Salvatore Bravo – Modelli per la prassi. Luca Grecchi è un pensatore originale. La sua attività di ricerca testimonia che, anche in tempi di miseria dell’abbondanza, è possibile il riorientamento.
Luca Grecchi
Diritto e prorpietà nella Gracia classica
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Salvatore Bravo
Modelli per la prassi.
Luca Grecchi è un pensatore originale. La sua attività di ricerca testimonia che ,
anche in tempi di miseria dell’abbondanza, è possibile il riorientamento
Il libro di Luca Grecchi Diritto e proprietà nella Grecia classica, dimostra che spesso il valore di un testo non dipende dalla quantificazione delle informazioni, ma dalla qualità della concettualizzazione e dalla sua chiarezza espositiva che rende il messaggio evidente nel suo carattere dirompente.
L’attuale sistema economico e giuridico non è tutto, anzi la storia “magistra vitae”, ci rende consapevoli che ogni ipostatizzazione del presente ha carattere ideologico in senso marxiano. Lo studio della storia del diritto rivela le cause profonde della ipostatizzazione: rendere eterno il presente, cancellare dall’orizzonte temporale il futuro, il tempo. Così, il tempo si riduce ad un punto spazializzato, i cui confini sono intrasmutabili.
La cultura classica, in particolare, rende testimonianza che un modello di vita in cui la persona sia la sostanza e non l’accidente del sistema è già esistito, per cui può essere realizzato, ma necessita di una teorizzazione che possa sostenere la prassi rendendola salda nei suoi principi operativi. L’argomentare dialogico esige la partecipazione attiva per riconfigurare il futuro. Il tempo storico attuale si deve coniugare con il passato, non per imitarlo in modo acefalo, ma per pensare in modo nuovo ciò che è stato possibile. I contesti non sono sovrapponibili, ma il presente necessita di modelli altri per poter definire del presente i limiti e le potenzialità di sviluppo.
Le idee cambiano la storia
Marx, evidenzia Luca Grecchi, ha dimostrato che la sovrastruttura è condizionata dalla struttura, ma non al punto da compromettere la libertà. Gli uomini possono pensare il loro presente e ricategorizzare il futuro. Tale operazioni concettuale è stata svolta da Marx. Ha pensato ed immaginato il futuro, anche quando, sembrava smarrito in un presente senza dinamismo prospettico come il nostro:
«Diciamo ciò non per negare la tesi marxiana secondo cui le idee scaturiscono, sul piano effettuale, sempre da un contesto storico-sociale; diciamo invece ciò per affermare, come Marx ha ”dimostrato” producendo idee rivoluzionarie efficaci per tutta la sua vita, che le idee possono opporsi radicalmente al contesto storico-sociale che le ha fatte nascere, giungendo persino a modificarlo in modo forte».[1]
“Marx idealista” ci insegna che la trasformazione del presente può essere attuata nelle circostanze che la storia ci offre, solo se vi sono progetti ideali che consentono la prassi trasformativa.
Dyke e Hybris
La ricerca filosofica di Luca Grecchi utilizza il metodo contrastivo, mediante il quale far emergere per contrasto e similitudini limiti e contraddizioni del presente da riconcettualizzare. Luca Grecchi si sofferma sul diritto romano evidenziandone il carattere privatistico ed astratto. Per il mondo romano l’appartenenza era nell’esercito per cui non vi era radicamento nella comunità. Prevaleva la logica dell’interesse privato sul bene universale, era un diritto allo jus utendi et abutendi, per cui le cose, le merci prevalevano sulla persona e sulla comunità. È un ordinamento tipico di una civiltà di sradicati:
«Dopo avere esaminato con cura il contesto storico, sociale e culturale della antica Roma, nonché larga parte della vasta pubblicistica esistente sul diritto romano, riteniamo di poter affermare che, nella sua essenza, tale diritto si caratterizzi come uno jus utendi et abutendi, ovvero come un diritto all’uso ed all’abuso sulle cose e sulle persone, esercitato da parte degli appartenenti alle categorie sociali più forti nei confronti degli appartenenti alle categorie sociali più deboli».[2]
Il mondo romano si caratterizza per essere un modello sociale nel quale la giustizia è secondaria: vige la legge del più forte. È un modello simile all’attuale, nel quale il plusvalore è l’unico paradigma in cui iscrivere le vite dei popoli come dei singoli.
La giustizia, da intendersi come giusta misura, come sintesi degli interessi di tutti è, invece, centrale nel modello greco sin dagli albori omerici. La giustizia non necessariamente è codificata in forme scritte, lo diventa solo con l’evolversi della civiltà greca, quando la complessità impone l’obbligo di un ordinamento giuridico che sottragga la complessità di una società evoluta al caos dell’arbitrio. Dyke (giustizia come misura e limite) e hybris (ingiustuzia come tracotanza) sono la coppia antitetica con cui si può leggere il diritto greco e la sua finalità. La prima Dyke ha la funzione di impedire la seconda (hybris). La giustizia deve impedire che la tracotanza possa atomizzare la comunità rendendola irrazionale e violenta con le sue disuguaglianze:
«Le opposizioni di dike ed hybris assunse per la prima volta, in Esiodo, quella centralità che sarà poi una costante nel pensiero greco, almeno fino ad Aristotele. In Opere e giorni (vv. 213 – 247) Esiodo tematizzò esplicitamente che la via della prevaricazione, della iniquità conduce inevitabilmente alla sofferenza se stessi e gli altri; viceversa la via della giustizia, della iniquità, rende felice la città intera, creando armonia e coesione sociale».[3]
I Greci sembrano parlarci, il loro monito non pare ascoltato, per cui la nostra hybris si concretizza nella società della sofferenza, nella quale la prevaricazione rende l’esistenza di ciascuno esposta al pericolo, alla solitudine, alla malattia mentale trattata con i farmaci e dunque incompresa nella sua genetica socio – economica. Il Regno animale dello Spirito è l’impero della reificazione e del cannibalismo dell’altro normalizzati.
Nichilismo in Grecia
I Greci vissero la notte del dubbio, della minaccia del nichilismo, ma esso fu neutralizzato con la dialettica dialogica. Nel primo libro della Repubblica (Πολιτεία, Politéia) di Platone il protagonista è Trasimaco, archetipo del nichilismo, il quale enuncia la tesi secondo cui la giustizia è la legge del più forte. La cultura di un popolo non si può cancellare, l’esperienza pensata e condivisa, si manifesta nel momento in cui il pericolo è più grande. Platone cercò di porre riparo al nichilismo che avanzava traendo dalla tradizione e dall’elaborazione critica (la fatica del concetto) la soluzione, rifondando il diritto su fondamenta ontologiche, assiologiche e logiche:
«Contro la relativizzazione sofistica delle leggi reagì dunque il pensiero classico, rappresentato, oltre che da Socrate, soprattutto da Platone».[4]
Ed ancora:
«Per Platone così come in generale per tutto il pensiero classico, la legge torna compiutamente ad essere – per utilizzare la famosa espressione di Pindaro (nomos basileus) ”regina” della comunità, e con un significato ancora più forte rispetto al passato, data la consapevole identificazione fra leggi positive e leggi naturali».[5]
Con lo Stagirita, malgrado il cambiamento delle condizioni storiche, la giustizia è ancora nodale nella riflessione etica e politica. L’equità implica la buona vita (eu zen) ed è il paradigma attraverso cui Aristotele giudica la validità etica dei sistemi sociali:
«Il tema centrale del trattato Sulla giustizia è comunque costituito dalla uguaglianza, tanto che lo Stagirita giunge a definire l’uomo giusto come “chi rispetta la legge e chi è eguale” (29 a 33-34). Sul rispetto della legge non vi sono dubbi interpretativi […]. Cosa voleva dire Aristotele affermando che l’uomo “giusto” deve essere anche “eguale”? La risposta può essere indirettamente ricavata dalla definizione di “uomo ingiusto” fornita dallo Stagirita, che lo definisce sostanzialmente come un “avido”, ossia come una persona tendente a volere più degli altri: per questa ragione l’ingiusto è anche chiamato “l’ineguale” (29 b 1-11)».[6]
La giustizia ed il suo fondamento
La categoria della totalità sociale è imprescindibile per capire la civiltà greca. La civiltà greca ha il suo fondamento veritativo nella misura, nella razionalità che calcola il limite. Non a caso il latifondo non giunge mai a minacciare la democrazia, la quale è difesa dal prevalere degli spazi e dei servizi pubblici (acquedotti, fontane, mura, portici, piazze, palestre) sugli interessi privati.
L’ostilità verso la cultura classica, le riforme tese a depauperare la formazione classica sostituendola con discipline finanziarie (o in alternativa, se ne ostracizza la presenza con l’irrilevanza sociale), denuncia la scomparsa di un valore: la giustizia sociale. La giustizia è una parola-concetto scomparsa dalla politica ufficiale, e specialmente dal linguaggio quotidiano. La necessità della sua presenza si fa tanto più urgente, quanto più il suo tramonto ci sta consegnando all’epoca della compiuta peccaminosità, in cui la reificazione violenta maciulla, non in senso metaforico, popoli e culture.
È in atto una sostanziale negazione della “natura umana”, la quale si concretizza nella storia, pur restando il suo fondamento inalterato. L’anima umana necessita di dare ordine al caos delle pulsioni, e tale ordine diviene armonia e buona vita solo nella misura e nell’attribuire al reale storico significati e fini. Le sinergie perverse dell’attualità ritrovano nel mondo greco la loro lettura critica:
«Io ritengo sostanzialmente che l’uomo si formi cercando di dare ordine al caos in cui originariamente si trova immerso. Subito dopo la sua nascita, l’uomo si trova infatti a fare i conti con un mondo cui deve necessariamente, per poter vivere, attribuire dei significati».[7]
Il mercato è strutturalmente antitetico alla natura umana, poiché esso – per sua costituzione fondativa – deve espandersi mediante l’illimitatezza. Esso nega la razionalità, la quale è calcolo della giusta misura:
«Io sostengo però – questa la differenza fra noi – che il fallimento “umano” di ogni sistema economico che abbia in sé il mercato è filosofico, dunque, assoluto e non semplicemente economico. Il mercato infatti, nella sua struttura, si oppone a tutto quanto vi è di essenziale nella natura umana: aliena mercifica, precarizza, presuppone proprietà privata (e dunque sfruttamento ed esclusione), e nemmeno soddisfa quella vera esigenza di creatività e di realizzazione presente nell’uomo, perché la perverte nelle forme infantili».[8]
La Filosofia dinanzi al male
Dinanzi alla normalità del male, al diritto individuale utilizzato come “ariete ideologico” per annichilire lo spazio pubblico, il dialogo e dunque l’anima umana, la filosofia può riportare il coraggio della dialettica e del concetto contro le logiche privatistiche, contro la violenza istituzionalizzata ed ammantata di diritto:
«Finchè la filosofia non avrà il coraggio di pensare ciò e di ammettere che oggi viviamo in un mondo falso (non conforme alla natura umana) e malvagio (irrispettoso di tale natura), nessun discorso fondativo sarà possibile, ma saranno possibili solo prodotti dalla autoreferenzialità del sistema capitalistico. In tale sistema l’unico uomo descrivibile è quello capitalistico (che può anche essere ”logicamente” ineccepibile, ma che non sarà mai compiutamente umano».[9]
Luca Grecchi è un pensatore originale e serenamente riservato, la cui attività di ricerca testimonia la possibilità, anche in tempi di miseria dell’abbondanza, che il riorientamento gestaltico non è impossibile, e che il congedo dalle tragedie dell’abbondanza è un atto creativo che si palesa in resistenza civile ed elaborazione di percorsi alternativi, di cui tutti possiamo usufruire.
Salvatore Bravo
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[1] Luca Grecchi, Diritto e proprietà nella Grecia classica, Petite Plaisance, Pistoia 2011, pag. 9.
[2] Ibidem, pp. 11-12.
[3] Ibidem, pag. 55.
[4] Ibidem, pag. 80.
[5] Ibidem, pag. 82.
[6] Ibidem, pag. 88.
[7] Costanzo Preve-Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci, Petite Plaisance, Pistoia 2005, pag. 51.
[8] Ibidem, pag. 85.
[9] Ibidem, pag. 62.
Luca Grecchi – Costanzo Preve
Marx e gli antichi Greci
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