Georg Büchner (1813-1837) – La drammaturgia critica di un rivoluzionario: La morte di Danton – Leonce e Lena – Woyzeck

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La morte di Danton

Georg Büchner

Teatro

La morte di DantonLeonce e LenaWoyzeck

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Risvolto di copertina

«L’autore drammatico non è altro, ai miei occhi, che uno storico, ma sta al di sopra di quest’ultimo, perché egli ricrea per noi la storia una seconda volta: invece di fornirci un racconto secco e spoglio, ci introduce immediatamente nella vita di un’epoca, ci dà caratteri invece di caratteristiche, personaggi anziché descrizioni». Così Büchner, autore drammatico, definisce il proprio compito in una lettera alla famiglia del 1835. Aveva appena terminato La morte di Danton, il suo primo lavoro letterario, e neanche venti mesi lo separavano dalla morte in esilio a Zurigo, a soli 24 anni, spesi quasi interamente nell’attività rivoluzionaria e negli studi scientifici. Delle altre due opere, Leonce e Lena e Woyzeck – pubblicate parecchi anni dopo la sua morte –, Büchner non parla, almeno nelle lettere di lui che ci sono rimaste. Tanto maggiore ci sembra il prodigio nel vedere come quel giovane abbia potuto precorrere – in queste opere che costituiscono forse il tentativo più audace di rinnovamento che la storia del teatro del XIX secolo conosca – motivi formali e ideologici la cui riscoperta ad opera del naturalismo, e soprattutto dell’espressionismo alla vigilia della prima guerra mondiale, sarebbe stata definita da Walter Benjamin come uno dei «pochi avvenimenti politico-letterari dell’epoca la cui attualità deve apparire di una luce accecante alla presente generazione». Dalla prima rappresentazione di La morte di Danton, curata da Max Reinhardt nel 1916, a quella di Vogt del 1921 con Alessandro Moissi nella parte di Danton, il teatro di Büchner è entrato ormai a far parte del repertorio classico, sia in Germania, sia in Francia, sia in Italia.


Risvolto di copertina
Sotto l’apparenza del dramma storico Morte di Danton nasconde i nervi scoperti della condizione umana, cosí come sarà rivelata e rappresentata un secolo dopo, nel Novecento, con quella stessa incandescenza, la stessa disillusione, lo stesso urlo soffocato. Per Büchner, come per Leopardi, la Storia non è che una macchina celibe, anche se le ragioni per scatenare la rivoluzione sono sempre tutte vive e presenti. Quello che commuove, in Morte di Danton, è la fragilità: sembra un paradosso, trattandosi di vicende che raccontano i protagonisti di un tempo in cui si è sprigionata una forza di cui ancora oggi sentiamo la spinta. Eppure nessuno di quegli uomini ha potuto sottrarsi, oltre che alla ghigliottina, alla verifica della propria impossibilità di invertire la rotta assegnata (da Dio? dalla Natura? dal Nulla?) agli esseri umani, nonché di porre rimedio all’ingiustizia che da sempre regna sovrana.

Mario Martone

 

 

La visione di Danton. Mario Martone porta in scena una riuscita quanto inquietante riflessione sulla politica

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La drammaturgia critica di un rivoluzionario: Büchner
La morte di Danton: autopsia di una rivoluzione

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Luigi Sandri – Recensione al libro di Mauro Magini, «Il mio amico Platone»

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«Questo libro – breve ma intenso – che nel titolo rinvia al famoso detto latino (Amicus Plato, sed magis amica veritas, Platone è un amico, ma la verità è più amica), e che si chiarisce con il sottotitolo “Riflessioni su società, religione, vita”, racconta l’“educazione spirituale” dell’autore (chimico di professione)».[Leggi tutto]

 

Luigi Sandri, Recensione al libro di Mauro Magini, Il mio amico Platone

Confronti copertina

Recensione pubblicata in: Confronti,  Anno XLIII, N. 3, Marzo 2016, p. 45


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Berta Caceres – Aveva detto: «Finire in carcere è il meno che ti possa capitare. Recentemente ci hanno sabotato l’auto su cui viaggiavamo, hanno minacciato la mia famiglia. In Honduras non esiste stato di diritto, ogni giorno è una scommessa». Il 2 marzo è stata assassinata.

caceres

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Berta Caceres
è stata assassinata
mercoledì 2 marzo in Honduras, nella città di Esperanza, dipartimento di Intibucá,
dove viveva.

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Non dimentichiamola!

 

Le parole profetiche di Berta Caceres

Honduras. L’ultima intervista al manifesto: «La nostra vita è appesa a un filo»

 

 


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Giorgio Penzo – Ingmar Bergman: «Sorrisi di una notte d’estate», Svezia, 1955

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Di solito, si considera Bergman come un regista estremamente serio o tragico. Il suo discorso su Dio (“Trilogia del silenzio”) o sulla morte (Sussurri e Grida) è prevalente nella sua opera. Ma il primo film che io considero un capolavoro, e cioè Sorrisi di una notte d’estate, è invece una commedia, raffinatissima e incisiva. In questo film forma e contenuto raggiungono un equilibrio perfetto e ci indicano quello che farà Bergman nei successivi, decisivi anni. Il film è una parabola sull’amore e sui compromessi che esso deve affrontare per raggiungere un suo equilibrio. In mezzo a tante coppie che hanno atteggiamenti distruttivi o negativi, solo un personaggio sembra aver chiaro che l’amore eterno e strenuamente romantico non ha possibilità di vita, se non in quelli che non l’hanno ancora sofferto.
Desirée gioca fin dall’inizio una partita di cui solo lei sembra avere la soluzione. [Leggi tutto]

Giorgio Penzo,
Recensione del film Ingmar Bergman- «Sorrisi di una notte d’estate», Svezia,1955


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