Luis Sepúlveda – La lettura possiede l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia.

Sepulveda

Il vecchio che leggeva

Antonio José Bolívar non sa scrivere, ma ha imparato a leggere compitando lentamente, e leggere è diventato il più grande piacere della sua vita perché leggendo immagina, e immaginando, egli vive, perché la lettura «possiede l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia». Quei romanzi gli parlano d’amore «con parole così belle che gli fanno [dimenticare] la barbarie umana».

Luis Sepúlveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Guanda, pp. 138, 2001.


 

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Luis Sepúlveda

Antonio José Bolívar vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana. Ha con sé i ricordi di un’esperienza – finita male – di colono bianco, la fotografia sbiadita della moglie e alcuni romanzi d’amore che legge e rilegge in solitudine. Ma il suo patrimonio è una sapienza speciale che gli viene dall’aver vissuto dentro la grande foresta, insieme agli indios shuar: un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che i gringos, capaci soltanto di sfruttare e distruggere quel mondo, non sapranno mai capire. Solo un uomo come lui potrà dunque adempiere al compito ingrato di inseguire e uccidere il tigrillo, il felino che, accecato dal dolore per l’inutile sterminio dei suoi cuccioli, si aggira minaccioso a vendicarsi sull’uomo. Questa è la storia del loro incontro, di un’epica caccia tesa al continuo confronto fra la vita e la morte. Ma soprattutto è un canto d’amore dedicato all’ultimo luogo in cui la terra preserva intatta la sua verginità.


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

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«Io vivo, dunque spero […]. Noi speriamo sempre e in ciascun momento della nostra vita. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è in un certo modo un atto di desiderio, e altresì un atto di speranza, atto che benché si possa sempre distinguere logicamente, nondimeno in pratica è ordinariamente un tutt’uno, quasi, con l’atto del desiderio, e la speranza è una quasi stessa, o certo inseparabil, cosa col desiderio».

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri [con il numero di pagina dell’autografo leopardiano e la data di stesura del testo citato], p. 4145, 18 ottobre 1825.

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«[…] allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario».

 Ibidem, p. 170, 12-13 luglio 1820.

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«Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione».

Ibidem, p. 4418, 30 novembre 1828.

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«Qualunque cosa ci richiama l’idea dell’infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro. Così un filare o un viale d’alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come una grandezza incircoscritta».

Ibidem, p. 185, 25 luglio 1820.

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