Salvatore Bravo legge Slavoj Žižek – L’interpassività e il Regno animale dello Spirito. Di fronte allo scollamento tra «Reale» e «realtà» occorre un pensiero che divenga esodo dal pensiero unico.

Slavoj Žižek05
Il godimento come fattore politico
TREDICI VOLTE LENIN. PER SOVVERTIRE IL FALLIMENTO DEL PRESENTE

Salvatore Bravo

All’interpassività che rafforza la gettatezza nel mondo
bisogna agire nel silenzio del pensiero che diviene esodo dal pensiero unico e moltiplicatore delle resistenze.

L’interazione passiva
La prassi[1] in Aristotele è l’interazione sociale in cui il soggetto, gradualmente, vive l’esperienza della verità nella comunità, parte imprescindibile di sé. Essa si coniuga con il deliberare, con la saggezza:[2] prassi e phrònesis sono vita activa, poiché il fine di entrambe è comunitario oltre che individuale. La buona prassi, come il giusto deliberare, sono inscindibili dal vivere comunitario. La vita attiva è l’interazione tra saggezza e prassi. Il mezzo con cui – per riprodurre se stesso – l’attuale modo di produzione inibisce la prassi ed il giusto deliberare è l’interpassività. I soggetti sono in perenne attività, ma quest’ultima, in realtà, spinge verso la ripetizione di gesti automatici, la religione del vitello d’oro resta velata, occulta nei gesti meccanici la riflessione consapevole delle conseguenze dei propri atti, ogni accadimento è un evento che “sic ed simpliciter” avviene. Tutto accade, e nel contempo il modo di produzione, riproduce se stesso, il vitello d’oro, la merce ed il plusvalore attraverso i fedeli sudditi, sempre agiti, perennemente situati, i quali si percepiscono come “razza padrona”, ma in realtà sono interni ad un paradigma che impedisce il discernimento. L’essere è solo “esse=capi”, è attività del depredare; l’ontologia del saccheggio è l’unico paradigma del capitalismo assoluto. Gli enti che non sono ghermibili sono tagliati dall’orizzonte esperienziale: ogni ente non catalogabile come potenziale mezzo per il plusvalore è escluso, espulso dalla rappresentazione, la quale si autorappresenta solo ciò che è calcolabile. Non vi è spazio nell’osservazione che per l’ente da arpionare per eventuale investimento. L’homo oeconomicus non ha immaginazione empatica, pertanto il suo mondo è solo un borsino immobiliare. L’azione di conquista e consumo è l’unica attività che eternamente ritorna su se stessa per riprodursi infinitamente.
Con l’interpassività si ha l’impressione di agire, di modificare il mondo, ma in realtà si conferma il sistema capitale. Il vitello d’oro, dopo il superamento della convertibilità delle monete in oro, si è liquefatto, ha perso con la forma ogni limite, è ovunque, pervade e feconda ogni spazio e tempo con le sue leggi inevitabili e fatali. Dietro l’attività conclamata vi è la passività, l’alienazione (Entfremdung), cifra vivente della religione del vitello d’oro e della mortificazione:

«Oggi è prassi comune sottolineare come, con i nuovi media elettronici, la fruizione passiva di un testo o di un’opera d’arte sia finita: io non sto più semplicemente davanti allo schermo, interagisco sempre maggiormente con esso, entrando in un rapporto dialogico con esso (scegliendo i programmi, partecipando a dibattiti in una comunità virtuale, determinando direttamente il finale di una trama nei cosiddetti “racconti interattivi”). Tutti coloro che lodano il potenziale democratico dei nuovi media, si soffermano generalmente proprio su queste caratteristiche: su come il cyberspazio apra la possibilità ad una larga maggioranza di persone di uscire dal ruolo passivo dell’osservatore che segue lo spettacolo messo in scena da altri, e di partecipare attivamente non solo allo spettacolo, ma sempre più alla definizione delle regole stesse dello spettacolo […]. Ma l’altro lato di questa interattività non è forse l’interpassività? Il necessario opposto del mio interagire con l’oggetto non consiste nel seguire passivamente lo spettacolo, ma in una situazione in cui l’oggetto si impossessa, privandomene, della mia propria reazione passiva di soddisfazione (tristezza o risata), cosicché l’oggetto stesso “si gode lo spettacolo” al posto mio, sollevandomi dal dovere superegoico di divertirmi […]».[3]

Il sistema capitale fonda un mondo virtuale in cui gli attori non sono che parte di un copione scritto dalle lobby finanziarie: si vive, si parla con parole stabilite dal circo mediatico della finanza. Si divora fino ad autodivorarsi come nel mito di Erisittone, perché il capitalismo assoluto incontra se stesso nell’autodivorarsi, ma non si riconosce, è sussunto alle sue stesse leggi che lo obbligano all’aumento esponenziale del plusvalore fino a divorare le condizioni ambientali che lo mantengono in vita. Non conosce il concetto, ma solo la legge dell’accrescimento illimitato, la sua verità è di ordine regressivo e dunque irrazionale.

Agazia Scolastico (nell’Antologia Palatina XI, 379), scrittore bizantino, descrive la fame di Erisittone, ma sembra descrivere la solitudine della società liquida nella quale ciascuno può essere preda dell’altro:

«Nessuno sopporta la vista dei tuoi denti molari, tanto
da avvicinarsi a casa sua; ché, se hai sempre la fame
vorace d’Erisittone stesso, sì, finirai per mangiare
anche l’amico che inviti. Ma la tua dimora non m’accoglierà:
o non entrerò per farmi ospitare dal tuo ventre.
E se mai verrò a casa tua, non tanta prodezza compì
il Laerziade affrontando le gole di Scilla,
ma più di lui sarò “l’eroe paziente”, se m’appresserò a te,
del Ciclope agghiacciante per nulla più mite».

 

L’interpassività ed il Regno animale dello Spirito
L’agire è ammesso solo all’interno di una cornice prestabilita. Non è possibile passare da un confine ideologico ad un altro, il mondo è racchiuso all’interno di confini invalicabili. L’ideologia è unica e non ammette competitori, anzi proclama la morte delle ideologie per celare che essa stessa è un’ideologia. Si può agire, ma solo all’interno del mondo capitalistico, si può operare sui sintomi, ma non sulla malattia. La flessibilità diviene la capacità di adattare ogni azione alla sopravvivenza del modo di produzione capitalistico. Le associazioni che si battono ed intervengono nelle aree di tensione, dove la verità si rivela, possono curare le vittime, ma non devono guardare in pieno volto il carnefice, non devono elaborare alternative. La loro opera meritoria è curvata al servizio del capitalismo assoluto, che onnipotente – in quanto sciolto da ogni limite – ammette l’agire, ma solo per allievare gli effetti delle contraddizioni nei punti ottici in cui la verità si palesa nella sua tragica realtà:

«Oggi, ogni volta che si risponde direttamente a un appello all’azione, quest’atto non verrà compiuto in uno spazio vuoto, e sarà sempre collocato all’interno di coordinate ideologiche egemoni: coloro che “davvero vogliono fare qualcosa per aiutare la gente”, e sono coinvolti in operazioni (peraltro meritorie) come Médecins sans Frontière o Grenpeace, piuttosto che in campagne femministe o antirazziste, tutte non solo tollerate ma direttamente supportate dai media (per quanto all’apparenza entrino nella sfera economica per esempio denunciando o boicottando determinate compagnie che non rispettano condizioni ecologiche o sfruttano il lavoro minorile), verranno sempre accettati o appoggiati nella misura in cui non si avvicinano troppo ad un certo limite. Questo tipo di attivismo costituisce un perfetto esempio di interpassività: fare cose non per raggiungere un obiettivo ma per evitare che qualcosa davvero succeda, che qualcosa cambi sul serio. Il frenetico attivismo umanitario. Politicamente corretto, riproduce la formula “cerchiamo di modificare alcune cose, in modo che, globalmente, tutto resti sempre uguale”».[4]

L’interpassività ha tanti volti, ma è riconducibile sempre ad un unico messaggio che puntualmente si ripete ossessivo e che diviene la sostanza del sistema capitale: non c’è alternativa. Il sistema è assiologicamente neutro, purché nulla si fermi, non vi dev’essere etica, comunità, ma solo il regno animale dello Spirito, dove l’individualismo si nutre dell’io minimo, ridotto a linguaggio per i commerci: il lessico è minimo e di ordine acquisitivo concreto. La metariflessione dev’essere inibita, poiché il sistema capitale non ammette peccatori, ovvero pensatori; ogni trasgressione è ammessa, purché risponda alle logiche acquisitive. Tutto deve trasformarsi in violenza acquisitiva. Se gli iceberg a causa del riscaldamento globale si sciolgono e si staccano velocemente dalla calotta polare, questa è un’occasione per il plusvalore: si asportano pezzi enormi di ghiaccio, poiché è acqua pura da bere o da utilizzare nell’industria dei cosmetici e dell’alcool. I cacciatori dell’oro bianco trasformano la tragedia del pianeta, della vita, in affari. I blocchi di ghiaccio asportati passano dallo stato solido al liquido, l’acqua è imbottigliata o venduta alle aziende.
Si educa allo sfruttamento perenne – in assenza di fini vincolati al bene comune tutto è possibile –, per cui non si combatte il riscaldamento globale, perché è una ghiotta occasione per gli affari. L’interpassività conferma il sistema rendendolo intrasformabile, anzi il processo di alienazione è così avanzato da guadagnare sugli effetti tragici che il sistema causa. L’essere umano diventa semplice presenza (Vorhandenheit), ente utilizzabile infinitamente per l’autofecondazione del capitale.

Reale e realtà
Si ha lo scollamento tra Reale e realtà (Lacan). Il Reale è il modo di produzione capitalistico anonimo che si autofeconda – a prescindere dalle conseguenze del suo agire – per autoriprodursi. La realtà è il reale storico, la vita delle persone travolte dal Reale, dai meccanismi fatali ed astratti che si susseguono e tutto distruggono:

«Incontriamo qui la differenza lacaniana tra realtà e Reale: “realtà” è la realtà sociale delle persone effettivamente coinvolte nell’interazione e nei processi produttivi, mentre il Reale è la logica inesorabile, “astratta”, spettrale del capitale, che determina ciò che accade nella realtà sociale».[5]

Con il prevalere del Reale sulla realtà, la vita della gente comune scompare, la concretezza ed il dolore di coloro che sono impigliati nel modo di produzione capitalistico è sostituita dal Reale: le vite dei vip – con i loro eccessi – sono i nuovi esempi da seguire nel culto feticistico delle merci. Tutti devono guardare i nuovi santi del consumo, imitarli non solo nel comportamento, ma specialmente nei sogni, nelle speranze fino ad indebitarsi per rendere il proprio corpo simile al corpo dei nuovi eroi del nichilismo. Un’unica plebe, un unico consumo, è la prescrizione del nuovo totalitarismo. I popoli si trasformano in plebe, in una folla di imitatori senza personalità con lo sguardo perennemente rivolto verso l’alto per obnubilare le miserie della vita di ciascuno, per renderle fatali, incomprensibili e specialmente colpevoli.

Che fare?
Risuona ancora il Che fare? di Lenin.
Non ci sono esseri umani innocenti come affermavano Seneca e poi Sartre. Ciò malgrado l’interpassività può essere abbandonata per la cura del mondo, Ciascuno può dare il suo contribuito, affinché la realtà dimostri la verità del Reale. In un momento storico in cui urge la prassi, non abbiamo bisogno di eroi, ma di esseri umani che pongano le condizioni, perché la talpa della storia acceleri il suo percorso verso un nuovo mondo. Sono i piccoli del mondo che possono contribuire al sollevamento di forze costruttive, poiché vivono quotidianamente la tragedia della menzogna e dell’alienazione:

«Quando Marx descrive la folle circolazione del capitale che accresce se stessa, in un cammino solipsistico di autofecondazione che raggiunge l’apice nelle metariflessive speculazioni contemporanee sul futuro, è troppo semplicistico sostenere che lo spettro di questo mostro autogenerantesi, che procede indifferente ad ogni rapporto umano o ambientale, sia un’astrazione ideologica, e che non si dovrebbe dimenticare che, dietro questa astrazione, ci sono persone reali e oggetti naturali, sulle cui capacità e risorse produttive si basa la circolazione del capitale, che di esse si nutre come di un gigantesco parassita».[6]

Ridare voce ai soggetti che nella realtà sono implicati. Volgere lo sguardo verso la totalità-verità del modo capitalistico: non si può fare altrimenti. L’essere umano è per sua natura un ente naturale generico (Gattungswesen), è eccedente la storia, benché in essa si esplichino le sue forme e le sue potenzialità. Non a caso Marx definisce la natura umana “essenza”, poiché si forma nella storia. L’essenza umana sopravvive alla colonizzazione capitale (Gestell), alla riduzione del pensiero a chiacchiera (Gerede). La fiducia nella lotta deve nutrirsi della speranza che la natura umana non sia trasformabile come cera tra le mani del sistema capitale, ma faccia resistenza attiva con il pensiero che diviene agere. Senza tale fondamento ogni agire non può che essere monco e preda di passioni debilitanti. Bisogna lasciare l’ateologia dello Stato mercato per la verità. Siamo di nuovo ad un bivio: dalla scelta di ciascuno di noi dipende il destino della vita tutta. All’interpassività che rafforza la gettatezza nel mondo (Geworfenheit), bisogna non reagire, ma agire nel silenzio del pensiero che diviene esodo dal pensiero unico e moltiplicatore delle resistenze.

Salvatore Bravo

[1] Dal greco πρᾶξις («azione, modo di agire»; der. di πράσσω, fare).

[2] Phrònesis, dal greco φρόνησις, che corrisponde al termine italiano saggezza.

[3] Slavoj Žižek, Il godimento come fattore politico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, pp. 37-38.

[4] Slavoj Žižek, Tredici volte Lenin, Feltrinelli, Milano 2003, p. 18.

[5] Slavoj Žižek, Il godimento come fattore politico, op. cit., p. 111.

[6] Ibidem, pp. 110-111.