Karl Marx (1818-1883) – L’uomo «totale», è l’uomo che si appropria del suo essere onnilaterale. L’uomo ricco è l’uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la propria realizzazione esiste come necessità interna, in una società in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo.
Nei Manoscritti economici-filosofici del 1844, poco prima di formulare la contrapposizione tra «assoluta povertà» e «ricchezza interiore» e criticare esplicitamente l’unilateralità e ottusità prodotte nell’uomo dal «senso dell’avere», K. Marx sostiene che, con la soppressione della proprietà privata, «l’uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale e quindi come uomo totale» (K. Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1949, p. 116). L’uomo «totale», dunque, è l’uomo che si appropria del suo essere onnilaterale, che supera le unilateralità effetto della proprietà privata e del dominio del senso dell’avere ed è capace di dare attuazione alla «realtà umana», composta da una pluralità di sensi fisici e spirituali (ibidem, p. 116) .
Scriveva, infatti:
«La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo […]. Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il senso dell’avere. L’essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore» (ibidem, pp. 116 e ss.).
«Si vede come al posto della ricchezza e della miseria come le considera l’economia politica, subentri l’uomo ricco e la ricchezza dei bisogni umani. L’uomo ricco è ad un tempo l’uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la propria realizzazione esiste come necessità interna, come bisogno» (ibidem, , pp. 123) .
Dobbiamo produrre la nostra totalità:
«Ma in fact, una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive, ecc. degli individui, creata nello scambio universale?
Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative […], che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè lo sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità?» (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie], 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 19773, vol. II, p. 112).
E perfezionarci in qualsiasi ramo a piacere:
«Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore. o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina di andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico» (K. Marx, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 20005, p. 24) 78 .