Enzo Paci (1911-1976) – Scegliamo di nascere «di nuovo»: la storia per l’uomo è rinascere a sé stesso: farsi uomo, non essere già uomo.

Paci enzo

Idee per una enciclopedia fenomenologica

Scrive Enzo Paci nel suo libro Idee per una enciclopedia fenomenologica (1973), riflettendo sul nesso per lui decisivo nascita-rinascita:

«Nuovo è ciò che nasce di nuovo: è un secondo nascere, poiché nel primo si è già da sempre nati. […] Spirito, dice Giovanni, o cultura, non è nascere così perché ci troviamo nati, ma è il nascere noi, l’autoeducarsi alla vita, perché noi, già nati, scegliamo di nascere di nuovo. […] Ora la storia per l’uomo è rinascere a sé stesso: farsi uomo, non essere già uomo. […] La rinuncia ad una rinascita, che noi chiameremmo intersoggettiva e intersociale, è non vedere la direzione, il senso della società e della storia o, se si vuole, l’utopia che vive ed agisce in noi. […] si può rinascere di una nascita nuova che finora non c’è stata, così come finora l’uomo non è riuscito a realizzare sé stesso come uomo, e la storia come il sé stesso che vuol ‘essere’ e vuol ‘nascere’. Il termine nascere, temporale, spaziale, storico e dinamico è la reale modalità rivoluzionaria dell’uomo, non ripetibile, che trasforma la non ripetizione in una ricreazione-creazione, in un futuro, in un valore».

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Cerchiamo insieme nuovi orizzonti di senso! Ciò che molti dicono essere «impossibile» è invece il possibile cammino verso la realtà, verso la vera umanità dell’uomo, e la vera sapienza.

In fuga

L’impossibile …

Non obbedire a chi ti dice di rinunziare all’impossibile!
L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo.
Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio.
Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare.

                                                                  Margherita Guidacci

… è il possibile cammino verso la realtà …

Chi non spera quello che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada.

                                                                                             Eraclito

… e la vera sapienza

 … se uno
ha veramente a cuore la sapienza,
non la ricerchi in vani giri,
come di chi volesse raccogliere le foglie
cadute da una pianta e già disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo.

La sapienza è una pianta che rinasce
solo dalla radice, una e molteplice.
Chi vuol vederla frondeggiare alla luce
discenda nel profondo, là dove opera il dio,
segua il germoglio nel suo cammino verticale
e avrà del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia
non gli occorre altro viaggio.

                                                                   Margherita Guidacci


L’immagine: Pere Borrell del Caso, Huyendo de la critica [In fuga dalla critica], 1874.

Il giovane scavalca la cornice per evadere dalla costrizione della fissità (definitoria) della tela in cui si vedeva confinato nella prigione di rigide scansioni spazio-temporali, una weberiana «gabbia d’acciaio».

Il titolo, Huyendo de la critica, ironico e dissacrante, conferisce al giovane la statura di chi si ribella, di chi non obbedisce a chi vuole convincerci a «rinunciare all’impossibile». Qui vuole essere metafora di una sana aspirazione a ricercare nuovi orizzonti di senso per l’arte, per la filosofia, per la società, per la storia, per l’umanità dell’uomo che non deve sottostare immobile e passiva alla perentorietà di chi proclama la “fine della storia” nell’universo capitalistico, che desertifica e inquina lo spirito e che vorrebbe precludere l’apertura di altri orizzonti: soprattutto di modalità sociali autenticamente comunitarie.


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Margherita Pieracci Harwell – In lode della lettura: si legge per veder meglio in sé, riflessi in un altro.

Elogio della lettura

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Margherita Pieracci Harwell

In lode della lettura

 

Se cerco di definire il mio rapporto con la letteratura non vi trovo momento più essenziale del leggere. Un certo tipo di lettore, poi, finisce per scrivere di quel che legge: perché non può chiudere in sé l’emozione delle sue scoperte, e perché deve, anche per questo, persuadere gli altri a leggere.

Si legge, come si scrive, perché la vita ci va stretta, coi suoi limiti – forse qualcuno pensa perciò che la letteratura sia un’evasione. Ma ci va stretta la vita quando non ne cogliamo abbastanza la densità, lo spessore – quella «seconda realtà» a cui alludono Leopardi o la Ortese – quindi si legge per veder più e meglio, e per capire il senso. Anche per veder meglio in sé, riflessi in un altro.

Io scoprii che cosa cercavo combinando due frasi, una di Hofmannsthal una di Luzi: «Chi muore porta un segreto con sé: come gli sia stato possibile, in senso spirituale, vivere»; e «Se riusciamo a individuare il senso e il ritmo in cui uno spirito si muove … saremo più vicini al suo segreto naturale». A una lettura attenta il senso e il ritmo dello spirito di un autore si fa trasparente, e si rivela il segreto del suo poter vivere a un grado che è raro incontrare fuor della mediazione discreta della pagina. Così si diviene per sempre lettori, per essere aiutati a vivere.

Ma mentre si contempla un testo nel miracolo del suo travaglio e della sua pace, è impossibile non condividere con gli altri la gioia di capire: allora si scrivono saggi o si tracciano note per un corso. Io infatti ho insegnato felicemente quarant’anni e riempito varie pagine.

Questo modo di lettura mi ha portato molto vicino agli autori, quando quelli che amo sono vivi, perché la prima persona con cui vorrei parlare dell’opera quando mi pare di penetrarvi è colui o colei che l’ha scritta. Ne sono nate splendide amicizie, che a loro volta mi illuminano per un grado più intenso di comprensione, e a cui devo quasi tutto quel che ho infine imparato.

Margherita Pieracci Harwell

University of Illinois at Chicago

Professor Emerita


252 ISBN

 

Dal 30 gennaio 2016 sarà disponibile il libro

Margherita GuidacciMargherita Pieracci Harwell

Specularmente

Lettere, studi, recensioni

A cura di Ilaria Rabatti

Petite Plaisance


Potrà essere richiesto direttamente a:

Editrice Petite Plaisance

info@petiteplaisance.it
www.petiteplaisance.it


Vedi anche:

 

Margherita Pieracci Harwell: In lode della lettura
Intervista a Margherita Pieracci Harwell – YouTube
Pubblicazioni a cura di Margherita Pieracci Harwell
Cristina Campo (1923-1977) – Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, Adelphi, 2011

 


 

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Cristina Campo (1923-1977) – Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, Adelphi, 2011.

Cristina Campo 03
 Il mio pensiero non vi lascia

Cristina Campo

Il mio pensiero non vi lascia

Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino
A cura di Margherita Pieracci Harwell

Biblioteca Adelphi
2012, pp. 273
isbn: 9788845926440

Logo Adelphi

«Vivere, certo, mio caro amico. Non c’è nulla di più – nulla di meno – da fare. Quanto ad esser felici, questo è il terribilmente difficile, estenuante. Come portare in bilico sulla testa una preziosa pagoda, tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli e di fragili fiamme accese; e continuare a compiere ora per ora i mille oscuri e pesanti movimenti della giornata senza che un lumicino si spenga, che un campanello dia una nota turbata».

Le lettere contenute in questo volume coprono un arco temporale che va dal 1952 al 1965. Di Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini, 1923-1977) sono apparsi presso Adelphi Gli imperdonabili (1987), La Tigre Assenza (1991), Sotto falso nome (1998), Lettere a Mita (1999) e Caro Bul (2007).

Risvolto di copertina

Ci sono prosatori che proprio nelle lettere raggiungono una sorta di perfezione assoluta: riuscendo, nel breve volgere di una frase, a toccare vertici di bellezza e di intensità. Che la Campo sia uno di essi lo hanno dimostrato le Lettere a Mita e Caro Bul: e questo terzo pannello dell’episto­lario, che raccoglie le lettere scritte agli amici del periodo fiorentino, ne è una conferma. Nel 1956 Cristina è costretta ad abbandonare Firenze per Roma; e gli anni romani saranno costantemente pervasi dal ricordo struggente di quel giardino incantato che era la cerchia degli «amici d’infanzia»: Piero Draghi, Mario Luzi, Anna Bonetti, Venturino Ven­turi, Giorgio Orelli. A tutti loro scrive dal suo «esilio» parole di nostalgico affetto («C’è con voi­altri, nell’aria, gusto di latte»); ma il più rimpianto è senza dubbio Gianfranco Draghi, quel Gian che guarda ai suoi stessi «fari» (i più luminosi: Hofmannsthal e Simone Weil), lo scrittore e poeta di cui ammira la personalità e l’opera, l’amico che «conosce sempre, sottilmente, il disegno del tempo, e trova la parola magica da incidervi». A lui una Cristina ancora dolente per una pena d’amore chiede di assicurarle «che la felicità esiste», ma anche di impegnarsi a favore di Danilo Dolci (come sta facendo lei stessa); con lui parla di Roma, che va scoprendo con meraviglia, delle sue letture (Montaigne, Lawrence, l’a­matissimo Auden, ma anche Pasternak, e Il Gattopardo), dei suoi momenti bui e del­l’importanza della loro amicizia nella sua vita. Per ogni corrispondente la Campo trova un’into­nazione diversa, quella che ritiene la più opportuna, la più esatta – ma sempre (che assuma il timbro argentino della Pisana o quello più cupo della Donatrice Portinari) la sua voce suona alle nostre orecchie con una giustezza e una limpidezza incomparabili.


 

Postfazione di

Margherita Pieracci Harvell

«Quando vedrai cielo e terra oscurarsi,
tuffa le mani nell’acqua»

Certes ... en ceste amytié 
 ... an négocie du fin fond
 de san courage.
 Montaigne su Étienne De La Boétie

 

Questo volume della corrispondenza di Cristina Campo è il canto della giovinezza e insieme il canto dell’addio alla giovinezza, ove si nomina per l’ultima volta il mondo magico della giovinezza. L’«esilio» da quel mondo è segnato dalla partenza da Firenze per Roma (1956) – i primi anni romani sono costellati dal ricordo, struggente e lancinante, della «patria». Cristina ha ormai passato i trent’anni, ma «ingenuo dev’essere ogni genio, o non è un genio […].  Il carattere infantile che il genio imprime nelle sue opere» insegna Schiller in Sulla poesia ingenua e sentimentale «il genio lo rivela altresì nella sua vita privata e nei suoi costumi».
Il «genio», il «poeta» non oblitera mai la condizione infantile, ma una crepa si apre che gli divarica l’anima: il tenersi attaccato insieme ai due lembi che progressivamente si allontanano è uno dei suoi tormenti. Presto, infatti, Roma esercita su Cristina il suo potente incanto: basta leggere altre lettere del 1956, a Mita, a Traverso, per trovarne testimonianza, ad esempio, nella splendida narrazione della sua scoperta di San Clemente – e colpisce che nulla qui ne traspaia, se non nel commovente desiderio impossibile di trasferire nella già amata Veio il suo Decamerone. È perché, appunto, le lettere raccolte in questo libro rappresentano l’addio alla giovinezza, un addio che è espressione di un rimpianto che «non vuole essere consolato», della lacerante coscienza di non potere mai più essere tutta felicemente immersa nelle acque prenatali. Col ricordo dell’«eden» si identifica nella memoria di Cristina il tempo delle prime amicizie fiorentine, pur devastato dall’irruzione della morte (quella dell’amica Anna Cavalletti nel bombardamento di Firenze, del 1943, cui allude la lettera al padre che abbiamo posto sulla soglia del libro) e dalla delusione che dissecca quella prima incarnazione dell’amore che fu, a partire dagli anni Quaranta, l’incontro con Leone Traverso. Ma i profumi, i colori, l’atmosfera del «giardino» in cui la prima felicità era stata rivelata e annullata sono in tatti nella memoria – le strade «di cristallo lastricate», le ville medicee belle della semplicità dei gigli del campo, il cerchio degli «amici d’infanzia» che ha odore di latte. Tutto questo evocano nella soledad dei primi anni romani gli «amici del periodo fiorentino», e il paradigma del canto dell’addio sono in primo luogo le lettere a Gianfranco Draghi, …[continua a leggere cliccando qui]

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Margherita Pieracci Harvell
«Quando vedrai cielo e terra oscurarsi, tuffa le mani nell’acqua»

Vedi anche:

Margherita Pieracci Harwell
In lode della lettura: si legge per veder meglio in sé, riflessi in un altro.

 

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