Adriano Prosperi – Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes. Scopriamo dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà … e la spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.
Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes: la paura della morte come causa della soggezione a un moderno Leviatano.
Un’opinione che fu anticipata dall’allievo dei gesuiti Giovanni Botero, il quale nella sua celebre e molto letta Ragion di Stato, scrisse: « Io sono di parere, che per la sicurezza de gli Stati, e de’ prencipi loro, miglior cosa sia la severità del governo, che la piacevolezza; e la paura, che l’amore; e la ragion si è, che il farti amare da tutto un popolo, non è in tua potestà; ma bene è in tua possanza il farti temere».
Aspettiamo di vedere le forme in cui prenderà corpo questa esperienza. Ma intanto è evidente che la percezione del nostro stato presente si è fatta strada in molti modi nelle menti: talvolta ideologizzata nelle fantasie di complotti e nell’evocazione di poteri pronti a cogliere l’occasione per impadronirsi del diritto di proclamare lo stato di eccezione, ma più spesso travestita da spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.
Ciò che è stato imposto dalla minaccia di morte, presenza impalpabile e invisibile veicolata dall’ambiente e da tutto quello che vi si muove, è diventato rapidamente un’abitudine, un istinto. La paura ha cancellato la fiducia, trasformando il rapporto con l’altro in una minaccia da evitare.
È vero in generale che nessun uomo è un’isola, ma per questo periodo tutti siamo diventati tante isole. Per approdare all’altra isola si è dovuto studiare come farlo, quali segnali mandare, quali garanzie esibire che non portavamo pericoli.
E mentre gli stati di emergenza si ripetono e si comincia a capire che con il Covid-19 siamo davanti alla prospettiva di una lunga convivenza, ci si viene accorgendo che qualcosa è passato dall’esterno all’interno di noi. Man mano che si tornava – o ci si illudeva di tornare – alla normalità, si scopriva da qualche parte dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà. E questo perché nella libertà era presente il pericolo della morte.
Adriano Prosperi, Tremare è umano. Una breve storia della paura, Solferino, Milano 2021, pp. 146-147.
Risvolto di copertina
Avere paura è un grande destino umano. I tempi difficili in cui siamo immersi ne sono segnati e questo sentimento rischia di immobilizzarci, come animali di fronte a un pericolo. Ma forse è possibile guardarlo con altri occhi.
In queste pagine colte e appassionate, Adriano Prosperi ci accompagna a incontrare le paure dell’uomo, ci racconta le epoche di pestilenza e ci ricorda la potenza di un’iconografia del peccato e del Male che informa e percorre le costruzioni intellettuali attraverso cui comprendiamo la vita. E assieme al passato ci spiega il presente, mettendo a nudo il cuore antico della nostra modernità globalizzata, in un’analisi sferzante di ciò che davvero abbiamo da temere: un orizzonte di disparità economica, saccheggio ambientale e impoverimento culturale. Questo è il vero flagello, su questo orizzonte compariranno – o sono già comparsi – i nuovi cavalieri dell’Apocalisse. La pestilenza ha portato alla luce, come in ogni tempo, complottismi popolari e strategie dei potenti, attacchi ai medici e processioni penitenziali, pozioni miracolose e capri espiatori. Ma occorre guardare oltre. E riconoscere la paura nel suo aspetto più nascosto di forma di dominio, peste delle menti per cui esiste un solo rimedio, pietra filosofale ricercata nei secoli dalla scienza come dall’arte: la conoscenza. L’arma con cui possiamo affrontare un sentimento che ci appartiene e che, se riusciamo a dominarlo, può renderci più forti.
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