«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«[…] è in atto una epidemia globale di nostalgia».
«Nostalgia (da nostos – ritorno a casa, e algia – desiderio [e dolore]) è il desiderio per una casa che non esiste più o non è mai esistita. La nostalgia è un sentimento di perdita e di spaesamento, ma è anche una relazione d’amore con la propria fantasia».
«Il ventesimo secolo iniziò con un’utopia futuristica e finì con una nostalgia. La fiducia ottimistica nel futuro fu gettata via come un’astronave fuori moda a un certo punto negli anni Sessanta. La nostalgia stessa ha una dimensione utopica, solo che non è più diretta verso il futuro. A volte la nostalgia non è nemmeno diretta verso il passato, bensì piuttosto verso una strada laterale» .
«L’utopia prova a identificare i particolari di un quadro generale esposto in piena luce; la nostalgia vive di un riverbero soffuso. A prima vista, la nostalgia è il desiderio di un luogo, ma in realtà è uno struggimento per un tempo diverso – il tempo della nostra infanzia».
Questa regressione infantile, come sentimento sociale, corrisponde a un rifiuto della storia e quindi della responsabilità individuale e collettiva per il futuro.
Svetlana Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York 2001 (Kindle Edition): cfr. la Introduction.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Lettera di Kant a Marcus Herz (Inizi di Aprile 1778)
Mio prezioso amico, amico scelto, lettere come quelle che ricevo da te mi trasportano in uno stato emotivo che ingentilisce la mia vita, esattamente come vorrei che la vita ne fosse ingentilita, quasi fosse una sorta di assaggio di un’altra vita. Questo avverto nel momento in cui, se le mie speranze non sono vane, intravedo nella tua anima onesta e grata una prova rincuorante che l’obiettivo dominante della mia vita accademica, che ho sempre presente nella mia mente, non è stato perseguito invano: parlo dell’obiettivo di diffondere disposizioni d’animo buone, basate su princìpi solidi, e di salvaguardare queste disposizioni assicurandole fermamente nelle anime ricettive, indirizzando gli altri a coltivare i propri talenti solo in direzioni utili. Tuttavia, questo mio piacere si tinge di una certa nota di malinconia, se considero che davanti a me si aprirebbe un’arena molto più vasta in cui promuovere questo obiettivo, ma che d’altra parte ne sono escluso per la limitata vitalità che mi caratterizza. Sai che non mi entusiasma particolarmente il pensiero di far profitti o di ricevere applausi su un grande palcoscenico. Piuttosto, una situazione tranquilla, che soddisfi la mia necessità di una dieta variabile di lavoro, riflessione e rapporti con gli altri, una situazione in cui il mio spirito, ipersensibile ma per altri versi leggero, e il mio corpo, precario ma mai tutto sommato malato, possano tenersi in esercizio senza eccessivo sforzo… è questo tutto ciò che ho desiderato e che sono riuscito ad ottenere. Tutti i mutamenti mi spaventano, anche quelli che prospetterebbero un miglioramento significativo delle mie condizioni. E penso di dover obbedire a questo istinto della mia natura, se voglio dipanare il filato tenue e delicato che il Fato ha intessuto per me. I miei ringraziamenti più sentiti, quindi, vanno ai miei amici e sostenitori che nutrono di me un’opinione così generosa, e si dedicano al mio benessere. Al contempo, però, chiedo sinceramente che dirigano questo genere di disposizione d’animo a proteggermi e sostenermi nella situazione che vivo adesso, in cui (finora) ho avuto la fortuna di vivere senza notevoli apprensioni. Ti sono grato, quindi, della tua prescrizione di medicinali nel caso di un’eventuale emergenza, carissimo amico, ma includendo essa dei lassativi, che in genere influiscono pesantemente sulla mia costituzione e comportano inevitabilmente una costipazione intensa, e considerata la regolarità del mio corpo ogni mattino, penso di essere in una saluta buona, pur fragile (buona a mio modo, perlomeno, non avendo mai esperito una salute migliore dell’attuale), e quindi ho deciso di lasciare interamente la questione alla natura, intervenendo con i rimedi artificiali laddove questa desistesse. La notizia secondo cui alcune pagine del libro su cui sto lavorando siano state già date alle stampe è prematura. Non desidero obbligarmi a sforzi per pubblicare in fretta (intenderei continuare i miei lavori su questa terra ancora per un po’), e lascio che altri progetti interrompano il mio lavoro sul libro. Esso prosegue, comunque, e penso di portarlo a compimento l’estate ventura. Mi auguro che tu riconosca, dalla natura e l’ambizione del progetto, che ci sono buoni motivi per cui un libro di questo genere, pur non straordinario per numero di pagine, mi abbia assorbito così tanto. Tetens, nel suo diffuso trattato sulla natura umana, ha scritto osservazioni penetranti, ma indubbiamente il testo dà l’impressione di essere stato edito direttamente dopo la stesura, senza correzioni. Introducendo il suo lungo saggio sulla libertà nel secondo volume, deve aver sperato di districarsi da un labirinto del genere inseguendo schizzi di idee abbozzati in tutta fretta da lui stesso, almeno così mi parrebbe. Dopo aver esaurito se stesso e il lettore, ha lasciato la questione esattamente al punto di partenza, suggerendo al lettore di farsi scortare dai propri sentimenti. Se la mia salute non vorrà peggiorare, penso proprio che sarò in grado di presentare il mio promesso libricino ai lettori la prossima estate. Mentre ti scrivo, ricevo un’altra amabile lettera, da Sua Eccellenza, il Ministro von Zedlitz, che mi ribadisce la sua offerta di un posto a Halle. Devo rifiutare, per le ragioni che ti ho già descritto. Siccome ho il dovere di rispondere immediatamente a Breitkopf a Lipsia, che mi chiedeva di rielaborare il mio saggio sulle razze del genere umano in maniera più approfondita, devo attendere il prossimo passaggio del postiglione per inviarti la presente lettera. Ti prego di salutare il Sig. Mendelssohn per me, riferendogli la mia speranza che la sua salute migliori, e il mio augurio di raccogliere il frutto del suo cuore naturalmente allegro e del suo spirito sempre fertile. Mantieni il tuo affetto e la tua amicizia nei miei confronti.
Il tuo servo sempre devoto e fedele, I. Kant
Immanuel Kank in un ritratto del pittore tedesco Adolf von Heydeck, inizio del IXI secolo.
Il dono della parola
Questa lettera di Kant mi è stata donata da un amico traduttore, Angelo Magliocco. Ne cito il nome, poiché il suo lavoro di traduzione è sempre stato rispettoso delle parole verso le quali si ha ormai un’intenzionalità veloce, le si usa senza ascoltarle, mentre esse racchiudono un corpo, un’anima ed una storia. La lettera ci consente di vedere la grandezza da vicino. Siamo abituati alla grandezza seduttiva e rumorosa che non lascia spazio che a se stessa. Grandezza spaziale e barocca che deve occupare lo sguardo con la forza magnetica del sogno e della distopia dell’eccesso. La grandezza che ritroviamo in Kant riscalda il cuore e ci riconcilia con il mondo. Le parole nella lettera sono disposte in modo da comunicare all’amico un senso di mitezza ed accoglienza. Non vi è nessuna parola che possa essere associata a protervia o ad arroganza intellettuale, anzi vi è la consapevolezza che la produzione filosofica e scientifica necessitano di lentezza.
La pratica filosofica Il filosofo educa al pensare non solo nell’attività professionale, ma sempre, nel privato come nelle relazioni: filosofare è una pratica che unisce in un filo sottile ogni segmento temporale della vita. Nella lettera le parole ci lasciano immaginare la gestualità lenta e delicata del pensare. Pensare è il regno delle parole, le quali per potersi configurare necessitano di tempo, di intenzionalità temporale qualitativa e non quantitativa. Il successo con i suoi abbagli non lo attrae. L’erotica del sapere lo induce ad essere gratificato dall’agire nel sapere, mentre il palcoscenico con i suoi applausi non lo affascina, poiché il sapere ostentato è interruzione della profondità a favore della dispersione in vane e convenevoli parole. Il tempo del pensiero è prezioso e non lo si può dissipare nella vanità e nella dipendenza dalle adulazioni. La brevità della vita conferisce al tempo vissuto di ciascuno un valore assoluto.
Grandezza autentica La grandezza vista da vicino palesa la consapevolezza dei limiti di ogni esistenza e la necessità di dare senso alla propria vita con scelte che testimoniano un insegnamento etico senza “moralismo” o “giudizio”. Vivere con coerenza l’amore per il sapere nella condivisione discreta e dialogica, assume valenza educativa per coloro che hanno la fortuna di poter incontrare la vera grandezza. Ma anche coloro che nel tempo pongono lo sguardo lontano dal loro presente, per incontrare modelli a cui potersi ispirare e rigenerare dalla volgarità dell’eccesso, ritrovano nella vera grandezza una stella polare pronta a brillare sul loro cammino. Kant scrive che il fine della sua vita accademica è diffondere “disposizioni d’anime buone”. Si può essere certi che tale “disposizione” ha attraversato il tempo e continuerà a splendere per chi sa guardare ed ascoltare la profondità delle parole. Se tanta grandezza ha attraversato i secoli, vi è da chiedersi cosa resterà nel tempo di questi nostri anni.
«Come processo psichico fondamentale e indipendente, la fantasia ha un proprio valore di verità, che corrisponde a un’esperienza propria – il superamento cioè della realtà umana antagonistica. L’immaginazione tende alla riconciliazione dell’individuo col tutto, del desiderio con la realizzazione, della felicità con la ragione. Mentre quest’armonia è stata relegata nell’utopia dal principio della realtà costituita, la fantasia insiste nell’affermare che essa deve e può diventare reale, che dietro all’illusione sta vera conoscenza.[Nell’immaginazione e quindi nell’utopia], le forme di libertà e felicità che essa invoca pretendono di liberare la realtà storica».
Herbert Marcuse, Eros e civiltà [1955], trad. di L. Bassi, Einaudi, Torino 1968, p. 171 e p. 176.
L’immagine utopica è un’immagine di ciò che «deve essere», di ciò che colui che immagina desidera che sia […]. Quel che domina qui è la nostalgia per ciò che è giusto, che viene sperimentato nella visione religiosa o filosofica come rivelazione o come idea, e che per la sua essenza non può realizzarsi nel singolo, bensì solo nella comunità umana in quanto tale. […] [L’immaginazione è il fulcro, ma con una precisa direzione e in una connessione rigorosa fra idea e desiderio] Si è soliti in genere descrivere tali immagini come prodotto della immaginazione; ma con ciò si dice ben poco. Perché questa immaginazione non divaga, non viene sospinta qua e là da ispirazioni mutevoli, ma va concentrandosi in maniera solidamente strutturata intorno a una immagine prima e originaria, che dovrà elaborare, e questa immagine prima è un desiderio.
Martin Buber, Sentieri in utopia. Sulla comunità (1947), trad. it. di D. Di Cesare, Marietti, Genova-Milano 2009, p. 48.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«È l’anima dell’uomo o la sua essenza o comunque tu voglia chiamarla, che emerge da dentro e spande la sua luce fuori».
Etty Hillesum, 8.6.41, Diario 1941-1942, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Adelphi, Milano 2013, p.104.
«I dominii dell’anima e dello spirito sono tanto vasti e infiniti che un po’ di disagio fisico e di dolore non ha troppa importanza».
Etty Hillesum, 29.6.43, Lettere, edizione integrale, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Ada Vigliani, Adelphi, Milano 2013, p. 91.
«So che seguirà un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi […]. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi. Verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno».
Etty Hillesum, 20.7.42, Diario 1941-1942, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Adelphi, Milano 2013, p. 725.
In copertina: Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht … (Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …), acquarello, inchiostro e matita su carta argentata, 1918, Berna, Kunstmuseum.
Il titolo dell’opera fa riferimento all’incipit di una poesia scritta probabilmente da Klee: Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte poi grave e prezioso e reso forte dal fuoco … Infine etereo avvolto di blu, si libra su campi innevati, verso cieli stellati.
Massimo Bontempelli (1946-2011)
Massimo Bontempelli, professore di liceo, è stato filosofo olistico: l’originalità della sua teoretica è nel tenere assieme filosofia, storia e pedagogia, al fine di orientare la paideia sul fondamento veritativo che coniuga l’asse ontologico-assiologico all’azione educativa. Ha avvertito l’incombere plumbeo del nichilismo sul destino dell’Occidente, guardando con gli occhi della mente il dramma in cui è impigliata la cultura occidentale ormai planetaria. Trascendere il nichilismo ha significato per lui interpretarlo, inseguirlo nei meandri della sua genealogia, per sfidarlo, e quindi, ricostruire il percorso verso la verità. La sofferenza teoretica per lo stato presente, si è sublimata in pensiero e pratica educativa. Filosofo dalla passione intellettuale per il presente, con l’impegno rivolto fortemente al futuro, ha teorizzato l’alternativa al nichilismo consumistico dei nostri giorni. Ha rielaborato il pensiero teoretico e politico di Hegel mediandolo col pensiero di Marx. Con Hegel ha condiviso l’urgenza della metafisica, senza la quale il soggetto è lasciato alla sua accidentalità e dissolto nel pulviscolo del conflitto economico. Il suo stile filosofico ed educativo ha un significato simbolico e sostanziale: l’essenziale è la parola, veicolo della qualità contro la quantità. Ci ha lasciati eredi non solo della sua attività teoretica, ma della sua esperienza umana vissuta fuori dalla caverna della società dell’immagine e della pornografia mediatica spacciata per trasparenza.
Questi i temi discussi
Prologo / L’uroboro / Nichilismi / La tirannia del presente: l’isola di Pasqua / Il verme nel nocciolo / Il pensiero debole / Massimo Bontempelli / L’olismo come paradigma irrinunciabile / La bicicletta di Bontempelli / La metafora della caffettiera / Concreto ed astratto / Lo sguardo contro il nichilismo / Destra-Sinistra / Pedagogia della passività / Le categorie della quantità e della qualità / La categoria della quantità e la morte / Modelli metafisici / Il regno dei lupi / La libertà / La derealizzazione / La sussunzione / Il bene / Il narcisismo-derealizzazione / Perché educare? / A scuola di nichilismo / Filosofia e Storia / La storia come necessità / Tempo e memoria / Msssimo Bontempelli/Costanzo Preve / Narcisismo, concretismo e arbitrarismo / Le miserie dell’abbondanza / La metafora della valle / Verità e libertà / “Ex ducere” / Mutazione antropologica / La Storia come asse culturale / Il Gesù di Bontempelli / La società del disprezzo di sé / Bontempelli interprete di Marx / Marx ed Hegel / L’esperienza della decrescita / Umanesimo integrale.
In queste pagine si afferma il principio che le concezioni della natura svolte dai presocratici sono il risultato della proiezione dei problemi del mondo umano sull’universo fisico: è da respingere l’opinione per cui il pensiero filosofico all’inizio si sarebbe occupato esclusivamente dei problemi più lontani, relativi all’origine, alla formazione e alla costituzione del cosmo e solo in tempi più recenti avrebbe rivolto la propria attenzione a quelli più vicini, cioè ai problemi relativi all’uomo. Pur non essendo una delle opere fondamentali del Mondolfo, questo libro è però una delle sue opere più significative: vi si possono trovare i principali motivi che ne caratterizzano il pensiero. Ha messo in evidenza le tendenze poliedriche dello spirito ellenico e la varietà e il contrasto delle sue manifestazioni nel pensiero dei filosofi greci, dimostrando come negli scritti di alcuni di essi si possa trovare il riconoscimento esplicito dell’importanza del soggetto umano nella gnoseologia, nell’etica e nella teoria delle creazioni culturali. In questo libro vengono inoltre indicati altri precedenti della filosofia della cultura: in Platone, in Aristotele, in Tommaso d’Aquino, nei filosofi del Rinascimento, in quelli dell’età moderna fra i quali Vico, Hegel e gli idealisti. La concezione della filosofia come «problematicità» non porta mai Mondolfo alla conclusione sconsolata del problematicismo e neppure alla conclusione degli scettici che proclamano la sterilità e la vanità dell’indagine filosofica. Al contrario conduce ad una conclusione fiduciosa: il lavoro filosofico contribuisce a rendere la coscienza dei problemi sempre più chiara e profonda.
Indice
Introduzione di Retano Treves
Rodolfo Mondolfo e la filosofia della cultura
Prefazione di R. Mondolfo alla prima edizione argentina
Capitolo Primo
Natura e cultura alle origini della filosofia L’anteriorità della filosofia della natura rispetto a quella dell’uomo e della cultura Il problema gnoseologico di Joël e il suo approfondimento La mitologia antropomorfica e l’origine dell’idea di legge L’opinione di Werner Jaeger La legalità nella natura e il suo primo carattere normativo La proiezione delle relazioni umane nel cosmo e sue conseguenze Anassimandro: insufficienza delle interpretazioni già date Anassimandro: ingiustizia ed espiazione. Confronto con Eraclito Spiegazione più completa. Genesi del concetto di necessità causale e della legge di misura La legge naturale come fondamento e inquadramento dell’umano Il contributo delle scuole mediche. L’associazione del determinismo al finalismo Le applicazioni alla vita spirituale e sociale dell’uomo. Sovrapposizione della natura alla cultura e soffocazione della filosofia della cultura iniziata dai sofisti. L’eredità trasmessa al Rinascimento e all’Età Moderna
Capitolo Secondo Suggerimenti della tecnica nelle concezioni dei naturalisti presocratici Appendice: Il significato gnoseologico del ricorso alla tecnica per l’interpretazione della natura
Capitolo Terzo Platone e il concetto unitario di cultura umana
Capitolo Quarto Lavoro manuale e lavoro intellettuale dall’antichità al Rinascimento
Capitolo Quinto Origine e significato del concetto di cultura umanistica
Nel tempo della pandemia (che, come ha sancito ufficialmente all’inizio di marzo l’Organizzazione mondiale della sanità, è l’epidemia di coronavirus o Covid-19 estesasi a livello planetario) siamo tutti riportati alla nudità della nostra esistenza, dell’essenza umana e la sofferenza è universale. In questi frangenti ci sono rivelate nel modo più brutale, spietato e collettivo la fragilità, la finitezza e la mortalità costitutive degli esseri umani, l’assurdità della dismisura, di ogni mito e culto dell’onnipotenza; si può fingere di meno a noi stessi e agli altri sulla nostra condizione, i nodi vengono maggiormente al pettine. Pensiamo, specialmente nelle fasi più gravi e drammatiche della pandemia, alla presenza massiccia della morte attorno a noi e sempre più vicina a noi, alla sua strapotenza, alla minaccia costante dell’annientamento che rappresenta. Ricorrendo al linguaggio della teologia, Claudio Magris ha parlato della prolixitas mortis (prolissità della morte), della sua incombenza e incontinenza, della sua ininterrotta narrazione.
Nei giorni della pandemia ci tocca sperimentare in modo particolarmente amaro e rivelatore la verità tragica della filosofia dell’esistenza circa la prossimità estrema della morte, la vicinanza del nulla, il forte senso della fragilità umana e del destino. Avvertiamo con maggiore nettezza la nostra totale appartenenza alla natura, la nostra dipendenza da essa, l’ineludibilità della nostra interdipendenza ecologica e globale, il fatto che non possiamo esistere fuori della natura e cavarcela senza un nuovo rapporto con l’ambiente naturale e sociale.
Tutti in qualche modo soffriamo, però in modi e forme anche notevolmente diversi. La sofferenza e il peso maggiori – non va mai dimenticato – riguardano i malati e gli emarginati, tutto il personale sanitario costretto a turni di lavoro massacranti e a prodigarsi in condizioni difficilissime, tutti quei lavoratori della produzione e dei servizi che sono in prima linea per aiutare in vari modi la società. Un’immensa gratitudine, non del tutto esprimibile a parole, va a tutti coloro che operano continuamente per gli altri, per risanare, provvedere ai bisogni essenziali della popolazione, alleviare le pene, limitare i danni, evitare il peggio. Va soprattutto agli umili e agli ultimi che sgobbano senza posa, ai tanti senza-nome e senza-storia che svolgono il loro prezioso lavoro quotidiano lontani dalle luci della società sirenico-spettacolare e senza alcuna ribalta mediatica.
Ci sono poi una sofferenza psichica e interiore, un disagio e un malessere, una paura e un’angoscia che ci concernono tutti indistintamente, in varia misura, coi quali dovremo imparare a convivere e che già cerchiamo faticosamente di gestire e controllare, in nome dell’amore per la vita e per la convivenza. Ci proviamo, almeno dobbiamo assolutamente provarci, perché la mera disperazione non conduce da nessuna parte, anzi ci paralizza e impedisce l’azione.
Anche la prospettiva che questa situazione, soprattutto il rischio di contagio, possa durare non pochi mesi o più di un anno, è davvero rattristante e inquietante. Per non parlare della crisi economico-sociale in cui siamo già precipitati, di proporzioni gigantesche, planetarie. I milioni di nuovi poveri e disoccupati reclamano giustamente aiuto, ma nessuno può fare miracoli, neppure il miglior governo del mondo, che del resto non esiste da nessuna parte. E’ impressionante l’impasse in cui la politica si dibatte oggi, oscillante fra demagogia, promesse impossibili da mantenere, irresponsabilità, serietà dell’impegno e pesanti responsabilità di governo, chiamata a dare risposte impossibili o per forza carenti in una situazione senza precedenti, invitata da ogni parte a tamponare faticosamente le ferite del corpo sociale e a dare risposte comunque inadeguate. Naturalmente, anche in questa situazione, c’è chi si dedica senza alcun pudore allo sciacallaggio, alla demagogia sfrenata e alla più vile strumentalizzazione politica, promettendo miracoli e cose del tutto aleatorie. Molti abboccano, ma non se ne può più della politica da bassa cucina elettorale, alla ricerca del consenso immediato, di corto respiro, menzognera. Come ha detto in un’intervista televisiva un medico intelligente, riferendosi a sé stesso e ai medici (ma il discorso andrebbe esteso a tutti), oggi “nessuno può fare lo Zarathustra” e atteggiarsi a facile profeta o a salvatore dalla bacchetta magica. Un pizzico di umorismo e di sana autoironia ci farebbe bene anche in questi frangenti, ma prevalgono di gran lunga in molti la rabbia, la violenza verbale, il disprezzo, il mugugno ininterrotto e l’opposizione inconcludente, il velleitarismo, la mancanza di lucidità e di alternative praticabili.
Fatti per la vita sociale, di gruppo e di relazione, abituati ai riti e ai culti della civiltà di massa, nelle presenti circostanze agli uomini è improvvisamente impedita la normalità di questa vita, pensiamo soltanto all’obbligo del mantenimento delle distanze tra le persone, all’impedimento degli abbracci, delle strette di mano, dei gesti affettuosi, dei contatti ravvicinati, etc. . Ognuno è in qualche modo paradossalmente invitato e per certi aspetti obbligato – proprio per amarci e rispettarci più profondamente – a diffidare dell’altro, a non aprirsi all’altro, a sospettare il contagio ovunque, a mantenere le distanze, appunto.
E’ amarissima – ancorché indispensabile e necessaria, beninteso – questa riduzione drastica e pesante, questa perdita secca dei livelli normali della qualità della vita, delle relazioni e della socialità nelle nostre città spettrali e desertificate, in cui le sirene delle ambulanze rompono sovente il silenzio delle vite sospese con suoni terribili, opprimenti l’animo ancor più del solito, di sventura e di morte.
Questa normalità degli affetti, dei sentimenti, dei rapporti umani schietti, delle relazioni fruttuose ci è assolutamente cara e indispensabile; non è così, invece, per la normalità alienata, per la normalità del conformismo e del consumismo, dell’inquinamento e del rumore, del traffico e della fretta, della società dell’individualismo e della competizione, del capitalismo edonistico e della cultura dello spreco, del totalitarismo del mercato, del mondo mercificato e del feticismo economico, dell’impero del capitale, delle merci, della tecnica e del Dio-denaro, in cui gli uomini sono ridotti essenzialmente a produttori/consumatori, valgono solo come tali, non sono più considerati innanzitutto come abitanti del pianeta, come esseri umani nella loro complessità e pienezza. Questa “normalità” va rimessa in discussione, perché sta inaridendo la convivenza sociale, sta distruggendo e forse distruggerà la vita sul pianeta.
Nei giorni della pandemia colpiscono molti volti, sguardi, movimenti, atteggiamenti, gesti, spesso muti, mesti, discreti e quasi impercettibili, ma anche pietosi, solidali, gentili, cortesi, partecipi, più che mai coscienti e rispettosi. E’ la ricchezza della nostra umanità colpita e ferita, che non può esprimersi pienamente, ma che scopre e vive la condizione comune di sofferenza, disagio e impedimento. Ci sono pure meravigliosi volontari che prestano aiuto come possono, veri e propri piccoli, grandi eroi della nostra vita quotidiana tribolata, testimonianze luminose della nostra umanità.
Molti, per fortuna, capiscono che siamo tutti “sulla stessa barca”, che nessuno – nemmeno Trump, Johnson e Bolsonaro – può permettersi di fare troppo a lungo il gradasso o lo sbruffone in questa situazione così tragica e dolorosa. Nessuno di quelli che, giovani o vecchi, sono ancora sani o non contagiati dovrebbe dimenticare che ci sono quelli che hanno bisogno, stanno male o, comunque, stanno peggio di loro.
Nell’isolamento, nell’apprensione e nella desolazione universale, io, ad esempio, riesco ancora, almeno per il momento, a lavorare e a scrivere queste note: ne sono pienamente cosciente e quasi me ne vergogno, ma è pur vero che devo, voglio, posso farlo e che ciascuno è chiamato anche al dovere sacrosanto di non cadere vittima di una depressione paralizzante e pericolosa (specialmente in queste condizioni di vita sociale), alle esigenze della convivenza, di proteggersi e di proteggere gli altri, come e per quanto possibile, almeno cercando di non ammalarsi e di non contagiare.
Non possiamo però dimenticare che, nemmeno in queste circostanze così aspre per tutti, continua ad agire l’umanità meschina, peggiore degli sciacalli e degli avvoltoi, degli approfittatori e degli opportunisti, del “familismo amorale”, di coloro per cui vale il motto “tanto peggio per gli altri” e che pensano soltanto a sé stessi, al proprio “particulare”: mi riferisco, ad esempio, a quegli sciagurati che cercano di truffare gli anziani introducendosi nelle abitazioni e spacciandosi per personale sanitario, a quelli che hanno consapevolmente contagiato altri andandosene tranquillamente in giro o speculato sul prezzo delle mascherine, a coloro che corrono all’accaparramento di beni alimentari nei supermercati o di prodotti sanitari nelle farmacie, a coloro che chiedono aiuti economici senza averne davvero bisogno. Occorre fare attenzione anche a questa umanità irresponsabile e incosciente o comunque scarsamente responsabile in servizio permanente effettivo.
Sperimentiamo infatti più che mai l’ambivalenza dell’umano e quella che Robert Musil chiamò, nel suo capolavoro incompiuto Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità, 1930-1942), “la profonda duplicità del mondo” (die tiefe Zweideutigkeit der Welt), che ora ci abbassa e ora ci innalza, una volta ci deprime e una volta ci esalta.
Da un lato, troviamo tra l’altro l’opportunismo, l’arroganza e la presunzione, la malvagità, lo sciacallaggio economico e politico, la stupidità, insomma tutto il male di cui gli uomini sono capaci anche nelle situazioni che dovrebbero richiedere il massimo di aiuto, solidarietà e collaborazione; dall’altro le meravigliose qualità, caratteristiche ed energie di tutti coloro che danno il meglio di sé, impegnati ad arginare il peggio e a salvaguardare l’umano. Assistiamo a veri e propri prodigi quotidiani in termini di abnegazione, generosità, cura, attenzione, lavoro costante e scrupoloso, prodigalità e rispetto, quasi sempre senza alcuna grancassa mediatica.
Sarebbe auspicabile che da questa tragedia potesse spuntare un “nuovo inizio”, una ri-nascita, affacciarsi un “cuore nuovo” o “di carne” (grande tema della sapienza e profezia biblica. Cfr. Ez 11, 19-20; Ez 36, 26-27; Ger 31, 31-34; 1Re 3, 9-12) in alternativa al “cuore di pietra”, avviarsi una conversione (non solo etica, ma pure una conversione ecologica dell’economia), un processo di umanizzazione reale, in nome di quella globalizzazione della fraternità e della cooperazione, della solidarietà e della condivisione indicata pure, profeticamente, da papa Francesco. Un’altra forma della globalizzazione, più ecologica e solidale, più giusta e fraterna, è drammaticamente urgente.
“Svegliati, o Signore!”, ha esclamato papa Francesco in un giorno di fine marzo, in una piazza san Pietro vuota e scura, sotto la pioggia, durante l’Urbi et orbi, invocando Dio perché intervenga e ci liberi dalla pandemia. “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”: queste e altre parole del papa sono nel contempo pietose, lucide e profondamente umane, ma rivelano pure una drammatica impotenza.
Su “Avvenire” il sociologo cattolico Mauro Magatti ha espresso apertamente nei giorni più duri di questa tragedia il proprio smarrimento e la propria inquietudine di credente circa la difficoltà di cogliere i segni e le tracce del divino nella situazione odierna. Comunque la si pensi, credenti o non credenti, non c’è alcun “Dio tappabuchi” (Dietrich Bonhoeffer), Dio non risponde, non può risponderci. Siamo affidati a noi stessi, alle nostre scelte e responsabilità, alle nostre azioni e pratiche di vita.
Il silenzio e l’assenza di Dio – nel tempo presente che sparge paura, sofferenza e morte a piene mani fra gli uomini – ci lasciano particolarmente sgomenti e ci rivelano l’abisso della condizione umana, ma ci richiamano pure all’esigenza pressante dell’azione e della assunzione di responsabilità.
Le attuali tribolazioni e angustie richiedono una radicale conversione dei cuori e delle coscienze, una tensione alla giustizia, a contrastare le enormi diseguaglianze economico-sociali, i vergognosi squilibri di ricchezza e di potere esistenti nel mondo. Va riscoperta e praticata la compassione, che non è un atteggiamento di compatimento che va dall’alto al basso, ma la capacità di partecipare e di comprendere le sofferenze altrui, cercando di contrastarle e alleviarle. Il filosofo Mauro Ceruti ha osservato lucidamente che oggi la fraternità non è più soltanto un’aspirazione etica, ma comincia a diventare una necessità inscritta nella nuova condizione umana. Saremo capaci di riscoprire e praticare compassione e fraternità?
Nel momento attuale è ancora prevalente la ratio strumentale-calcolante rivolta agli interessi particolari, minoritaria è invece la ragione rivolta al bene comune, alla giustizia, alla verità.
Ci troviamo e ci troveremo sempre più in una situazione in cui sono e saranno richieste molte risorse economiche, in cui occorre e occorrerà applicare il sano e semplice principio secondo cui chi ha di più deve dare di più. Una maggiore giustizia sociale diventa un imperativo morale, se non vogliamo fare delle vane chiacchiere e della retorica insulsa, insopportabile.
E’ in gioco pure il destino dell’Europa, che è in crisi perché non è ancora la nostra vera casa comune, la nostra patria (Heimat). Soprattutto, essa non è ancora unita davvero, politicamente e culturalmente. L’immenso patrimonio e i tesori della grande cultura europea sono sotto i nostri occhi e nella nostra storia (per la verità, insieme a tante altre cose vergognose, come il colonialismo, l’imperialismo, la cultura della guerra, il razzismo, l’eurocentrismo, etc.), ma vanno riscoperti e fatti vivere. Ora vediamo lucidamente che l’Europa è posta davanti ad un aut-aut: senza spirito di solidarietà e fraternità, senza aiuto e collaborazione reali, senza vera unità – non solo economica, ma politica e culturale -, essa soccomberà, fallirà e lascerà rovinosamente il campo libero agli egoismi nazionali, alle rinnovate spinte sovraniste e nazionaliste.
Una delle verità principali che questa pandemia ci consente di riscoprire è quella che il buddhismo chiama la “co-produzione condizionata” o “genesi interdipendente” di tutti i fenomeni, ossia il fatto che l’interrelazione o interdipendenza universale concerne tutti gli esseri e le cose; nessuno o nessuna cosa può sognarsi uno “splendido isolamento”, può fare l’ “anima bella”. L’uomo non è un dio né una bestia, diceva già Aristotele, ma un animale razionale, sociale e politico.
In questa stessa direzione della “vita buona”, anche il grande pensiero filosofico europeo e italiano ha parlato sovente di intersoggettività, di relazionismo e di “ontologia chiasmatica”: penso qui soprattutto a Edmund Husserl, Enzo Paci e Maurice Merleau-Ponty.
Più che mai attuale è pure il messaggio della poesia La ginestra (1836) di Giacomo Leopardi, che richiama gli uomini – a partire dalla condizione umana e dalla sventura comune – a riscoprire le ragioni della fratellanza e dell’amore reciproco, della solidarietà e della cooperazione.
Molti potranno riconsiderare e rivalutare tutto ciò, ma non è scontato. Per il momento, siamo ancora nella bufera, ci occorrono molta pazienza e molto coraggio (o forza del cuore, come dice ottimamente Vito Mancuso), molta coscienza, responsabilità, azione solidale e concreta.
Questa pandemia che ha messo in scacco il pianeta è un segno inquietante dei tempi, da interpretare, crediamo, come un avviso estremo ai naviganti. Per chi suona la campana? Suona per te, per ciascuno di noi, per l’umanità e la civiltà planetaria. Se non ascolteremo questo suono – e tutto va purtroppo nella direzione del non-ascolto o di un ascolto scarso, solo parziale, della ripresa della normalità alienata, della continuazione della devastazione della Terra e dell’inaridimento dell’umano -, nuove sciagure si profileranno inevitabilmente all’orizzonte.
Franco Toscani (Piacenza, 14 marzo-30 aprile 2020)
In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.
In uno dei disegni praparatori dell’opera Klee aveva indicato il titolo provvisorio: Le arcate dei ponti rompono le righe. Una rivoluzione dunque, un auspicio di profondo mutamento, alla radice, di sistemi fossilizzati. Gli archi si ribellano all’uniformità del viadotto e avanzano “rompendo le righe”, per superare ogni incatenamento teorico e artistico.
«Migliori e Grecchi sono due metafisici che si ispirano alla tradizione greca e la custodiscono con cura, anche se Migliori guarda soprattutto a Platone e Grecchi soprattutto ad Aristotele. Entrambi amano la verità e il bene». Carmelo Vigna
Questi i temi del dialogo
La genesi della filosofia / L’amore per Platone / “La filosofia si fa, non si impara” / Il Multifocal Approach / Possibili critiche al Multifocal Approach / Uomo: una natura razionale e morale? / Sul timore della definizione / Su ciò che non è stato ritrovato / Presocratici: una lettura multifocale? / Chi fu il “primo filosofo”? / Sulla definizione della filosofia e la differenza con le scienze / Socrate sofista? / Sulla filosofia ellenistica e post-ellenistica / I Greci cercavano per trovare risposte utili / Sul bene / Sulla verità: questione logico-fenomenologica o (anche) onto-assiologica? / Utopia e progettualità / Sul trascendente / La dolcezza come virtù filosofica / L’anticrematistica: filo conduttore delpensiero antico? / Stato dell’arte della filosofia antica in Italia / Oltre alla filosofia… / Su Platone Primo Ministro… / Sulla educazione dei giovani / Sulla morte
Maurizio Migliori si è laureato in filosofia (1967) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e poi specializzato presso la stessa università (1969) sotto la guida di Giovanni Reale, con cui ha continuato a collaborare fino alla morte del Maestro (2014). Docente di Scuola secondaria superiore per oltre 20 anni (1968-1991), poi professore di Storia della filosofia antica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata per oltre 20 anni, prima come associato (1991-2001), poi come ordinario (2001-2015). In pensione, continua a svolgere attività didattica nella stessa Università. Autore di numerosissimi articoli su riviste italiane e straniere e di numerosi libri, tra cui la nuova edizione di Aristotele, La generazione e la corruzione, Bompiani, Milano 2013; Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, 2 voll., Morcelliana, Brescia 2013. Con Petite Plaisance ha pubblicato La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni (2019, pp. 592).
Per tutti gli scritti di Maurizio Migliori, cliccare qui. (oppure: autore, M. Miglori)
Luca Grecchi, Luca Grecchi svolge attività di insegnamento e di ricerca presso le Cattedre di Storia della Filosofia e di Filosofia Morale della Università di Milano Bicocca. Ha pubblicato, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli i libri Natura (2018) e Uomo (2019), e, per l’editore Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). È curatore dei volumi Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).
Regno dell’uomo, matematismo e meccanicismo (Galilei, Bacone e Cartesio)
Il disegno umanistico del «regnum hominis» / La caratteristica della concezione moderna del «regnum hominis» / Il matematismo del Galilei / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero di F. Bacone / L’atteggiamento di Bacone verso la matematica / R. Descartes come fondatore della filosofia moderna / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero cartesiano / La funzione del matematismo nel sistema cartesiano / La matematica e il dubbio universale / I due centri di certezza nel sistema cartesiano / Matematismo e meccanicismo / Le aporie del cartesianesimo.
Le difficoltà del matematismo. Il problema della «res extensa». Cartesio e Spinoza
Le condizioni per un cartesianesimo integrale / Sua incompatibilità con il concetto di anima-forma / Risoluzione del cartesianesimo nello spinozismo / Spinoza e Cartesio /Le caratteristiche del razionalismo spinoziano / Il matematismo nel pensiero spinoziano / Matematismo e meccanicismo / Occasionalismo e pascalismo.
Esteriorità e interiorità nella conoscenza (Locke e Leibniz)
Gli elementi della «modernità» nel pensiero del Locke: «regnum hominis» e meccanicismo / Come nel pensiero del Locke vi sia presente anche il matematismo / Il rapporto del Locke con la distinzione fra qualità primarie e qualità secondarie / Conseguente critica del concetto di sostanza da parte del Locke / Inadeguatezza del nominalismo tradizionale alla critica del Locke / Il matematismo come limite dommatico della ricerca lockiana / Il dualismo d’interiorità ed esteriorità / Leibniz e la sua ripresa al matematismo antico / Matematismo antico e matematismo moderno / La polemica vichiana e la prevalenza del matematismo nella cultura illuministica.
Il superamento kantiano del matematismo e i suoi limiti
La filosofia kantiana come ricerca assoluta / Condizioni della ricerca e funzione esercitata in essa dalla matematica e dalla meccanica / Raporto della dottrina dell’Io trascendentale con la funzione esercitata nella ricerca dalla matematica e dalla meccanica / Dall’estetica e dall’analitica alla dialettica / Il matematismo e le aporie della dialettica / Il matematismo come limite della ricerca kantiana.
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