Ilaria Rabatti – il libro di John Berger è un atto di fede nel potere che ha l’amore di sconfiggere il tempo. L’opposto dell’amore non è l’odio, ma la separazione, che si può vincere lottando contro la tentazione dell’acquiescenza e dell’oblio.

Ilaria Rabatti-John Berger

John Berger

John Berger

«L’attesa appartiene al corpo, mentre la speranza appartiene all’anima».

“Dire la verità? Parole torturate finché non si arrendono al loro esatto opposto; Democrazia, Libertà, Progresso, quando vengono rimandate nelle loro celle, sono incoerenti. Poi ci sono altre parole, Imperialismo, Capitalismo, Schiavitù, alle quali è negato l’ingresso, che vengono ricacciate indietro a ogni posto di frontiera, e i cui documenti sono confiscati e consegnati a impostori come Globalizzazione, Libero Mercato, Ordine naturale.

Soluzione: la lingua notturna dei poveri. Chi la usa riesce a dire e avere qualche verità”.

“Oggi servirsi del vocabolario tradizionale, usato dai potenti e dai media, non fa che aumentare l’oscurità e la desolazione in cui siamo immersi. Il che significa essenzialmente rimanere in silenzio. Significa scegliere le voci a cui vogliamo unirci”.

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Ogni libro ha la sua voce, il suo respiro.

E quando leggo un libro avverto subito, fin dalle prime righe, se a quel respiro può unirsi anche il mio, se quella storia mi vuole o non mi vuole come lettrice. Se non mi vuole, preferisco rinunciare subito… ma se mi accoglie, sento il mio respiro intercettare quello dei protagonisti del racconto, e di colpo io sono dentro la storia è la storia è dentro di me…

Con il libro di John Berger, Da A a X, lettere di una storia, “lieve e incandescente” romanzo d’amore in forma epistolare è accaduto proprio così; e fin dalle prime pagine ho sentito subito di “essere dentro” quella palpitante vicenda esistenziale, come se il “flusso sanguigno” del racconto si congiungesse misteriosamente al flusso sanguigno della mia stessa storia di vita e ne vivificasse alcuni passaggi. Dice John Berger – critico acuto e sottile della cultura contemporanea e delle dinamiche sociali e politiche della globalizzazione, ma soprattutto scrittore militante che fa della letteratura uno dei principali strumenti per indagare e difendere i sentimenti più intimi dell’uomo – che «quando una storia ci colpisce e ci commuove, essa genera qualcosa che diventa, o può diventare, una parte essenziale di noi, e che questa parte, piccola o ampia che sia, è, per così dire, la sua discendenza o prole».

Ma per Berger, che ama definirsi storyteller – ovvero, insieme, ascoltatore e narratore di storie, dove, cioè, la capacità di ascoltare è la premessa sostanziale alla narrazione – non solo di ascolto è fatta la narrazione ma anche di sguardi, ovvero di un particolare, “inquieto” modo di guardare e di interrogarsi, che costituisce la sua cifra di scrittore, assolutamente appartato e solitario. Superati gli ottantasette anni, da sempre impegnato a denunciare lo stato di oppressione violenta in cui è tenuta la Palestina dalle truppe di occupazione israeliane, Berger è ancora uno “scrittore contro”, che reclama la disobbedienza e la lotta; probabilmente, come sottolinea Belpoliti, «l’ultimo scrittore politico europeo in circolazione, in ogni caso l’unico che sia rimasto testardamente legato a una lettura realista e insieme poetica del mondo, l’unico che somigli per passione e insistenza a PierPaolo Pasolini, di cui continua lo spirito profetico in un’età in cui gli intellettuali si sono trasformati in consulenti, opinion maker, brillanti tornitori delle viti del presente».

Ricorrendo al tradizionale espediente narrativo, quello del “ritrovamento” di carte manoscritte, nella premessa al romanzo Berger ci avverte di essere riuscito a mettere le mani su alcuni pacchi di lettere, che appartengono (o sono appartenute?) ad un prigioniero, Xavier, condannato a due ergastoli per presunte attività terroristiche. Le lettere sono state scritte dalla sua compagna A’ida, che, sfidando la sorda giustizia del più forte che lavora sull’amnesia dei sentimenti e la perdita di contatto con la realtà, colma la distanza con l’amato attraverso ponti di parole che evocano ricordi e raccontano i dettagli di una vita quotidiana a lui ormai per sempre negata: dal lavoro in farmacia, alle visite alla vecchia madre di lui, alle riunioni politiche clandestine coni “resistenti”, all’angoscia  di una precaria sopravvivenza in un villaggio occupato dall’esercito, presente con i suoi caccia ed i suoi elicotteri.

Insieme alle sue attente osservazioni sul quotidiano, che la portano di continuo ad interrogarsi su ciò che accade sotto i suoi occhi, con un atto di fede profondissimo nel potere dell’amore di sconfiggere il tempo, A’ida compone per Xavier – di cui non abbiamo le risposte, ma solo alcune riflessioni di politica internazionale appuntate sul retro delle lettere di lei – uno struggente canto dell’attesa e del desiderio: «Prima che ti prendessero, pensavo poco al futuro. I nostri genitori avrebbero detto che lottavamo per il futuro. Non noi. Noi stavamo combattendo per rimanere noi stessi. Da quando ti hanno preso, il futuro è costantemente con me, perché ti aspetto […] C’è un enorme differenza tra speranza e attesa. All’inizio credevo fosse una questione di durata, che la speranza consistesse nell’aspettare qualcosa di più lontano. Mi sbagliavo. L’attesa appartiene al corpo, mentre la speranza appartiene all’anima. La differenza è tutta qui. […] Ho scoperto qualcosa di più. L’attesa di un corpo può durare quanto qualsiasi speranza. Come la mia che aspetta il tuo».

L’opposto dell’amore infatti, sembra dirci Berger, non è l’odio, ma la separazione, che nel romanzo è rappresentata dalle mura del carcere, che A’ida cerca d’abbattere con la forza, la passione dei suoi sentimenti, resistendo e lottando, in primo luogo contro se stessa, contro la tentazione dell’acquiescenza e dell’oblio, affidando talvolta ai disegni – disegni di mani (realizzati dallo stesso Berger), che compiono azioni con movenze diverse perché «tutte le storie sono anche storie delle mani» – ciò che le parole non riescono a dire: «i disegni offrono ospitalità all’invisibile compagnia che è al nostro fianco […] non piangono la distanza, ma rispondono a una sola parola: QUI».

Ilaria Rabatti

Salvatore Natoli – Le parole, prima ancora di pronunciarle, bisognerebbe ascoltarle, ci sono state donate. La sapienza delle parole ha preceduto la filosofia.

Salvatore Natoli 02

«Le parole […] sono sapienti di per sé e per questo, ogni volta, prima ancora di pronunciarle bisognerebbe ascoltarle, come all’inizio. Infatti, non sono nostre, ma ci sono state donate, le abbiamo apprese […]. La sapienza delle parole ha preceduto la filosofia e per molti versi l’ha preparata».

 

Salvatore Natoli, Parole della filosofia o dellarte di meditare, Feltrinelli, Milano 2004, p. 6.

Maurizio Migliori – Il pensiero classico vuol capire il mondo, la cui complessità non viene messa in dubbio, e che quindi deve essere affrontato con una pluralità molto elastica di strumenti

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«Platone e Aristotele, ma credo si possa dire in genere tutta la filosofia antica, non paiono tanto interessati a produrre UN paradigma, UN sistema di pensiero, UNA visione, UNA definizione, quanto piuttosto ad elaborare, all’interno di un orizzonte concettuale ben definito, a volte anche definito in modo talmente forte da colpirci, una pluralità di schemi e di modelli, tra loro non sovrapponibili e a volte anche in contrasto, e tuttavia capaci di spiegarci aspetti della realtà che altrimenti ci sfuggirebbero. In sostanza, il pensiero classico vuol capire il mondo, la cui complessità non viene messa in dubbio, e che quindi deve essere affrontato con una pluralità molto elastica di strumenti».

 

Maurizio Migliori, Il bello e il buono della virtù, in Plato Ethicus. La Filosofia è vita, M. Migliori, L.M. Napolitano Valditara Editors, Davide Del Forno Co-editor, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 191-240, pp. 235-236.