Jean-Claude Michéa – Una «comunità» composta esclusivamente da uomini d’affari mossi dalla cupidigia e da uomini di legge osservanti delle procedure è semplicemente invivibile

Michéa

La cultura dell'egoismo

Ricordiamo che i termini «comune», «comunità» o «comunismo» si formano a parrire dalla radice latina munus, che fra l’altro indicava gli obblighi (o gli «oneri») che derivavano tradizionalmeme dalla logica del dono e dell’onore e che da questo punto di vista costituiscono il vero zoccolo culturale e antropologico di tutte le relazioni personali o «faccia a faccia». Se, come è evidente, nulla vieta che una comunità allargata possa sviluppare, all’interno di certi limiti morali e culturali, un settore di mercato e delle istituzioni giuridiche (detto in altri termini, quei sistemi impersonali e anonimi di messa in relazione delle persone che danno forma a ciò che Alain Caillé chiama «socialità secondaria»), per contro è chiaro che tali strutture, fondate sulla mera logica del «do-ut-des» e dell’«interesse correttamente inteso», non possono in alcun modo definire (come vuole invece il dogma liberale) il fondamento primario del legame sociale quale si manifesta in maniera privilegiata nella vita quotidiana. E quindi ancor meno il principio filosofico fondante di una società decente. Una «comunità» composta esclusivamente da uomini d’affari mossi dalla cupidigia e da uomini di legge osservanti delle procedure (ovvero una comunità nella quale l’insieme dei membri applica, in rutte le sue relazioni quotidiane, la «morale» concreta di questi due tipi umani) sarebbe semplicemente invivibile. Eppure è proprio a quesro risultato che il sistema liberale tende logicamente.

Jean-Claude Michéa, L’anima umana sotto il capitalismo, in Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch, La cultura dell’egoismo, elèutera, 2014, pp. 65-66.

Dissentiamo dalla possibilità proposta da Michéa («nulla vieta che una comunità allargata possa sviluppare, all’interno di certi limiti morali e culturali, un settore di mercato») proprio in quanto è illusorio porre soltanto  «limiti morali e culturali» al mercato, seppure costretto ad ambiti marginali; vanno bensì posti ben presisi «limiti costituzionali», e di legge ordinaria, in termini di impedimento al sua stessa sussitenza. La logica intrenseca al mercato e alla merce porterebbe al suo allargamento continuo, cercando di conquisrare di nuovo ogni spazio sociale.

 


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Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949

25 aprile
Sommario

Le “battaglie dell’estate” in Europa
 
Lo sfascio del regime fascista e la caduta di Mussolini
Lo sciopero di Torino
Lo sbarco in Sicilia
L’ordine del giorno Grandi
Il governo Badoglio
 
La resa senza condizioni ovvero l’armistizio dell’8 settembre
La Repubblica di Salò
 
L’Italia dalla Resistenza alla Liberazione
Le formazioni partigiane
La reazione nazifascista
Lo sciopero del marzo 1944
La situazione al Sud
La “svolta di Salerno
“L’inverno terribile” della Resistenza
L’insurrezione
 
Nascita della Repubblica
I governi di unità antifascista
Il governo Parri
Il governo De Gasperi
Il referendum del 2 giugno 1946
La rottura dell'unità antifascista
L’avvento dell’Italia democristiana

 

Nel gennaio 1943, nell’attesa di un’imminente evacuazione delle ultime forze italo-tedesche dall’Africa, a Casablanca, in Marocco, si svolge una conferenza anglo-americana per decidere la strategia con cui proseguire la guerra. Stati Uniti e Inghilterra devono rispondere alle pressanti richieste della Russia di uno sbarco di forze anglo-americane in Francia, per facilitarle il compito di respingere l’esercito tedesco dal suo territorio e per accelerare il crollo della Germania costringendola a combattere su due fronti. Dopo la battaglia di Stalingrado ed il crollo italo-tedesco in Africa, l’invasione della Francia è possibile, ed è vista con un certo favore da Roosevelt, che punta ad una vittoria più rapida sulla Germania per poter poi concentrare tutti gli sforzi contro il Giappone in Asia.
Ma prevale il calcolo politico quanto mai cinico di Churchill. Al quale non preme che la guerra finisca presto e che le sofferenze dei popoli vengano abbreviate, preme invece che la Russia, diventata punto di riferimento dei partiti comunisti e dei settori più combattivi del proletariato in Europa, non ne esca rafforzata. E’ bene che le armate naziste restino a lungo in territorio russo prima della sconfitta finale della Germania, in modo che la Russia esca dal conflitto vittoriosa, ma dissanguata ed indebolita. Non intende perciò agevolare la lotta della Russia contro gli invasori aprendo un secondo fronte contro la Germania, e mira a concentrare lo sforzo bellico anglo-americano, per il momento, non contro la Germania ma contro i suoi “satelliti” mediterranei, in particolare l’Italia, assai indeboliti per l’aiuto tedesco sempre più scarso e dal dominio anglo-americano del Mediterraneo.
La conferenza anglo-americana di Casablanca si conclude con la decisione che non sarà concessa pace a nessuno, se non in séguito ad una loro resa incondizionata, e con l’impegno a concentrare lo sforzo bellico innanzitutto contro l’Italia, perché ritenuta il paese più prossimo alla sconfitta (ed anche perché dalla sua sconfitta l’Inghilterra si propone di trarre un grosso vantaggio, impadronendosi della sua flotta e delle sue colonie).

  1. Le “battaglie dell’estate” in Europa

 In Russia, il 4 luglio 1943, Hitler ordina una grande offensiva sul fronte di Kursk, con l’obiettivo della conquista delle miniere di cromo dell’alto Don, metallo assai usato nelle leghe dell’acciaio per la fabbricazione della corazzatura dei carri armati. La battaglia di Kursk (4-13 luglio), una delle maggiori della seconda guerra mondiale, passata alla storia anche come “la battaglia dei carri armati” per l’enorme numero di mezzi cingolati utilizzati, in mezzo a veri uragani di fuoco delle opposte artiglierie, vede un grande successo difensivo dei Russi, che non permettono all’esercito nazista alcuna avanzata e gli infliggono perdite durissime. Nella seconda metà di luglio i Russi passano addirittura ad una controffensiva a nord di Kursk – un’altra grande battaglia, quella di Orel – e, tra la sorpresa del mondo intero, sfondano le linee tedesche e con una travolgente avanzata arrivano fino a Smolensk… [Leggi tutte le 22 pagine in PDF]

Giancarlo Paciello – Diciamocelo, un po’ di storia non guasta

 

 


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Ray Bradbury (1920-2012) – Sostanza (identificazione della vita), tempo per pensare (tempo di pensare a questa identificazione, di assimilare la vita), diritto di agire in base a ciò che apprendiamo. Rileggiamo “Fahrenheit 451”.

Bradbury

 

fahrenheit-451-book-cover1

 

Fahrenheit_451_(1966)_Francois_Truffaut

«[…] Sapete cosa fanno? Riempiono i crani della gente di dati non combustibili, li imbottiscono di “fatti” al punto che non possano più muoversi tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di “pensare”, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno. […] Non daranno loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti e idee che è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, dicono, pescherebbero la malinconia e la tristezza. Chiunque possa far scomparire una parete TV e farla riapparire a volontà, e la maggioranza dei cittadini oggi può farlo, [riterrà di essere felice proprio perché deprivato del pensiero critico]. […] Sapete perché libri come questo siano tanto importanti? Perché hanno sostanza. Che cosa significa in questo caso “sostanza”? Per me significa struttura, tessuto connettivo. Questo libro ha pori, ha caratteristiche sue proprie, è un libro che si potrebbe osservare al microscopio. Trovereste che c’è della vita sotto il vetrino, una vita che scorre come una fiumana in infinita profusione. […] Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. Viviamo in un tempo in cui i fiori tentano di vivere sui fiori, invece di nutrirsi di buona pioggia e di fertile limo nero. […] Questa è la prima cosa delle tre che ci mancano: sostanza, tessuto di elementi vitali.
La seconda è avere tempo per pensare. […] Il televisore vi dice lui quello che dovete pensare. Vi spinge con tanta rapidità e irruenza alle sue conclusioni che la vostra mente non ha tempo di protestare, di dirsi: “Quante sciocchezze!”.
Qualcuno dice che i libri non sono “reali”. Li si può almeno chiudere, dire: “Aspetta un momento”. Ma chi mai è riuscito a strapparsi dall’artiglio che v’imprigiona quando mettete piede nel salotto TV? Vi foggia secondo l’aspetto che esso più desidera! L’ambiente in cui vi chiude è reale come il mondo. Diviene e pertanto è la verità.
I libri invece possono essere battuti con la ragione. […] I libri potranno esserci di aiuto? Soltanto se potremo avere la terza cosa che ci manca.
La prima, come ho detto, è sostanza, identificazione della vita. La seconda, agio, tempo di pensare a questa identificazione, di assimilare la vita. La terza: diritto di agire in base a ciò che apprendiamo dall’influenza che le prime due possono esercitare su di noi. […]

[…] E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: Ricordiamo. […] Per ogni cosa c’è una stagione. Sì. Il tempo della demolizione, il tempo della costruzione. Sì. Il tempo del silenzio e il tempo della parola […] E sull’una e sull’altra riva del fiume v’era l’albero della vita che dava dodici specie di frutti, rendendo il suo frutto per ciascun mese; e le fronde dell’albero erano per la guarigione delle genti».

Ray Bradbury, Fahrenheit 451, pubblicato nel 1951

 

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