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Il principio dominante di ogni società liberale è quello della fondamentale libertà dell’individuo, quale soggetto titolare di diritti civili, politici ed economici. Il riconoscimento di tali diritti comporta la necessaria non ingerenza dello stato rispetto alla libera determinazione politica ed economica dell’individuo. Ma tali diritti, in palese contraddizione con i fondamentali diritti dell’uomo, oggi vengono ad essere negati nella società globalizzata del nostro secolo. Infatti l’odierno capitalismo è la negazione del laissez – faire del liberismo classico. Oggi il capitalismo si identifica con l’egemonia pressoché assoluta degli oligopoli delle multinazionali e delle holding finanziarie. Il capitalismo attuale è estremamente elitario e dirigista, impone riforme strutturali in campo politico e sociale, rigide regolamentazioni finanziarie che annullano di fatto le libertà politiche ed economiche. Ai poteri sovrani degli stati nazionali, in via di estinzione, si sostituisce la governance degli organismi internazionali: la democrazia viene ad essere esautorata dalle oligarchie economiche. La liberal democrazia ha dunque subito una eterogenesi dei fini creando un ordine mondiale che è l’opposto di essa stessa, oppure tale nuovo ordine rappresenta il logico, conseguente risultato di un processo di evoluzione di una ideologia liberale che di per sé stessa conduce al totalitarismo economico attuale?
L’idea comune di molte spiegazioni mainstream è che la crisi in atto, nata nella finanza, trovi spiegazione – e soluzione – dentro la finanza stessa, nelle sue regole e nei comportamenti degli operatori.
La tesi predominante (nei media come nell’accademia) attribuisce tutta la colpa alla “finanza cattiva” la quale, complice l’inadeguatezza dei regolatori, ha trascinato nel suo fallimento anche l’economia reale. Insomma, se non ci fosse stato il Lupo Cattivo Finanza il Cappuccetto Rosso Impresa sarebbe in ottima salute.
A mio parere quella che vede la causa della crisi solo nell’avidità dei banchieri, negli errori della regolazione, nei prodotti finanziari opachi è una spiegazione alquanto parziale, utile a distogliere l’attenzione dagli squilibri reali.
La crisi attuale, pur essendosi indubbiamente resa visibile nella sfera finanziaria, non per questo trova una spiegazione al suo interno: il rischio sistemico della finanza ha invece origine dall’attacco al lavoro degli ultimi decenni. La finanza è infatti stata il modo singolare ma efficace per rispondere alla tendenza alla stagnazione da domanda, che è l’altra faccia della massiccia precarizzazione del mercato del lavoro.
A partire dalla fine degli anni ottanta si è affermato un meccanismo di accumulazione capace di spingere verso l’alto la produzione senza aumentare i salari, capace di accrescere l’occupazione senza aumentare l’inflazione. Il risultato è stata la quadratura del cerchio, il sogno di ogni capitalista: un lavoratore che vede diminuire il proprio salario, ma che nonostante questo consuma come (se non più) di prima.
Si è così affermato un nuovo sistema finanziario che non solo svolge la consueta funzione di infrastruttura a supporto della produzione, ma che provoca un “effetto ricchezza” attraverso cui è possibile allargare il debito privato delle aziende e dei consumatori.
Da questo punto di vista, la finanza non è la malattia, ma il sintomo della malattia e al tempo stesso la droga che ha permesso di non avvertirla (e che quindi l’ha cronicizzata). Non è dunque un problema di instabilità finanziaria: è un problema di domanda effettiva, che nasce dalla organizzazione della produzione e del lavoro. Se le economie avanzate dell’Occidente vogliono continuare a svilupparsi nella democrazia devono tornare a far oscillare il pendolo della storia nella direzione contraria. [Continua a leggere]
Le molte facce del neoliberismo- squilibrio distributivo e crisi finanziaria.
Intervista a cura di Luigi Tedeschi
Intervista già pubblicata su:
Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM
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al 07-03-2016
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