondendo la possibilità con la necessità, non esistono scorciatoie o strade in discesa, per superare lo stato attuale dovremmo essere in grado di compiere un atto creativo che è nell’uomo e oltre l’uomo: costruirci delle ali per spiccare il volo. Lo sforzo di pensare una società e un mondo oltre il capitalismo è un esigenza, ora sopita, ma destinata a riemergere perchè legata inestricabilmente alla natura ultima dell’umanità, e alla fondamentale domanda sul suo essere sociale.
E’ solo nell’iniziare a pensare la possibilità di un suo superamento che ci apriamo al superamento nel suo essere storico, finchè ragioniamo all’interno delle dinamiche capitaliste con le sue logiche apparentemente esatte perchè incapaci di cogliere l’intero, resteremo prigionieri della perfezione geometrica di questo labirinto.
Superare il labirinto significa riprenderci la nostra libertà, quella di rifiutare di schierarci da un lato o dall’altro di questa gabbia convinti che questo possa avere un significato, per poter cercare con l’esercizio della nostra ragione un’apertura che ci riporti sul cammino diretto all’autentica determinazione e felicità dell’uomo.

Michele Gasapini

Note

[1]Antonio Gnoli, Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, 1997. p. 96.

[2] “Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale. Esso non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto, ma è lo strumento in virtù del quale questo stesso contenuto si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza”. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Intr., §II

[3]Nella Politica (libro A) l’uomo è detto zòon lògon èchon (animale avente il logos – deriva dal verbo leghein, legare, poi traslato in dire e pensare), ed evidentemente qui il logos riferito all’uomo è la parola. Dopo aver ribadito che l’uomo è animale politico, qui si distingue la voce (phonè), che è data anche agli altri animali, dal logos, che costituisce il proprio dell’uomo, che è l’unico ad avere coscienza del bene e del male. Anche nell’Organon (De Interpretatione) il discorso è suddiviso in phonè e pathèmata (realtà accolte), le cose ricevute dall’anima, contenute nell’intelletto umano. Il discorso umano è allora una realtà simbolica, è una manifestazione sensibile di significati colti dall’intelletto. La definizione sembra allora ottenere completa compatibilità, e se leggiamo anche il libro E dell’Etica Nicomachea, vediamo come l’anima sia dotata di ragione: tuttavia per Aristotele anima è comunemente intesa come sinonimo di sinolo umano, dunque forse lògon èchon va anche qui inteso come l’uomo stesso, in quanto dotato della componente razionale dell’anima.

[4] Le origini della filosofia antica: alla ricerca della misura delle cose. Breve saggio sul concetto di logos come misura dei beni della comunità sociale. A cura di Alessandro Volpe https://www.academia.edu/1920035/Lorigine_della_filosofia_greca_alla_ricerca_della_misura_delle_cose. Questo saggio che raccoglie in maniera importanti alcuni contributi del filosofo torinese Costanzo Preve sulla filosofia greca, rilegge in chiave ontologico sociale i concetti artistotelici qui riportati, dandone un’interessante chiave interpretativa.

[5] Costanzo Preve, La saggezza dei Greci. Una proposta interpretativa radicale per sostenere l’attualità dei Greci oggi [pubblicato su Koinè, Periodico culturale – Anno XVI – Gennaio-Giugno 209 Direttore responsabile: Carmine Fiorillo – Direttori: Luca Grecchi, Diego Fusaro].

[6] La tradizione riporta differenti versioni del mito di Dedalo e Icaro che tuttavia non ne vanno a intaccare il significato fondamentale della nostra interpretazione, rimanendo costanti i riferimenti simbolici.

[7] “Costellazione”, quale “rete di simboli” afferenti ad uno specifico motivo archetipico. Secondo la definizione di Gilbert Durand (Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale). Qui inteso nel senso che i cinque paragrafi individuati contengono in realtà un’insieme di simboli tra loro significativamente correlati.

[8] Per citarne alcuni Durenmatt, Borges, Dante per la letteratura, Dali, Picasso, Watts per le arti figurative.

  1. Forme labirintiche si trovano in pressoché tutte le civiltà conosciute: nella grafica preistorica, nei mandala orientali, in talune danze rituali, nella cultura classica greca e latina, nei testi alchemici, nei pavimenti delle cattedrali cristiane, nella letteratura simbolica ed emblematica dal medioevo all’età moderna. Simbolo ampiamente utilizzato in psicanalisi da Freud a Jung.

[10] Minosse lo sottrae allo dimensione del sacro, per definizione esterna al ciclo di riproduzione economica (il tempio è sacro perchè non è in vendita, per usare le parole di Heidegger), per portarlo all’interno del suo privato possesso.Dimensione sacra che può essere vista senza particolari forzature come dimensione garante dell’integrità della comunità e che viene rotta da questa azione, che rimane, fuor di metafora, un azione sociale e non certo personale.

[11] Sette fanciulli e sette fanciulle. L’equilibrio che il sette rappresenta in numerologia, viene rotto dall’azione fagocitante del minotauro.

[12] Nel momento in cui l’uomo rompe il patto comunitario, garantito all’interno del mito dal diritto degli dei, ecco che nasce qualcosa del tutto inconciliabile, che mette in discussione la sua stessa esistenza. “Ma quest’essere grande che possiede Genio inventivo, oltre ogni speranza Ora si volge al male e ora al bene. Chi rispetta le leggi della patria e il giurato diritto degli dei quest’uomo è il cittadino di uno Stato che egli stesso è servito ad innalzare; ma l’uomo che si fa compagno il male per gusto temerario è un senza patria. L’uomo che vuole agire in questo modo, mi stia sempre lontano dalla casa e dal cuore” (Sofocle, Antigone. I stasimo. II Antistrofe).

[13] Il labirinto è simbolo dei cammini tortuosi della vita o della coscienza. Invita alla ricerca interiore per uscire dallo smarrimento, evoca due tendenze opposte: la liberazione o la prigionia. “E’ un simbolo interiore: siamo tutti labirinto, intrigo di viscere e di pensieri contorti. Per uscirne è necessario entrarvi. Perdersi nelle strade di una città, è un modo per avvertire quanto questo assomigli alla nostra mente, alla nostra vita; può essere un esercizio per reggere lo spaesamento incombente.”

[14] Le ali indicano la facoltà di conoscenza, colui che comprende ha le ali. Cfr.  J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei Simboli, BUR , 2005.

[15] “Hope” is the thing with feathers” (E. Dickinson)

[16] In quanto appunto zwon logon econ.

[17] Y. Varoufakis, Il Minotauro Globale. L’America, le vere origini della crisi e il futuro dell’economia globale. Asterios, 2012. Nel quale il futuro ministro dell’economia greco usa il minotauro come metafora degli USA e dell’attuale fase del capitalismo globale.

[18] M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, 1991.

[19] A questo proposito, cfr. G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar Editore, 1973.

[20] “La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica”. (K. Marx, VIII tesi su Feuerbach)

[21] Rappresentati in questo caso dal sole e dal labirinto.

[22] ”L’uomo è intermedio tra dei e animali” (Plotino, Ennade III).

Daniela Marcheschi – Leopardi e l’umorismo, 2010

Coperta-Leopardi

Daniela Marcheschi

Leopardi e l’Umorismo

ISBN 88-7588-042-5, 2010, pp. 80, formato 105×155 mm., Euro 10.

indicepresentazioneautoresintesi

Sono raccolti qui due scritti su Giacomo Leopardi: Leopardi e l’Umorismo (2008) e Giacomo Leopardi oggi (1993). Nel primo, a partire dal progetto fallito del giornale «Lo Spettatore Fiorentino», la Marcheschi mette originalmente in risalto le fonti classiche e moderne   cui attinse l’umorismo di Leopardi, le problematiche formali, i rapporti con le opere e con la riflessione dello Zibaldone, a sottolineare la dimensione di agonismo etico ed intellettuale attribuita dal poeta al «ridere» e al «ridicolo».
Da questo punto di vista non solo è illuminata in modo nuovo la scelta dei testi inclusi da Leopardi nelle sue Crestomazie, ma è spiegato anche perché proprio le aperture europee, il magistero critico e il pessimismo attivo del recanatese contrassegnarono dopo il 1848 la tradizione comico-umoristica e le scritture più significative del «giornalismo umoristico», in particolare di Carlo Lorenzini/Collodi.
Giacomo Leopardi oggi – prefazione a un’edizione tascabile del 1993 delle Operette morali (Roma, Mancosu) – è il richiamo critico appassionato e ancora attuale, rivolto ai poeti contemporanei, a fare i conti con la complessità dell’opera leopardiana.

Marcheschi-Daniela

Daniela Marcheschi si dedica da anni agli studi sull’umorismo. Membro del Comitato Scientifico del progetto internazionale Estudos sobre o Humor/Studi sull’Umorismo/ Studies on Humour, che coinvolge più di quaranta istituzioni in tutto il mondo, si è occupata fra gli altri di Giovannino Guareschi e dell’Umorismo di Luigi Pirandello (Mondadori Oscar, 2010).

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Daniela Marcheschi

Per Giuseppe Pontiggia, con i suoi primi scritti sul “verri”

ISBN 88-87296-97-9, 2000, pp. 160, formato 130×200 mm., E 10,33

indicepresentazioneautoresintesi

 

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

manifesto futurista

La Nuova Religione-Morale della Velocità
Manifesto Futurista pubblicato nel 1° numero del giornale “L’Italia futurista” (Via Ricasoli, 23 – Firenze)

Gli slogan del Presidente del Consiglio Matteo Renzi sono sempre stati improntati all’insegna del dinamismo. Insediatosi a Palazzo Chigi, ha presentato il proprio Esecutivo come un “Governo del fare” ed, anche recentemente, ha affermato in più occasioni che, grazie alla propria azione, «l’Italia ha ripreso a marciare; si tratta ora di rimetterla a correre».
Prescindo dalla valutazione se sia o meno vero che l’Italia stia marciando. Non nascondo invece che questa metafora sportiva della azione di Governo, in cui il politico si pone come allenatore col fischietto in mano a scandire il ritmo con cui i cittadini devono correre (produrre), mi risulta piuttosto antipatica: in primo luogo perché sottende una concezione padronale della politica, ed in secondo luogo perché il benessere di una comunità, ossia la felicità delle persone che ne fanno parte, non dipende dal fare in sé, ma, semmai, dal fare rivolto ad un fine buono.
Quale è il fine buono per una comunità? Ebbene: in questo campo il pensiero filosofico classico, in particolare quello di Aristotele, è tuttora quello che fornisce le indicazioni migliori. Aristotele comprese che per gli uomini è sicuramente prioritario disporre del necessario per vivere: abitazione, vestiti, cibo, nonché una serie di “servizi pubblici” essenziali. Tuttavia, poiché agli uomini non è sufficiente vivere, ma è necessario vivere bene, egli sapeva che la vita buona non può essere una vita strumentalmente dedita al fare, bensì deve essere una vita finalizzata alla realizzazione della propria stabile natura razionale e morale, la quale richiede soprattutto attività non legate al denaro. E’ in merito emblematica l’immagine aristotelica del «Motore Immobile».
Aristotele, ricercando le cause del movimento, comprese che ogni ente che si muove, ossia che muta, deve essere mosso da qualcosa. Poiché però non si può andare all’infinito nella ricerca delle cause – una causa prima ci deve essere, altrimenti nulla avrebbe spiegazione –, egli mostrò che necessariamente deve esserci qualcosa di sempre in atto e non a sua volta mosso, un “primo motore” del tutto. Questa realtà, di cui Aristotele parla in poche pagine della sua opera, è stata definita Motore Immobile.
Siamo da tempo abituati a criticare – giustamente – l’immobilismo della politica italiana. Immagino che, a qualche lettore, le figure della filosofia e della immobilità politica possano sembrare associabili nella critica: ambedue infatti, nel sentire comune, “non fanno nulla”. Tuttavia, a parte che il pensare (per poi realizzarli) temi importanti è anch’esso un fare, il dato interessante della riflessione aristotelica è che il divino è immobile in quanto perfetto. Esso è immobile, infatti, in quanto sta bene così, ossia non ha bisogno di nulla, non manca di nulla, non deve affannarsi per raggiungere qualcosa.
Gli uomini, naturalmente, non sono dèi, e pertanto devono anche fare, ossia produrre il necessario per la (buona) vita. Tuttavia, se si concorda con Aristotele che il pensiero è l’attività più perfetta, e l’immobilità – il non mancare di nulla – la condizione più perfetta, risulta evidente che la produzione senza fine e la mobilità senza limite propagandate da molti Governi, sono le attività e le condizioni meno perfette, ossia quelle meno adatte a realizzare una buona vita. Non è infatti una buona vita quella che impone, per sussistere, di lavorare un numero crescente di ore e di anni sempre più lontani da casa e sempre più precari, senza che sia presente un progetto generale finalizzato al bene comune. Il lavorare ed il produrre sono infatti attività strumentali, utili solo se finalizzate ad un fine buono, non in sé stesse. La crescita del Pil – che si può realizzare appunto anche inserendo nelle statistiche ufficiali armi, droga e criminalità –, di per sé, non conduce ad una buona vita comunitaria. In questo senso il Motore Immobile di Aristotele ci insegna molto di più di alcuni politici di oggi, aspiranti personal trainer ma in realtà più simili alla famosa mosca cocchiera della favola di Fedro, la quale, sedendosi sul carro trainato da un possente cavallo, era convinta, dandogli ordini e strepitando, di essere lei a farlo muovere; salvo essere smentita dalla evidenza, e dal cavallo stesso.

Luca Grecchi

Già pubblicato su “Sicilia Journal” del 27-11-2015.

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Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana.

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale.

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra

INTERVISTA A MAURA DEL SERRA
SCRITTRICE, CRITICA, TRADUTTRICE, POETESSA.
QUALCHE RIGA PER AVVICINARCI AL SUO PENSIERO
DEL TESTO SCRITTO E LETTO

A cura di Nuria Kanzian

La Gazzetta di Istambul

 Intervista pubblicata su:
«La Gazzetta di Istambul» – Ottobre 2015 – Anno X – Rubrica “Scrittori & Scritti”

 

 

Quali sono gli autori (libri, scrittori o poeti) a cui si sente più affezionata?

Dovrei fare un elenco lunghissimo, ma posso rispondere in sintesi: i classici della tradizione occidentale, dai lirici greci a Dante agli Elisabettiani ai Romantici e ai Simbolisti, da Eliot a Proust a Simone Weill alla Szymborka … e a molti della tradizione orientale, specialmente quella sufi e taoista.


Preferisce gli autori italiani o quelli stranieri e perché?

È una distinzione che non mi corrisponde, mi è sempre stato naturale ricercare le voci salienti ed empatiche al di là di ogni barriera geografica o linguistica.


Quali sono i principali problemi che si incontrano nella traduzione e come risolverli?

Caratteristica fondamentale ne è appunto la sintonia, l’empatia con l’autore tradotto, nel senso che sia lui/lei a “sceglierti” come “pontifex” verso la tua lingua madre; i molti e complessi problemi tecnici si possono condensare nello sforzo di raggiungere una ossimorica “fedeltà infedele”, cioè nella capacità di restituire il senso e il ritmo profondo dell’originale trasponendolo in uno parallelo.


Cosa consiglierebbe a un giovane critico letterario per affermarsi oggi?

Più che consigliare, auguro ad un giovane studioso (critico o scrittore) di mantenersi fedele alla propria vocazione (parola insostituibile) e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere. Per fortuna – come rovescio della medaglia – gli strumenti informatici attuali consentono anche ad autori “fuori dal coro” di far sentire la loro voce.


Quale è la poesia di Clemente Rebora che preferisce?

La grandezza complessa della poesia di Rebora mi rende difficile estrapolare una singola poesia: tutti i Frammenti lirici e i Canti anonimi sono per me di vitale eccellenza spirituale e originalità linguistica.


Della sua carriera quale ricordo le rimane più impresso?

Come è naturale, l’intensa e quasi meravigliata emozione avuta alla pubblicazione del mio primo libro su Campana, L’immagine aperta, uscito nel 1973 nella prestigiosa “Biblioteca di Cultura” della Nuova Italia di Firenze; ero ancora fresca di laurea, e l’emozione era accentuata dalla presenza, in quella stessa collana, di opere dei più autorevoli critici e studiosi del tempo. Nei decenni successivi sono state numerose le occasioni che ricordo con gioia, come quando nel 1992 ricevetti il Premio Internazionale “Flaiano” per la scrittura teatrale; in quella stessa edizione furono premiati anche José Saramago e Peter Handke per la narrativa, Alberto Sordi per il cinema e Tino Carraro come attore scenico. Mi sentii molto onorata dal Premio della Cultura conferitomi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2000; anche a Barcellona nel 1997 fu un’esperienza molto emozionante leggere i miei versi nel Palau de la Mùsica Catalana, davanti a un pubblico attento di 1800 spettatori, un’emozione condivisa con poeti di tutto il mondo. Ma fu tale anche la lettura più “privata” che tenni in quei giorni in un piccolo centro della Catalogna insieme al poeta polacco Adam Zagajewski. L’ultimo evento particolarmente intenso è stata l’uscita, nel 2014, dell’antologia poetica Canti e pietre (Sanger och Stenar) nell’edizione bilingue italiano-svedese, presso l’editore Tranan di Stoccolma, con le belle immagini delle sculture di Staffan Nihlén, gli interventi critici di Olle Granath e di André Ughetto e l’altrettanto bella traduzione di Julian Birbrajer.


Come è riuscita a conciliare lavoro e famiglia e a costo di quali rinunce?

È una domanda ancora inevitabile, topica, rivolta all”’altra metà del cielo” impegnata nella creazione artistica. La conciliazione mi ha richiesto ovviamente il massimo impegno e l’uso della nota capacità “simultanea” femminile. Fortunatamente non mi appartiene l’idea di “tempo libero” o mondano, perciò le rinunce (viaggi o “presenzialismi”, specie quando mia figlia era piccola) sono state accettabili, ed ampiamente compensate in seguito.


Sta lavorando a qualche nuovo progetto? Se sì quale?

Ho vari progetti in corso; adesso sto terminando la revisione del mio ultimo testo teatrale, la tragicommedia La torre di Iperione, che chiuderà il ponderoso volume collettaneo del mio Teatro di imminente pubblicazione (le accludo la copertina). Sto anche concludendo la revisione del mio libro di poesie Scala dei giuramenti, che uscirà ne 2016 presso l’ed. Contra Mundum Press (New York-Berlino) in edizione bilingue italiano-inglese, tradotto da Dominic Siracusa.


Dato che è sensibile ai diritti umani, cosa ne pensa del transito di tanti migranti in Turchia?

Le drammatiche, spesso tragiche, grandi migrazioni di questi ultimi anni sono un fenomeno umano, culturale e socio-politico molto grave e preoccupante, giacché sono migrazioni forzate, causate per lo più da guerre, dittature, carestie o comunque da condizioni di sopravvivenza disperanti. La Turchia, cruciale paese-ponte fra l’Europa e le zone “calde” del Medio Oriente, ha le sue peculiarità etniche, culturali e religiose, che costituiscono una ricchezza anti-omologante, ma anche un aspetto che può acuire le problematiche nel far fronte a questo imponente fenomeno che coinvolge tutta la zona del Mediterraneo fino al Nord Europa. È importante, direi vitale, che ogni artista e ogni persona di buona volontà si senta coinvolta eticamente e che, al di là delle forze istituzionali, si adoperi per perseguire la pace, il rispetto dei diritti umani e di tutti i viventi.

MAURA DEL SERRA
È nata il 2 Giugno del 1948. Ha una figlia e due nipotini. Sostiene le cause per la difesa delle libertà della persona umana ed è attiva anche in iniziative ambientaliste e per la difesa degli animali. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, l’antologia Corale. Ha dedicato volumi critici a Dino Campana, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Piero Jahier, Margherita Guidacci e saggi a numerosi poeti e scrittori italiani ed europei.
Ha curato alcune antologie, fra le quali: Kore. Iniziazioni femminili. Antologia di racconti contemporanei, Firenze, Le Lettere, 1997; Margherita Guidacci, Le poesie, Firenze, Le Lettere, 1999; Egle Marini. La parola scolpita, Pistoia; Artout, Maschietto e Musolino, 2001; Poesia e lavoro nella cultura occidentale, Roma, Edizione del Giano, 2007.
Ha pubblicato venti testi teatrali e fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Quinto Tullio Cicerone, William Shakespeare, George Herbert, Francis Thompson, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Dorothy Parker, Rabindranath Tagore, Marcel Proust, Simone Weil, Victoria Ocampo, Jorge Luis Borges.
Per la sua attività ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, fra i quali: il premio “Montale” per la poesia, il premio “Flaiano” per il teatro e il premio “Betocchi” per la traduzione.
Nell’anno 2000 le è stato assegnato il premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

L'opera del vento

Tentativi di certezza

Maura Del Serra, Teatro

 

Il teatro di Maura Del Serra, qui riunito nella molteplice complessità del suo arco cronologico trentennale, abbraccia una pluralità di forme sceniche, ora corali ora dialogiche ora monologanti, che spaziano con incisiva e vivace profondità dall’“affresco” epocale alla fulminea microcellula drammatica e a forme singolari di teatro-danza sempre sorrette da un inventivo simbolismo di luci, colori, voci fuoriscena e suggestioni scenografiche. L’organon di questa scrittura – in versi e in prosa – fonde il nitore visionario con un senso vivace e concreto del phatos quotidiano, spesso nutrito da uno humour tipicamente affidato a personaggi “terrestri” fino al farsesco, secondo la tradizione della commedia antica. Il teatro decisamente anti-minimalista della Del Serra mostra infatti il suo grato debito creativo verso i classici della tradizione drammaturgica e poetico-letteraria europea, dai tragici e lirici greci al barocco inglese e ispanico, al decandentismo e alle avanguardie artistiche del Novecento.
I suoi personaggi, a vario titolo esemplari fino all’archetipo, sono scolpiti e dominati da una solitudine “eroica” non astratta bensì coerentemente testimoniale, tormentati e salvati dalla grandezza antistorica e metastorica del loro dono “eretico” che si oppone geneticamente alla forza oppressiva del potere nelle sue varie espressioni, da quelle canoniche politico-sociali a quelle suasive dell’intelletto, fino a quelle della “sapienza senza nome” della vita. Ed è perciò sempre agonico il rapporto fra la certezza di una verità ultima e inattingibile e l’illusione soggettiva, mediante l’utopia salvifica affidata all’ardore dei protagonisti. Motore e forma privilegiata di queste compresenze è l’eros generatore e multiforme, espresso in tutte le sue pulsioni, dall’amicizia alle polarità maschili e femminili, fino ad una complessa androginia psicologica e spirituale.
In questa straordinaria galleria evocativa di presenze, che spaziano dall’ellenismo alla contemporaneità al futuro, le voci interiori dell’autrice si incarnano di volta in volta, come la poesia ed ogni arte, per “sognare la verità del mondo”.

Maura Del Serra – Wikipedia

Pagine di Maura Del Serra

ANTOLOGIA POETICA

Maura Del Serra, aforismi

Parole in coincidenza 8: Maura Del Serra tradotta da Dominique Sorrente

Maura Del Serra e Cristina Campo

Maura Del Serra, “Tentativi di certezza. Poesie 1999-2009”

Silvio Ramat: L’opera del vento, di Maura del Serra

 

Nina Nikolaevna Berberova (1901-1993) – «Il giunco mormorante»: C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla

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«Fin dai primi anni della mia giovinezza pensavo che ognuno di noi ha la propria no man’s land, in cui è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale, o, dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all’altra, e queste ore hanno una loro continuità.

Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell’uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la «linea generale» dell’esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s’è mai incontrato con se stesso, e c’è qualcosa di malinconico in questo pensiero. Mi fanno pena le persone che sono sole unicamente nella stanza da bagno, e in nessun altro tempo e luogo.

L’Inquisizione oppure lo stato totalitario, sia detto per inciso, non possono assolutamente tollerare questa seconda vita che sfugge a qualunque tipo di controllo, e sanno quello che fanno quando organizzano la vita dell’uomo impedendogli ogni solitudine, eccetto quella della stanza da bagno. Nelle caserme e nelle prigioni, del resto, spesso non c’è neanche questa solitudine.

In questa no man’s land, dove l’uomo vive nella libertà e nel mistero, possono accadere strane cose, si possono incontrare altri esseri simili, si può leggere e capire un libro con particolare intensità, o ascoltare musica in modo anch’esso inconsueto, oppure nel silenzio e nella solitudine può nascere il pensiero che in seguito ti cambierà la vita, che porterà alla rovina o alla salvezza. Forse in questa no man’s land gli uomini piangono, o bevono, o ricordano cose che nessuno conosce, o osservano i propri piedi scalzi, o provano una nuova scriminatura sulla testa calva, oppure sfogliano una rivista illustrata con immagini di belle donne seminude e muscolosi lottatori – non lo so, e non lo voglio sapere. Da bambini e persino da giovani (come probabilmente anche da vecchi) non sempre avvertiamo il bisogno di quest’altra vita. Ma non bisogna credere che quest’altra vita, questa no man’s land, sia la festa e tutto il resto i giorni feriali. Non per questa via passa la distinzione: solo per quella del mistero assoluto e della libertà assoluta».

Nina Nikolaevna Berberova, Il giunco mormorante, Adelphi, 1988, pp. 36-38.

Il giunco mormorante

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