Aristotele (384-322 a.C.) – La natura dell’equità è proprio quella di correggere la legge laddove essa, a causa della sua formulazione universale, è difettosa. Ciò che è giusto e ciò che è equo sono la stessa cosa e, pur costituendo entrambe realtà eccellenti, l’equità è superiore.

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«[…] ciò che è giusto e ciò che è equo sono la stessa cosa e, pur costituendo entrambe realtà eccellenti, l’equità è superiore. […] ogni legge è universale, ma su certe questioni non è possibile pronunciarsi correttamente in forma universale. […] Perciò l’equità è giusta, ed è migliore di un certo tipo di giusto, anche se non del giusto in assoluto, ma del giusto che è difettoso per il fatto di essere stato formulato in generale. E la natura dell’equità è proprio quella di correggere la legge laddove essa, a causa della sua formulazione universale, è difettosa. […] Quindi, che cos’è l’equità, che è giusta e che è migliore di una certa specie di giusto, è chiaro. Da ciò risulta anche chiaro chi è l’individuo equo. Infatti chi sceglie e mette in pratica  tali cose, e nell’applicazione della legge non è inflessibile nel senso peggiore del termine, ma è duttile, pur essendo sostenuto dalla legge, è un individuo equo, e il suo stato abituale è l’equità, la quale costituisce un certo tipo di giustizia e non una disposizione diversa dal giusto».

Aristotele, Etica Nicomachea, libro V, 1137 b 10-35  – 1138 a 1-3. in Id., Le tre etiche e il trattato sulle virtù e sui vizi, traduzione e cura di Arianna Fermani, introduzione di Maurizio Migliori, Bompiani, Milano 2018, pp. 676-679.


In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.
Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.
Aristotele (384-322 a.C.) – Moralmente bello significa fare il bene senza mirare al contraccambio. L’uomo moralmente retto ricerca per sé il bello morale e antepone il bello a tutto il resto.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tra tutti i beni quelli scelti in vista di se stessi sono fini. Tra questi, poi, sono belli tutti quelli che sono degni di lode. Infatti questi sono quelli da cui derivano azioni che sono degne di lode ed essi stessi sono degni di lode.
Aristotele (384-322 a.C.) – La moneta è nata per convenzione. Essa ha il nome di moneta (nomisma), perché non esiste per natura ma per legge (nomos), e dipende da noi cambiarne il valore e porla fuori corso.
Aristotele (384-322 a.C.) – «Protreptico. Esortazione alla filosofia». La felicità della vita non consiste nel possesso di grandi sostanze, quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione dell’anima. La conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono il compito proprio dell’anima. Questa è la cosa più desiderabile per noi.

Arianna Fermani, speranza

Arianna Fermani
«Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato»

La speranza “antica”, tra páthos e areté

ISBN 978-88-7588-258-7, 2020

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Questo contributo intende riflettere sulla – antica e, insieme, attualissima – nozione di speranza a partire da una breve indagine etimologico-semantica (a cui si torna, chiudendo il cerchio, al termine del saggio), nella convinzione che la riflessione sulle parole e sulle loro origini possa donare alcune feconde piste al pensiero.

Il breve saggio si snoda lungo due linee direttrici fondamentali: la speranza come páthos, ovvero come passione, sentimento o desiderio, e la speranza come areté, ovvero come “virtù”, nozione che, nel senso greco e, più nello specifico, aristotelico del termine, implica la capacità di amministrare correttamente la passione. In questo secondo caso, inoltre, si assiste alla messa in campo di un “versante attivo della speranza”, che chiama in causa il soggetto agente e volente, che ha il compito di dare forma al suo desiderio. Qui il “sogno ad occhi aperti” diventa prassi, si fa progetto.

L’itinerario si interseca in molti modi ad altre fondamentali nozioni, tra cui, solo per indicarne alcune, quella di paura (che si configura come una passione che dirige il soggetto nella direzione opposta rispetto alla speranza), quella di rischio (a cui la originaria vocazione all’“apertura” prodotta dalla speranza è intimamente connesso e che richiede, a sua volta, un’opera di “saggia amministrazione”) e quella di fiducia (a cui la speranza è costitutivamente intrecciata e che chiama in causa un altro profilo della riflessione, affrontato al termine del saggio, quale quello educativo).


Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.

«La felicità è la vita stessa quando viene vissuta al meglio: si è felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso, una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata di senso, in una individuale e particolarissima consistenza. […] felicità intesa come pienezza, come attingimento pieno del telos. Se il telos è interno all’energeia che lo produce, se il fine è contenuto nell’azione ed è indistinguibile da essa, allora è impossibile pensare ad una felicità che risieda escludivamente nel bersagio e non anche lungo i passi che conducono al suo raggiungimento […] lungo tutto il tragitto della vita».
                                                                                                                                               Arianna Fermani, Vita felice umana, 2006.

«[…] il problema della vita nel suo complesso a qualcuno di noi può sembrare meno impellente di quanto non sembrasse a Socrate. Epure la sua domanda ci incalza ancora oggi e reclama l’impegno a riflettere sulla nostra vita nel suo complesso, e cioè nella totalità dei suoi aspetti e in tutta la sua profondità».
                                                                                                                           Bernard Williams, L’etica e i limiti della filosofia, 1985.

Nel concetto della filosofia come domanda totale, problematicità pura, e perciò metafisica, risiede la classicità del pensiero antico. […] Se la filosofia rinuncia al suo carattere di domanda totale rinuncia al […] senso antico della filosofia, intesa come acquisizione perenne dello spirito, come vero κτῆμα εἰς ε [possesso pe sempre]».
                                                                                                  Enrico Berti, Quale senso ha oggi studiare la filosofia antica, 1965.

 

«ὡς ἡδὺ καὶ μακάριον τὸ κτῆμα» [quanto soave e felice è il possesso della filosofia].
                                                                                                                                    Platone, Repubblica, 496 c.

«[…] il movimento nel quale è contenuto anche il fine è anche azione. […] Uno che vive bene, ad esempio, ad un tempo ha anche ben vissuto, ed uno che è felice, ad un tempo è stato anche felice».
                                                                                                                                                         Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048 b.

«κτῆμά τε ἐς αἰεὶ μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται».
Tucidide, Storie, I, 22.

Note sul testo
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

Note sull’autore
Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Brescia, Morcelliana, 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, a cura di E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2016; Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Brescia, Morcelliana, 2019. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Milano, Bompiani, 2008; Giunti, 2018) e ha collaborato all’edizione dell’Organon (a cura di M. Migliori, Milano, Bompiani, 2016).
 
Indice
Prefazione di Salvatore Natoli
 
Introduzione
 
Parte prima. Semantica della felicità
 
Capitolo primo. La felicità come domanda originaria
1.1. Domanda “di” felicità
1.2. Domande “sulla” felicità
1.2.1. Felicità: una questione terminologica
1.2.2. Felicità e forme di vita
 
Capitolo secondo. Felicità e dolore
2.1. L’esperienza del dolore
2.1.1. Il dolore come accadimento
2.1.2. Le forme del dolore
2.2. Cicatrizzazione del dolore e cura di sé
2.2.1. Approcci al dolore
2.2.2. Cura del dolore e cura di sé
2.2.3. L’assunzione del dolore
2.3. Concludendo
 
Capitolo terzo. Felicità e piacere
3.1. L’esperienza del piacere
3.2. Fenomenologia del piacere
3.2.1. Il piacere nell’orizzonte della corporeità
3.2.2. Dinamiche piacevoli e dolorose
3.2.3. Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena
3.2.4. Anima e corpo di fronte al piacere
3.2.5. Piaceri e criteri di scelta
3.3. Il ruolo del piacere nella vita felice
 
Capitolo quarto. Felicità e realizzazione di sé
4.1. Profili della virtù: tentativi di un recupero
4.1.1. Virtù come eccellenza
4.1.2. Virtù come forza
4.1.3. Virtù come disposizione
4.1.4. Virtù come giusto mezzo
4.2. La virtù come architettonica della felicità
4.2.1. Vita felice e accordata: la virtù come musica
4.2.2. Vita felice e ordinata: la virtù come misura
4.2.3. La virtù come arte del vivere bene
 
Capitolo quinto. Felicità e beni esteriori
5.1. Primi approcci al problema
5.2. Felicità e fortuna
5.2.1. Lampi di felicità, colpi di fortuna
5.2.2. Fortuna e virtù
5.2.3. Felicità e fortuna: osservazioni conclusive
5.3. Felicità e amministrazione dei beni
5.3.1. Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
 
Parte seconda. Prassi di felicità
 
Capitolo primo. Felicità e valorizzazione delle proprie risorse
1.1. Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti
1.1.1. Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis
1.1.2. Felicità al singolare, felicità al plurale
1.2. Eudaimonia come ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon
1.2.1. Felicità come consapevolezza
1.2.2. Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità
1.3. Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
 
Capitolo secondo. Felicità come conquista di pienezza
2.1. Felicità tra esperienze di pienezza e pienezza di vita
2.1.1. Tentativi di articolazione della nozione di pienezza
2.2. Per una pienezza nell’orizzonte dell’energeia
2.3. La difficoltà di far spuntare le ali: la felicità come conquista
2.3.1. Felicità pienamente consapevole e pienamente umana
2.4. Riflessioni conclusive
 
Conclusioni
1. Per concludere
2. Vita felice umana: appunti di viaggio
 
Bibliografia
1. Dizionari e lessici
2. Testi antichi
3. Testi moderni e contemporanei
4. Letteratura critica e studi generali
 
Indice degli autori antichi e moderni
 
Note
In copertina: immagine di Alessandra Mallamo ©2019
Eudaimonia

«Le ferite non scompaiono mai del tutto, soprattutto se profonde […] tuttavia, anche se non scompaiono, possono cicatrizzare. In questa cicatrice, che è, contemporaneamente, segno del patimento e sintomo di guarigione, si gioca la possibilità, per l’uomo che ha incontrato la morte e il dolore e che di fronte ad essi ha sofferto, di “ricominciare” a vivere», A. Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele.

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Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristote

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 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

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Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Editore: eum, 2006 [prima edizione]

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

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L'etica di Aristotele
 

Arianna Fermani, L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana, Editore: Morcelliana, 2012

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

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Le tre etiche

Aristotele, Le tre etiche. Testo greco a fronte, Editore: Bompiani, 2008.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

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Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

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Interiorità e animae
 

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

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Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

***

Il Simposio di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani, Il ‘simposio’ di Platon

Academia Verlag, 1998

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

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rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

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Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

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Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Modelli per la prassi. Luca Grecchi è un pensatore originale. La sua attività di ricerca testimonia che, anche in tempi di miseria dell’abbondanza, è possibile il riorientamento.

Diritto e proprietà nella Gracia classica pagina
Luca Grecchi
Diritto e prorpietà nella Gracia classica

indicepresentazioneautoresintesi invito alla lettura

Salvatore Bravo
Modelli per la prassi.
Luca Grecchi è un pensatore originale. La sua attività di ricerca testimonia che ,
anche in tempi di miseria dell’abbondanza, è possibile il riorientamento

Il libro di Luca Grecchi Diritto e proprietà nella Grecia classica, dimostra che spesso il valore di un testo non dipende dalla quantificazione delle informazioni, ma dalla qualità della concettualizzazione e dalla sua chiarezza espositiva che rende il messaggio evidente nel suo carattere dirompente.
L’attuale sistema economico e giuridico non è tutto, anzi la storia “magistra vitae”, ci rende consapevoli che ogni ipostatizzazione del presente ha carattere ideologico in senso marxiano. Lo studio della storia del diritto rivela le cause profonde della ipostatizzazione: rendere eterno il presente, cancellare dall’orizzonte temporale il futuro, il tempo. Così, il tempo si riduce ad un punto spazializzato, i cui confini sono intrasmutabili.
La cultura classica, in particolare, rende testimonianza che un modello di vita in cui la persona sia la sostanza e non l’accidente del sistema è già esistito, per cui può essere realizzato, ma necessita di una teorizzazione che possa sostenere la prassi rendendola salda nei suoi principi operativi. L’argomentare dialogico esige la partecipazione attiva per riconfigurare il futuro. Il tempo storico attuale si deve coniugare con il passato, non per imitarlo in modo acefalo, ma per pensare in modo nuovo ciò che è stato possibile. I contesti non sono sovrapponibili, ma il presente necessita di modelli altri per poter definire del presente i limiti e le potenzialità di sviluppo.

Le idee cambiano la storia
Marx, evidenzia Luca Grecchi, ha dimostrato che la sovrastruttura è condizionata dalla struttura, ma non al punto da compromettere la libertà. Gli uomini possono pensare il loro presente e ricategorizzare il futuro. Tale operazioni concettuale è stata svolta da Marx. Ha pensato ed immaginato il futuro, anche quando, sembrava smarrito in un presente senza dinamismo prospettico come il nostro:

«Diciamo ciò non per negare la tesi marxiana secondo cui le idee scaturiscono, sul piano effettuale, sempre da un contesto storico-sociale; diciamo invece ciò per affermare, come Marx ha ”dimostrato” producendo idee rivoluzionarie efficaci per tutta la sua vita, che le idee possono opporsi radicalmente al contesto storico-sociale che le ha fatte nascere, giungendo persino a modificarlo in modo forte».[1]

“Marx idealista” ci insegna che la trasformazione del presente può essere attuata nelle circostanze che la storia ci offre, solo se vi sono progetti ideali che consentono la prassi trasformativa.

Dyke e Hybris
La ricerca filosofica di Luca Grecchi utilizza il metodo contrastivo, mediante il quale far emergere per contrasto e similitudini limiti e contraddizioni del presente da riconcettualizzare. Luca Grecchi si sofferma sul diritto romano evidenziandone il carattere privatistico ed astratto. Per il mondo romano l’appartenenza era nell’esercito per cui non vi era radicamento nella comunità. Prevaleva la logica dell’interesse privato sul bene universale, era un diritto allo jus utendi et abutendi, per cui le cose, le merci prevalevano sulla persona e sulla comunità. È un ordinamento tipico di una civiltà di sradicati:

«Dopo avere esaminato con cura il contesto storico, sociale e culturale della antica Roma, nonché larga parte della vasta pubblicistica esistente sul diritto romano, riteniamo di poter affermare che, nella sua essenza, tale diritto si caratterizzi come uno jus utendi et abutendi, ovvero come un diritto all’uso ed all’abuso sulle cose e sulle persone, esercitato da parte degli appartenenti alle categorie sociali più forti nei confronti degli appartenenti alle categorie sociali più deboli».[2]

Il mondo romano si caratterizza per essere un modello sociale nel quale la giustizia è secondaria: vige la legge del più forte. È un modello simile all’attuale, nel quale il plusvalore è l’unico paradigma in cui iscrivere le vite dei popoli come dei singoli.
La giustizia, da intendersi come giusta misura, come sintesi degli interessi di tutti è, invece, centrale nel modello greco sin dagli albori omerici. La giustizia non necessariamente è codificata in forme scritte, lo diventa solo con l’evolversi della civiltà greca, quando la complessità impone l’obbligo di un ordinamento giuridico che sottragga la complessità di una società evoluta al caos dell’arbitrio. Dyke (giustizia come misura e limite) e hybris (ingiustuzia come tracotanza) sono la coppia antitetica con cui si può leggere il diritto greco e la sua finalità. La prima Dyke ha la funzione di impedire la seconda (hybris). La giustizia deve impedire che la tracotanza possa atomizzare la comunità rendendola irrazionale e violenta con le sue disuguaglianze:

«Le opposizioni di dike ed hybris assunse per la prima volta, in Esiodo, quella centralità che sarà poi una costante nel pensiero greco, almeno fino ad Aristotele. In Opere e giorni (vv. 213 – 247) Esiodo tematizzò esplicitamente che la via della prevaricazione, della iniquità conduce inevitabilmente alla sofferenza se stessi e gli altri; viceversa la via della giustizia, della iniquità, rende felice la città intera, creando armonia e coesione sociale».[3]

I Greci sembrano parlarci, il loro monito non pare ascoltato, per cui la nostra hybris si concretizza nella società della sofferenza, nella quale la prevaricazione rende l’esistenza di ciascuno esposta al pericolo, alla solitudine, alla malattia mentale trattata con i farmaci e dunque incompresa nella sua genetica socio – economica. Il Regno animale dello Spirito è l’impero della reificazione e del cannibalismo dell’altro normalizzati.

Nichilismo in Grecia
I Greci vissero la notte del dubbio, della minaccia del nichilismo, ma esso fu neutralizzato con la dialettica dialogica. Nel primo libro della Repubblica (Πολιτεία, Politéia) di Platone il protagonista è Trasimaco, archetipo del nichilismo, il quale enuncia la tesi secondo cui la giustizia è la legge del più forte. La cultura di un popolo non si può cancellare, l’esperienza pensata e condivisa, si manifesta nel momento in cui il pericolo è più grande. Platone cercò di porre riparo al nichilismo che avanzava traendo dalla tradizione e dall’elaborazione critica (la fatica del concetto) la soluzione, rifondando il diritto su fondamenta ontologiche, assiologiche e logiche:

«Contro la relativizzazione sofistica delle leggi reagì dunque il pensiero classico, rappresentato, oltre che da Socrate, soprattutto da Platone».[4]

Ed ancora:

«Per Platone così come in generale per tutto il pensiero classico, la legge torna compiutamente ad essere – per utilizzare la famosa espressione di Pindaro (nomos basileus) ”regina” della comunità, e con un significato ancora più forte rispetto al passato, data la consapevole identificazione fra leggi positive e leggi naturali».[5]

Con lo Stagirita, malgrado il cambiamento delle condizioni storiche, la giustizia è ancora nodale nella riflessione etica e politica. L’equità implica la buona vita (eu zen) ed è il paradigma attraverso cui Aristotele giudica la validità etica dei sistemi sociali:

«Il tema centrale del trattato Sulla giustizia è comunque costituito dalla uguaglianza, tanto che lo Stagirita giunge a definire l’uomo giusto come “chi rispetta la legge e chi è eguale” (29 a 33-34). Sul rispetto della legge non vi sono dubbi interpretativi […]. Cosa voleva dire Aristotele affermando che l’uomo “giusto” deve essere anche “eguale”? La risposta può essere indirettamente ricavata dalla definizione di “uomo ingiusto” fornita dallo Stagirita, che lo definisce sostanzialmente come un “avido”, ossia come una persona tendente a volere più degli altri: per questa ragione l’ingiusto è anche chiamato “l’ineguale” (29 b 1-11)».[6]

 

La giustizia ed il suo fondamento
La categoria della totalità sociale è imprescindibile per capire la civiltà greca. La civiltà greca ha il suo fondamento veritativo nella misura, nella razionalità che calcola il limite. Non a caso il latifondo non giunge mai a minacciare la democrazia, la quale è difesa dal prevalere degli spazi e dei servizi pubblici (acquedotti, fontane, mura, portici, piazze, palestre) sugli interessi privati.
L’ostilità verso la cultura classica, le riforme tese a depauperare la formazione classica sostituendola con discipline finanziarie (o in alternativa, se ne ostracizza la presenza con l’irrilevanza sociale), denuncia la scomparsa di un valore: la giustizia sociale. La giustizia è una parola-concetto scomparsa dalla politica ufficiale, e specialmente dal linguaggio quotidiano. La necessità della sua presenza si fa tanto più urgente, quanto più il suo tramonto ci sta consegnando all’epoca della compiuta peccaminosità, in cui la reificazione violenta maciulla, non in senso metaforico, popoli e culture.
È in atto una sostanziale negazione della “natura umana”, la quale si concretizza nella storia, pur restando il suo fondamento inalterato. L’anima umana necessita di dare ordine al caos delle pulsioni, e tale ordine diviene armonia e buona vita solo nella misura e nell’attribuire al reale storico significati e fini. Le sinergie perverse dell’attualità ritrovano nel mondo greco la loro lettura critica:

«Io ritengo sostanzialmente che l’uomo si formi cercando di dare ordine al caos in cui originariamente si trova immerso. Subito dopo la sua nascita, l’uomo si trova infatti a fare i conti con un mondo cui deve necessariamente, per poter vivere, attribuire dei significati».[7]

Il mercato è strutturalmente antitetico alla natura umana, poiché esso – per sua costituzione fondativa – deve espandersi mediante l’illimitatezza. Esso nega la razionalità, la quale è calcolo della giusta misura:

«Io sostengo però – questa la differenza fra noi – che il fallimento “umano” di ogni sistema economico che abbia in sé il mercato è filosofico, dunque, assoluto e non semplicemente economico. Il mercato infatti, nella sua struttura, si oppone a tutto quanto vi è di essenziale nella natura umana: aliena mercifica, precarizza, presuppone proprietà privata (e dunque sfruttamento ed esclusione), e nemmeno soddisfa quella vera esigenza di creatività e di realizzazione presente nell’uomo, perché la perverte nelle forme infantili».[8]

 

La Filosofia dinanzi al male
Dinanzi alla normalità del male, al diritto individuale utilizzato come “ariete ideologico” per annichilire lo spazio pubblico, il dialogo e dunque l’anima umana, la filosofia può riportare il coraggio della dialettica e del concetto contro le logiche privatistiche, contro la violenza istituzionalizzata ed ammantata di diritto:

«Finchè la filosofia non avrà il coraggio di pensare ciò e di ammettere che oggi viviamo in un mondo falso (non conforme alla natura umana) e malvagio (irrispettoso di tale natura), nessun discorso fondativo sarà possibile, ma saranno possibili solo prodotti dalla autoreferenzialità del sistema capitalistico. In tale sistema l’unico uomo descrivibile è quello capitalistico (che può anche essere ”logicamente” ineccepibile, ma che non sarà mai compiutamente umano».[9]

 

Luca Grecchi è un pensatore originale e serenamente riservato, la cui attività di ricerca testimonia la possibilità, anche in tempi di miseria dell’abbondanza, che il riorientamento gestaltico non è impossibile, e che il congedo dalle tragedie dell’abbondanza è un atto creativo che si palesa in resistenza civile ed elaborazione di percorsi alternativi, di cui tutti possiamo usufruire.

Salvatore Bravo

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[1] Luca Grecchi, Diritto e proprietà nella Grecia classica, Petite Plaisance, Pistoia 2011, pag. 9.

[2] Ibidem, pp. 11-12.

[3] Ibidem, pag. 55.

[4] Ibidem, pag. 80.

[5] Ibidem, pag. 82.

[6] Ibidem, pag. 88.

[7] Costanzo Preve-Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci, Petite Plaisance, Pistoia 2005, pag. 51.

[8] Ibidem, pag. 85.

[9] Ibidem, pag. 62.


Luca Grecchi – Costanzo Preve

Marx e gli antichi Greci

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Koinè – «L’essere della libera comunità e l’amore». La dimensione dell’amore è il livello più alto, e in un certo senso metafisicamente conclusivo, dell’umanità dell’essere umano. Non la si può quindi esprimere veramente se non al compimento di una crescita spirituale che ne abbia realizzato le condizioni ontologiche.

Koinè_Amore

La dimensione dell’amore è il livello più alto,
e in un certo senso metafisicamente conclusivo,
dell’umanità dell’essere umano.
Non la si può quindi esprimere veramente
se non al compimento di una crescita spirituale
che ne abbia realizzato le condizioni ontologiche.



indicepresentazioneautoresintesi


Amore

L’amore è la pietra angolare della libera comunità umana. Due persone che si amano veramente già formano una libera comunità, che fornisce loro la motivazione per valorizzare forme di amore altre e di altri, inserendole e inserendosi così nel cerchio di più ampie comunità libere. L’amicizia filosofica, e la condivisione spirituale di progetti etici, sono alla base di altre libere comunità. La libera comunità, proprio in quanto resa viva dall’amore, costituisce ogni soggetto come valore di cui aver cura, e rappresenta perciò il fondamento dell’universalità umana, ovvero il modello della giustizia. L’amore è quindi la misura della giustizia.

La superficiale mentalità odierna troverebbe ridicola l’idea che l’economia possa essere fatta in qualche modo dipendere dall’amore tra gli esseri umani: essa appare infatti naturalmente regolata da leggi – che si vogliono – oggettive ed esterne. Ma le leggi economiche sono sempre un prodotto storico, mai un dato naturale. Sul piano ontologico, l’unico modello in rapporto al quale è umanamente sensato capire cosa vada accettato, e cosa respinto, di un sistema economico, è la libera comunità, che rappresenta un criterio di giustizia, il cui fondamento ontologico è però l’amore.

Il sistema economico contemporaneo è la negazione speculare della libera comunità, in quanto produce una collettività disgregata, despiritualizzata, coattivamente e ossessivamente comandata dalla ricerca del profitto e dalle procedure della tecnica. Esso prefigura perciò la morte dell’umanità dell’uomo, proprio in quanto è al di fuori di ogni giustizia e di ogni amore. In nome della giustizia e dell’amore la nostra umanità esige, per non morire, una resistenza alla attuale logica sistemica.

 

 

Indice

 

Comunità arcaica e libera comunità
Lo spazio dialogico
L’uomo universale
La libera comunità come universalità umana
Libera comunità e resistenza
L’inesistenza di un soggetto sociale anticapitalistico
L’amore: rapporto dell’uomo con la fragilità
Le quattro condizioni ontologiche dell’amore
La radice ontologica dell’amore

 

 


Amici

Tra l’ottobre e il dicembre del 2000 Koinè promosse un seminario – sapientemente coordinato da Massimo Bontempelli (improvvisamente mancato il 31-07-2011) – nella discussione e nell’elaborazione redazionale delle tesi che formano il numero intitolato «Diciamoci la verità», con vari significativi contributi critici che portarono alla definizione delle 53 tesi, pubblicate sul numero 1/2, Anno IX, Gennaio/Giugno 2001 di Koinè.
Il testo che pubblichiamo (L’essere della libera comunità e l’amore) costituisce la parte finale dell’elaborato pubblicato nel 2001 (dalla tesi XLV alla tesi LIII). Il sommario delle 53 tesi può consultarsi alla pagina 37.


Contraddizione

Luigi Zoja – Se oggi interroghiamo il nostro mondo interiore sul suo bisogno più assoluto e originario, la risposta sarà un bene in cui la giustizia non è separabile dalla bellezza.

Luigi Zoja 001

Giustizia e Bellezza

Giustizia e Bellezza

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«Se oggi interroghiamo il nostro mondo interiore
sul suo bisogno più assoluto e originario,
la risposta sarà un bene
in cui la giustizia
non è separabile dalla bellezza».

 

Luigi Zoja, Giustizia e Bellezza, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 12.

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Fra gli studi sulla crisi della modernità, questo saggio si inserisce con forza da una prospettiva inattesa. I nostri antenati greci avevano un sistema di valori indivisibile, fatto di giustizia e bellezza. La bellezza, raccolgliendo approvazioni indiscutibili, aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale. Una relazione armonica tra bellezza e giustizia sopravviveva nel Rinascimento, insieme a un rapporto tra piazza e palazzo. Ma il protestantesimo e la modernizzazione spaccano questa unione, in nome di una giustizia ascetica e della funzionalità. Il bello, non essendo direttamente utile, si incammina in direzione del passatempo e dell’investimento. Intanto, privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza, dove si godeva la bellezza gratuitamente e insieme. L’arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza come condizione normale. Ma il cinismo verso i valori della giustizia, che la società di oggi si rimprovera, potrebbe derivare anche dall’aver eliminato quelli della bellezza, da cui la loro radice è inseparabile.


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