Pelagio (354 d.C. – 420 d.C.) – La ricchezza ha forse un’altra origine che non sia, in primo luogo, l’ingiustizia e la rapina? Vediamo che soprattutto i malvagi hanno ricchezze in abbondanza. Nell’essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male, nella libertà di scegliere l’una o l’altra sta il vanto dell’uomo di essere razionale.

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«[L'uomo è] libero nel compiere il bene o il male.
 Se ci pensi bene, ti apparirà evidente come, proprio per questo,
 la condizione dell'uomo sia più alta e dignitosa,
 dove sembra e si crede invece più misera.
 Nell'essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male,
 nella libertà di scegliere l'una o l'altra sta il suo vanto di essere razionale.
 Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene,
se egli non avesse anche la possibilità di compiere il male.
Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male;
perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene.
Sembra che molti vogliano rimproverare il Signore per la sua opera,
dicendo che avrebbe dovuto creare l'uomo incapace di fare il male:
non sapendo emendare la loro vita, costoro vogliono emendare la natura!
Invece la fondamentale bontà di questa natura è stata impressa in tutti,
senza eccezioni [...].
Di quanti filosofi, infatti, abbiamo sentito dire o visto con i nostri occhi
che sono vissuti [...] modesti, benevoli,
sprezzanti degli onori del mondo e dei piaceri,
amanti della giustizia?
Di dove vennero loro queste virtù, se non dalla natura stessa?
Fa' dunque che nessuno ti superi nella vita buona e virtuosa:
tutto questo è in tuo potere e spetta a te sola,
poiché non ti può venire dal di fuori,
ma germina e sorge dal tuo cuore».

 Pelagio, Epistola a Demetriade

[7,2] La ricchezza ha forse un’altra origine che non sia, in primo luogo, l’ingiustizia e la rapina? Posso dimostrarlo a partire, innanzitutto, da questa argomentazione: quasi tutti coloro che vediamo diventare ricchi, da poveri che erano, sappiamo che non possono riuscirci senza commettere qualche ingiustizia, o qualche rapina. [3] Tu mi dirai che questo
vale per quanti diventano, da poveri, ricchi; ma quelli che notoriamente sono ricchi per aver ricevuto l’eredità dei genitori? quelli che potremmo definire “ricchi fin dalla nascita”? Di loro si potrebbe pensare che possiedono la ricchezza non per un’ingiustizia, ma per un’eredità del tutto legittima; io però mettevo in discussione non tanto il possesso di ricchezza, quanto la sua origine: mi sembra difficile che si possa avere la ricchezza senza una qualche ingiustizia. [4] Tu mi dirai: «cosa ne sai di dove ha avuto origine quella ricchezza, se non sai quando è iniziata?» […] Deduco il passato dal presente: credo infatti che ogni situazione di cui ora vedo l’origine si sia ripetuta uguale in passato, quando non ne vedevo l’origine.
[5] E quindi la ricchezza è ingiustizia? Non dico che la ricchezza sia in sé ingiustizia, ma credo che derivi per lo più dall’ingiustizia. E se tu fossi disposto a discutere con me serenamente, senza irritarti, e non cercassi di giustificare, sostenendola animatamente, quella posizione a cui ti sei ormai affezionato; se invece mettessi da parte ogni intento malizioso e con animo tranquillo e pacato volessi ascoltare un ragionamento veritiero, forse potrei provarti che difendere la ricchezza con tenacia eccessiva non è giusto. [8, 1] Dunque: ti sembra giusto che uno trabocchi del superfluo, mentre un altro manca di quanto è necessario per la vita quotidiana? Uno si rovina perché ha troppo, l’altro invece deperisce perché ha troppo poco? Uno si gonfia di cibi ricercati, sontuosi, ben oltre le necessità naturali, mentre l’altro non si nutre abbastanza neanche di cibi scadenti?
[…] Uno è ricco d’oro, d’argento, di pietre preziose e di risorse di ogni genere, l’altro invece si esaurisce per la fame, per la sete, per la mancanza di abiti e per le privazioni di ogni genere? E poi, è da qui che sorge il sospetto maggiore di questa ingiustizia: vediamo che soprattutto i malvagi hanno ricchezze in abbondanza, mentre i buoni soffrono le miserie della povertà.

Pelagio, La ricchezza, 7, 2-5; 8,1; trad. di L. Pasetti.


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Adriano Ercolani – La ricerca eretica di Valentino Bellucci

stellari

246 ISBN

Valentino Bellucci
Da Pitagora a “Guerre Stellari”. Il sapere esoterico dei veri illuminati.
indicepresentazioneautoresintesi

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Valentino Bellucci (1975), laureatosi in Filosofia nel 2001 presso l’Università di Urbino con una tesi di antropologia filosofica dedicata alle teorie del colore, insegna nei licei della provincia di Pesaro-Urbino. Nel 2003 si aggiudica il secondo premio presso il prestigioso concorso dedicato alla poesia, il De Palchi-Raiziss (Verona-New York), e il suo componimento in versi è inserito nell’antologia del premio con prefazione di Giovanni Raboni. Docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata ha tenuto il corso: Storia e analisi-critica del video-teatro. Numerosi i suoi testi di saggistica filosofica, con una particolare attenzione al pensiero orientale, al cui studio fu iniziato dal grande orientalista Icilio Vecchiotti. Sviluppa inoltre ad una intensa attività pittorica e grafica, proseguendo la grande scuola figurativa di Pietro Annigoni. Pratica dal 2006 il Bhakti-yoga, all’interno della millenaria tradizione della Brahma-Madhva-Gaudya-Sampradaya, approfondendo i testi della mistica indù-vaishnava e divulgandone il profondo significato filosofico ed esistenziale. Si laurea in Sociologia nel 2013, con una tesi sulle strutture sociali dei Varna, che pubblica con prefazione del prof. Luigi Alfieri nel 2014.Tra le sue pubblicazioni: Il pensiero estremo (2004); Walter Benjamin. La duplice genealogia del simbolo e della verità (2004); Dialogo su Georges Battaille (2004); Lo yoga devozionale indiano. Il vaishnavismo (2011); Il benessere attraverso l’āyurveda (2013); Cristo era vegetariano? Interrogarsi su una parte dis toria forse taciuta o dimenticata (2013); L’invenzione dell’inferno (2015).

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Nella continua consultazione di testi filosofici, orientali e occidentali, ortodossi ed eretici, classici o contemporanei, può capitare di imbattersi in studiosi liberi, dallo sguardo trasversale e affrancato dalle asfissianti mode culturali, insieme sincretico e diacronico: studiosi allergici a dogmi contrapposti e sovrastrutture stantìe.
Tale è il caso di Valentino Bellucci, ricercatore dal peculiare approccio spirituale, in grado di conciliare una notevole erudizione (soprattutto nell’ambito della tradizione vedico-bhaktica) con un’incessante ricerca di nuovi stimoli e approfondimenti.
Questa voracità intellettuale rende comunque interessanti i suoi studi, che talvolta possono apparire, per menti poco abituate ad uscire dal ghetto culturale eurocentrico, al limite di quella arbitrarietà spesso ascritta, da chi si muove entro i limiti razionali, a qualsivoglia rivelazione esoterica.
Per i lettori narcotizzati dai paralizzanti veleni del relativismo moderno, infatti, l’assertività di Bellucci (propria di uno studioso che pratica nel quotidiano ciò che teorizza) potrebbe risultare viziata da fanatismo o esaltazione. Questo proprio perché egli non rispetta, anzi vìola sistematicamente tutti i tabù intellettuali del falso progresso moderno, rivolgendosi a lettori dalla mente aperta e dalla risvegliata intelligenza emotiva.

La visione dell’Amore del Figlio di Dio di Ildegarda

Quando, in un articolo molto interessante pubblicato nella rivista Fenix, lo studioso ha sostenuto  che la mistica Ildegarda di Bingen ebbe nelle sue meditazioni la chiara visione di Shri Krishna (il celebre Cristo-Uomo Blu che ella descrive in pagine memorabili), sollevando in tal modo un sordo coro di bercianti critiche dal versante cattolico, in realtà ha ipotizzato qualcosa non solo che Jung avrebbe facilmente compreso e Zolla probabilmente sottoscritto, ma che qualsiasi ricercatore della verità troverebbe assolutamente logico.
L’accesso agli archetipi dell’Inconscio Collettivo è prerogativa dei mistici e degli artisti illuminati.
Non è certo un caso che Hillman menzioni proprio quella grande pagina di Ildegarda in una sua dissertazione sul blu quale colore alchemico.

Fedeli al titolo blakeano che campeggia su queste colonne, ancora una volta ci accingiamo a spezzare le manette della mente: benché Bellucci si rifaccia a figure spirituali a noi non vicine, benché non possiamo dire di condividere nel dettaglio ciascuna affermazione dei suoi dotti e pungenti testi, concordiamo con lui su alcuni fondamenti del suo discorso storico-filosofico.
Ad esempio, lo smascheramento dei dogmi incrollabili dell’ateismo di massa, eguali e contrari a quelli della Chiesa Cattolica (come avviene ne La Chiesa di Darwin, Ed.Harmakis); la dimostrazione dell’esistenza della dottrina della reincarnazione nel Sufismo, nella Qabbalah ebraica come nel Cristianesimo gnostico delle origini, in una ricostruzione storica ispirata a un classico di decostruzione anti-dogmatica di Jacques Le Goff (L’Invenzione dell’Inferno, Ed. Harmakis); soprattutto, sottolineiamo la grande lucidità con cui Bellucci afferma e argomenta una nostra radicata convinzione: la cultura vedica come fonte del sapere esoterico universale (oltre a quella egiziana, da sempre indicata come tale), attraverso un tortuoso percorso in cui la conoscenza originaria è stata variata, corrotta, deformata, a volte arricchita, conservata in codici occulti e tramandata/tradotta/tradita tramite la tradizione orfico-pitagorica, il platonismo originario, la Gnosi, i circoli esoterici medievali, gli iniziati rinascimentali, le origini (idealmente pure) della Massoneria, fino ai giorni nostri (Da Pitagora a Guerre Stellari, Ed. Petite Plaisance).
Il prossimo libro in uscita di Bellucci si prospetta altrettanto interessante, affrontando i collegamenti tra Gnosi cristiana e tradizione vaishnavica, come illustrato qui di seguito:

Leggere le pagine di Bellucci, anche quando non siamo d’accordo, è insieme sia un piacere intellettuale (nei suoi testi squaderna un’erudizione sempre gravida di stimoli), che un conforto spirituale: in tempi di sgangherati sincretisti New Age, vedere che c’è qualcuno che ancora sa approfondire con dedizione fonti storiche e proporre rigorose argomentazioni razionali, affrontando una materia ardente e accecante come la mistica orientale, ci colma di speranza.
Non è un caso che, con sapiente capovolgimento dialettico, egli sia in grado di citare Voltaire contro gli eccessi del razionalismo moderno, lo stesso Darwin (e i suoi onesti dubbi) contro i suoi seguaci dogmatici, e che in Occidente abbia idealmente dialogato, dedicandovi testi accademicamente non conformi, con due intellettuali fuori dagli schemi quali Walter Benjamin e George Bataille.
Concludiamo con le righe conclusive della sua introduzione al suo ultimo testo citato, forse per noi il più riuscito, che donano la misura del suo approccio non convenzionale ma comunque equilibrato: “L’India non ha creato questa conoscenza, essa era diffusa su tutto il globo, ma dopo varie trasformazioni storiche e geologiche tale sapere si è conservato soprattutto in India; ma oggi la conoscenza vedica sta già migrando in occidente ed è compito dell’uomo occidentalizzato recuperare questo patrimonio che tanto ha donato alla cultura moderna e che ancora può donare, poiché si tratta di una filosofia perenne, di una conoscenza eterna, fuori dal tempo, ma in grado di manifestarsi nel tempo. I testi vedici possono darci una psicologia perfetta, con lo yoga, una architettura armoniosa e insuperabile, con il vastu, una medicina non  invasiva e naturale, con l’ayurveda … la lista delle scienze vediche è assai lunga. Si tratta di iniziare a studiarle seriamente e a mettere in pratica questo sapere millenario”.
Non possiamo che sottoscrivere questo invito.

Articolo pubblicato su: «Spezzando le manette della mente» del 8-5-2016.

 

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