«La censura prima era politica, ma quella di oggi, quella commerciale, è ancora più terribile, perché gli editori pensano che se un’opera non venderà più di duemila copie non vale la pena di pubblicarla. E con questo criterio si rischia di perdere metà della letteratura migliore». Juan Goytisolo
«La letteraura è il territorio del dubbio. Una volta tenni un corso su Le mille e una notte. Mi piace moltissimo quando Sherazad dice «si dice che…», «si narra che…», ma poi c’è una contraddizione in quel che si dice, in quel che si narra. È il territorio del dubbio. Io non credo nel Corano, né nella Bibbia, né nella Torah o nei Vangeli. Credo invece ne Le mille e una notte. Lì tutto è dubbioso. Il romanzo non serve a dare risposte ma a fare domande, perché il lettore si faccia delle domande nuove. Tutti danno risposte. Tutti i governi, tutti i partiti, tutti i sistemi danno risposte. La maggior parte false, però comunque si tratta di risposte. Invece bisogna fare domande».
«La mia vita è stata una emigrazione costante: dalla Spagna a Parigi, da Parigi agli Stati Uniti, dagli Stati Uniti all’interesse per il mondo arabo, per la Turchia, per il Marocco; interesse che in gran parte deriva dalla mia permanenza a Parigi, possiamo dire. Non lo so, uno non sa mai in anticipo quale sarà il suo destino. È il destino che va tracciando le cose. L’importanza dell’oralità, tutto ciò che ho scritto a partire da Don Julián… che ho incorniciato in Don Julián, in Juan sin tierra, in Makbara, e soprattutto in Las virtudes del pájaro solitario, ma anche in Telón de boca, è tutto scritto per essere letto a voce alta. È allo stesso tempo prosa e poesia. Niente a che vedere con la cosiddetta “prosa poetica”, che mi inorridisce, mi pare spaventosa. Invece è allo stesso tempo prosa e poesia: vuol dire che all’interno del testo è presente quella che si chiama oralità secondaria. Conta molto per me, tanto quanto la gestualità. Prendiamo degli esempi. Quando stavo preparando il saggio sull’Arciprete di Hita capii un episodio che nessuno aveva mai capito vedendo un narratore della piazza che raccontava qualcosa di simile, però facendo una serie di gesti. La gestualità è molto importante nell’oralità. Lo capì bene anche Diderot. In Jacques il fatalista di Diderot il lettore interviene sempre, interviene e dice: «Bene, e che hai fatto della storia?». Gli viene risposo: «Non aver fretta, lettore!». Ma alla fine la storia non viene raccontata. Il lettore interviene sempre in maniera molto creativa nel romanzo. Per me l’esperienza dell’oralità nella piazza fu molto importante. Capii come un episodio del Libro de buen amor acquistava significato vedendo e ascoltando uno dei migliori narratori, che poi morì. Tutto questo mi ha sempre suscitato molto interesse per le culture antiche. Ricordo di aver letto un saggio sui versi di Omero, un Omero che veniva letto a voce alta e il cui ritmo veniva adattato in base alla gente che stava ascoltando. Per esempio ci sono passaggi dei miei romanzi che sono scritti assolutamente in funzione della loro lettura a voce alta, con un ritmo molto preciso e marcato. La stessa cosa si ritrova in Carlo Emilio Gadda, per esempio. Purtroppo non padroneggio l’italiano. Una volta provai a leggere la Via Merulana, che è una meraviglia. È tradotto molto bene in spagnolo. Quando non capivo il testo in italiano ricorrevo alla traduzione spagnola. Chiaramente era un po’ difficile, non era come leggere un romanzo italiano normale. Per me Calvino, Gadda e Svevo sono i tre grandi italiani del secolo scorso».
Juan Goytisolo, Intervista a cura di Ferdinando Guadalupi, in “Zibaldoni e altre meraviglie”, 5-9-2013.
Scrittore e poeta spagnolo, che si ascrive alla corrente letteraria dei “nuova ola”.
Nato in una famiglia aristocratica, da giovane si avvicina al Partito Comunista. Il padre viene imprigionato e ucciso durante la Guerra Civile Spagnola, e la madre rimane vittima del primo raid aereo sulla Spagna nel 1938.
Il giovane Juan scrive il suo primo libro a 25 anni, a Parigi, dove lavora come “lettore” per Gallimard e conosce Guy Debord.
A causa del regime franchista infatti, è costretto ad espatriare; e vive in Francia per molti anni, dove approfondisce il tema dell’immigrazione e dell’Islam. Si sposa con Monique Lange (anche lei scrittrice) e continua a risiedere in Francia, pur recandosi spesso a Marrakech per le sue ricerche.
Tra i suoi titoli più importanti in traduzione italiana ricordiamo Oltre il sipario (L’ancora del Mediterraneo, 2004), Le settimane del giardino (Einaudi, 2004), Paesaggi dopo la battaglia (Cargo, 2009), Esiliato di qua e di là. La vita postuma del Mostro del Sentier (Mimesis, 2014).
Juan Gotysolo vince il Premio Cervantes 2014.
Pubblicato per la prima volta nel 1982, “Paesaggi dopo la battaglia” è considerato il capolavoro di Goytisolo, oltre a essere un romanzo incredibilmente attuale, tanto che l’autore ne ha ripreso il protagonista per il suo ultimo romanzo, appena uscito in Spagna. Lo scenario è Parigi, l’ambiente è il Sentier, quartiere a forte immigrazione; il protagonista è Charles, alias il Reverendo, alias “II mostro”, oscuro personaggio che ha tutti i tratti dell’antieroe: brutto, grassoccio, pederasta e misantropo, cerca relazioni tramite annunci pornografici sui giornali e, per il resto, si isola sistematicamente dal genere umano. I temi sono quelli attualissimi dell’immigrazione e della difficile convivenza di culture diverse. Che rappresentano anche, per Goytisolo, un punto di partenza per una dissacrante satira dei valori occidentali, una critica feroce che non risparmia niente e nessuno, dai movimenti rivoluzionari al terrorismo, alle ideologie politiche e religiose.
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