Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.

Aldo Lo Schiavo 03


La condanna platonica della tirannide è radicale
La condanna platonica della tirannide è la più radicale che la storia del pensiero politico abbia mai pronunziato. Anche se tanta parte della cultura e della politica greche aveva già manifestato forte avversione a ogni forma di tirannide, quella di Platone può essere considerata a ragione la più coerentemente argomentata e fondata, e anche perciò rimane una condanna senza appello, definitiva. Platone infatti collega, come sappiamo, la fenomenologia politica al fondamento ontologico della costituzione psichica dell’uomo. Su tale base, la tirannide si pone necessariamente all’estremo limite della scala degenerativa del potere, così come l’uomo tirannico costituisce l’ultimo anello della degradazione morale dell’individuo. Alla radice di tutto ciò sta l’eros tyrannos (Repubblica, 573 b). L’indigenza (penia), l’insaziabilità (aplestia), lo spavento (phobos) caratterizzano certamente la personalità del tiranno (577 e – 578 a). Ma più di ogni altra cosa, è la condizione di schiavitù a contrassegnare sia la città dominata dal tiranno sia l’uomo dominato dall’animo tirannico: in entrambi i casi viene ridotta al minimo la possibilità di agire secondo libera determinazione (577 c-e). La tirannide si pone all’ultimo gradino delle forme politiche degenerate proprio perché si trova all’estremo opposto della città ideale, così come l’individuo tirannico si trova all’estremo opposto dell’uomo regale aristocratico (576 d, 580 b-c). In effetti, «non c’è città più sventurata di quella sottoposta a tirannide, né più felice di quella governata dalla regalità» (576 e); correlativamente, «l’uomo più virtuoso e più giusto è il più felice, […] il più malvagio e più ingiusto è il più sventurato» (580 c). Si ha così anche la dimostrazione conclusiva del punto che Socrate aveva posto all’inizio della Repubblica (354 a): «il giusto è felice, l’ingiusto sventurato» (pp. 351-352).

 

Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica
[…] Per Platone la città perfetta, indipendentemente dal fatto che sia mai esistita o che possa esistere da qualche parte, prima di ogni altra cosa è un prodotto della ragione filosofica. Essa «è posta in cielo come un modello (paradeigma) offerto a chi voglia vederlo, e tenendolo d’occhio possa insediarvi se stesso» (Resp. 592 b; trad. di M. Vegetti). Più esattamente, fuor di metafora, essa si configura come un imperativo laico, il dover essere di ogni persona filosoficamente formata. Questi può vederla idealmente in cielo, in quanto può realizzarla in se stesso come una «costituzione interiore» (591 e 1; 590 e 4), in quanto cioè si fa governare da ciò che in lui «è divino e dotato d’intelligenza» (590 d), dalla ragione appunto. La città ideale di Platone non cerca una legittimazione teologica, né un fondamento trascendente. Essa trova fondamento e legittimità nella natura razionale dell’uomo, alla cui responsabilità intellettuale e morale in ultima analisi risale. Tale valore normativo, però, non si esaurisce nell’interiorità del soggetto, ma obbliga il filosofo a intervenire nella realtà politica, a impegnarsi per la trasformazione della città storica nella città del modello, scoperto dentro se stesso come fosse in cielo. Il suo compito è di istituire quaggiù, e di difenderle se già istituite, le misure delle cose belle giuste e buone che egli vede lassù (484 d 1-3), ovvero che egli scopre con la ragione. Vedendo quelle essenze, «tutte disposte secondo un ordine razionale», egli non può limitarsi a plasmare se stesso, ma deve essere pronto a trasporre nella dimensione della realtà politica quell’ordine superiore noetico che trova disegnato nella città interiore-celeste (500 c-e). […]

La politeia ideale della Repubblica si presenta quale coerente progetto
di trasformazione etico-politica della società
La politeia ideale della Repubblica, quindi, da un lato costituisce […] il criterio di giudizio e di valutazione critica delle forme costituzionali registrate nella realtà storica, e, dall’altro lato, si presenta quale coerente modello normativo, quale progetto di trasformazione etico-politica della società, progetto sorretto da una rigorosa strategia educativa coinvolgente in modo diretto o indiretto l’intera comunità. Il disegno platonico, perciò, non può definirsi una semplice “metafora dell’anima”, quasi si esaurisse in quella “costituzione interiore” pur auspicata dal filosofo. Né d’altra parte esso assume le sembianze di un mito o di una visione puramente utopica della società. Quel disegno, invece, intende essere un paradigma ideale diretto a orientare l’azione, a guidare i comportamenti morali, sociali e politici dei singoli e dell’intera comunità. La realizzabilità storica di tale modello non è esclusa in linea di principio, sebbene questa possibilità rimane un evento del tutto eccezionale, e anche in questo caso, per i limiti insiti nella natura umana, non potrebbe trattarsi che di una realizzazione imperfetta, di una approssimazione al modello (472 b -473 b; 501 b-c). Della kallipolis (527 c 2) Platone non individua specifiche istituzioni politiche. Stabilisce però quale è la funzione o l’obiettivo dello stato perfetto, quale la sua struttura sociale, quali i fattori o le condizioni che devono contrassegnarlo.

Il progetto di Platone intende risolvere alla radice il problema della stasis
Il progetto di Platone intende risolvere alla radice il problema della stasis, della discordia intestina (444 b), che era propria delle città greche in generale e di Atene in particolare, come lo è stato in seguito di tutte le comunità pervase da forte spirito individualistico. L’unità dello stato diventa dunque l’obiettivo primo e fondamentale del suo disegno insieme etico e politico. Mentre una città mal governata non è “una” città ma una “pluralità” di città, una città invece ben governata nel segno della “saggezza” è una città unita (polin mia) (422 e – 423 a). E la ragione di ciò sta nell’attuazione di un «principio», quello della “giustizia” (nel senso platonico del termine), ossia nel principio secondo il quale ogni parte di un tutto (sia esso l’individuo o la città) deve svolgere la propria funzione senza invadere quella delle altre, e fare in modo che tutte si armonizzino fra di loro, in base a quella sapienza (sophia) che presiede a queste cose (443 b – 444 a). In tal modo si ha l’uomo giusto e la città giusta. […] Tale principio riflette ancora il motivo socratico del primato della competenza. Si giunge così a vedere che il massimo bene (megiston agathon) per l’assetto dello stato, quello al quale il legislatore deve mirare nel porre le leggi, consiste nel coordinare insieme le differenti parti (gruppi sociali) della città, in modo da farne di molte una, mentre il massimo male (megiston kakon) consiste nel separare quelle parti, sì da fare di una città sola molte città (462 a 2 – b 2). Alla promozione dell’unità dello stato nella diversità delle sue componenti interne, Platone collega un secondo, non meno importante, obiettivo, che consiste nella promozione e salvaguardia del benessere generale. La felicità (eudaimonia) non può mancare nello stato ideale: bisogna, anzi, che l’intera città, e non un solo gruppo, sia per quanto più possibile felice (420 b-c). […]

Il richiamo all’unità fondativa dello stato
è fortemente temperato dal concetto di unità nella diversità
Queste tesi rivelano una concezione fortemente unitaria dello stato, ma tutt’altro che sorda e cupa, e anzi alquanto avanzata, attenta al fatto che non vi siano privilegi per alcun gruppo sociale e interessata all’esigenza che tutti i cittadini partecipino del benessere comune. Il problema è che, di fronte al valore assoluto dello stato, il singolo individuo non compare come soggetto portatore di valori autonomi, non conta come tale; compare soltanto come cittadino e come membro di una classe sociale. Questo limite è tipico, peraltro, della concezione tradizionale della polis greca. Semmai bisogna riconoscere che Platone approfondisce, come nessun altro pensatore greco, gli elementi costitutivi che sono al fondo della personalità umana e della sua autonoma responsabilità, elementi in mancanza dei quali non avrebbe neppure senso parlare dell’individuo come soggetto autonomo. Il richiamo all’unità fondativa dello stato, d’altra parte, è fortemente temperato dal concetto di unità nella diversità, diversità di ruoli e di funzioni relativi purtroppo ai gruppi sociali più che agli individui nella loro singolare autonomia (pp. 355-358).

Il manifesto del filosofo laico

La digressione sul filosofo contenuta nel Teeteto (172 c – 177 c) per un verso richiama motivi socratici presenti nella giovanile Apologia, ma per altro e più importante verso si colloca nella prospettiva di pensiero della maturità di Platone. Conviene ora esaminare queste pagine nella loro interezza, individuando i punti salienti del discorso di Socrate, prima di formulare un giudizio d’insieme sulla digressione stessa.

La schiavitù dei retori e la libertà del filosofo
Il filo conduttore del ragionamento di quelle pagine è rappresentato dalla contrapposizione fra due condizioni di vita antitetici: la schiavitù del retore e la libertà del filosofo. Fin dalle prime righe del discorso di Socrate (172 c) viene sottolineata la differenza che corre fra quanti sono abituati a frequentare tribunali e luoghi simili e quanti invece sono stati allevati allo studio della filosofia. I primi appaiono come schiavi di fronte a uomini liberi. La circostanza che discrimina le due condizioni sta nel modo di utilizzare il proprio tempo. Nella ricerca filosofica, la libertà (eleutheria) si sposa alla padronanza del proprio tempo; nella ricerca del successo, la schiavitù (douleia) è una conseguenza dei condizionamenti del tempo a disposizione nell’agone giudiziario o politico. Quelli che hanno trascorso «molto tempo» nello studio della filosofia, apprezzano il loro tempo libero, conducono i loro discorsi con agio, possono tranquillamente passare da un discorso all’altro se questo serve al loro unico obiettivo: arrivare a cogliere «ciò che è», l’essere (172 d 9). Gli altri, al contrario, si sentono incalzati dal tempo che scorre secondo la misura della clessidra, non possono svolgere i discorsi come desiderano, devono anzi sottostare ai limiti loro imposti da un padrone-giudice che, seduto sopra uno scanno, ha nelle sue mani «una certa giustizia» (172 e 6). Pur di prevalere nei tribunali o nelle assemblee, retori e simili non esitano ad agire per vie oblique, a ricorrere a menzogne e ingiurie, fino a perdere la dignità di un uomo libero. Soprattutto imparano presto a lusingare il loro padrone-giudice con le parole e a ingraziarselo con i fatti (173 a). In questa pagina, la condanna dei giudici e della giustizia amministrata dalla città non nasce, come nell’Apologia, dal caso singolo della sentenza ingiusta pronunciata contro Socrate, bensì è una condanna assai più forte, vuole essere una condanna generale dei tribunali e dei singoli giudici di ogni città e di ogni tempo, giudici ai quali sembrano inevitabilmente connaturati arroganza, arbitrio, corruzione. Il termine despotes qui usato per designare i giudici, appunto giudici-padroni, non lascia adito a dubbi sulla portata della loro condanna, una condanna senza appello. Il giudice non è uomo di giustizia, di cui illegittimamente si ammanta, perché, al pari dei retori, non fa parte degli uomini allevati nella filosofia, e quindi ignora cosa sia la vera giustizia, la giustizia in sé. A distanza di oltre tre secoli, Platone rinnova e rafforza filosoficamente la condanna espressa da Esiodo negli Erga nei confronti dei giudici-re del suo tempo, che ripetutamente definisce mangiatori di doni (dorophagoi).

Il sapere cui tende il filosofo
Chi si occupa di filosofia non ha giudici che presiedano alla sua attività, non è interessato a ciò che si discute nei tribunali o in altre adunanze pubbliche, né sa di tutte quelle cose e pettegolezzi di cui gli altri si servono per acquistare onori e reputazione. Soltanto il suo corpo risiede nella città, mentre il suo pensiero vola altrove, verso «le profondità della terra», come diceva Pindaro, o piuttosto verso l’indagine scientifica, la geometria, l’astronomia, la natura stessa degli esseri nella loro universalità. Esprime bene questo orientamento del filosofo la storiella di Talete deriso dalla servetta tracia perché, tutto preso a osservare le cose del cielo, non si accorgeva degli ostacoli che aveva davanti ai suoi piedi (173 c – 174 a). Qui siamo di fronte a un Platone molto lontano dall’agnosticismo del maestro. Quel Socrate che nell’Apologia dichiara di non sapere, e che anzi controbatte le accuse di Aristofane (19 b-d) asserendo che delle cose di sotterra e di quelle celesti egli non se ne intende né molto né poco e neppure si cura di fame ricerca, ebbene quel Socrate è stato sostituito nel Teeteto da un altro Socrate, il quale, al contrario del precedente, è proprio impegnato nella ricerca di come stanno le cose di sotterra e del cielo, è anzi tutto proteso ad abbracciare col pensiero «la terra tutta intera» e a fissare sempre lo sguardo su «il tutto (to pan)» (174 e 4 – 175 a 1). L’indagine sulla totalità del reale avvicina il filosofo alla sophia, che è il sapere appunto della totalità, del fondamento di ogni cosa. Nel perseguire questo obiettivo, peraltro, il filosofo non trascura di indagare ancora su cosa sia la giustizia e l’ingiustizia, in cosa consistano la felicità e l’infelicità umane (175 c). Tale è appunto il modo di essere del filosofo, di colui che è stato «allevato realmente nella libertà e nella padronanza del proprio tempo» (175 e 1 s.).

Assimilarsi a dio, ovvero diventare giusti
La conoscenza teorica, sia quella scientifica sia quella dialettica, non è sufficiente a realizzare il bene. Anzitutto occorre essere consapevoli che, nella natura umana, il bene si trova spesso commisto al suo contrario. Di conseguenza, bisogna cercare di fuggire dalle cose di quaggiù e tentare per quanto possibile di «assimilarsi a dio». L’impegno teorico deve tradursi nell’impegno pratico. L’assimilarsi al dio vuol dire «diventare con intelligenza giusti e santi», «fuggire la malvagità e perseguire la virtù» (176 b). Se è vero che la divinità in nessuna circostanza è ingiusta, bensì è sempre al massimo grado giustissima, non c’è nulla che più gli assomigli di colui che fra gli uomini sia diventato a sua volta dikaiotatos, il più giusto possibile. Conoscere ciò e comportarsi di conseguenza significa possedere vera sapienza (sophia) e virtù (arete), mentre non conoscerlo e non esserlo è manifesta ignoranza (amathia) e malvagità (kakia) (176 b-c). Il richiamo congiunto a sapienza e virtù indica che, nella prospettiva platonica, conoscenza e azione devono essere inseparabili, devono procedere in sintonia. Nella realtà, infatti, esistono due modelli di vita (paradeigmata): uno divino, felicissimo; l’altro non divino, infelicissimo. Scegliere fra questi due modelli, seguire l’uno o l’altro, con le conseguenze che ne derivano, è frutto di conoscenza e sapienza nel primo caso, di stupidità e follia nel secondo (176 e – 177 a). E allora assimilarsi a dio non vuol dire abbracciare un modo di vita ascetico, distaccato dal mondo. Né vuol dire seguire un particolare credo religioso. Al contrario, vuole semplicemente dire che è necessario ispirarsi a quel sommo criterio di giustizia che riteniamo appartenga nella sua purezza alla divinità, non essendo una qualità sempre e sicuramente presente fra gli uomini, i quali invece spesso la negano per ignoranza o per malvagità.

I temi ora riassunti consentono di vedere nella digressione del Teeteto un manifesto della libertà e laicità del filosofo. Il laicismo filosofico del Teeteto va molto oltre il laicismo agnostico dell’Apologia. Dalla giovanile adesione alla critica confutatoria di Socrate, Platone è passato alla rivendicazione dell’autonomia e piena libertà della ricerca filosofica. La stessa critica dell’uomo pubblico (oratore, sofista o mestierante politico) e la connessa condanna del foro giudiziario e dei giudici-padroni sono diventate assai più radicali e senza attenuanti. Ma il punto di maggior distacco sta nel fatto che ora la ricerca filosofica ha un obiettivo preciso: pervenire alla comprensione dell’essere, indagare la natura e l’uomo nella loro essenza costitutiva, scoprire attraverso queste indagini la ragione del tutto. La riflessione filosofica sull’essere, da un lato, la tensione morale verso la massima giustizia, dall’altro lato, danno fondamento a quell’ideale unitario di pensiero e di vita che identifica la sophia, la vera sapienza, per mezzo della quale l’uomo si sente vicino alla divinità, ovvero prossimo al grado più elevato di perfezione. Si comprende soltanto in questa chiave il senso della ricreata atmosfera socratica del Teeteto. Nel momento in cui si sta avvicinando alla sophia, ai più rigorosi criteri del sapere insieme scientifico-dialettico ed etico-politico, Platone rivive in una luce del tutto nuova l’insegnamento del maestro, al quale rivolge un ultimo omaggio, che è, in un certo senso, anche un commiato. Rende questo omaggio-commiato proprio perché è consapevole di essere entrato in un orizzonte di pensiero che ha superato o sta superando lo stallo aporetico del metodo socratico. Di tale nuovo orientamento, il Teeteto è documento significativo, almeno relativamente al pluralismo, insieme epistemologico e ontologico, che affiora sia nell’ abbozzo di teoria dei koina sia nella discussione intorno al tutto-intero e ai prota stoicheia […] (pp. 444-448).

 

Aldo Lo Schiavo, Platone e le misure della sapienza, Bibliopolis, Napoli, 2008.



Quarta di copertina

Nel corso della sua lunga esperienza intellettuale, Platone non ha certo dimenticato la grande lezione socratica. La sua opera, però, è andata ben oltre quella lezione. Se l’obiettivo primario è stato quello di trovare una soluzione positiva del problema morale e politico, egli ha tuttavia allargato progressivamente l’orizzonte della filosofia. Non solo ha indagato come nessun altro prima di lui le vie della ricerca, ma si è interessato in profondità ai temi dell’ordine della natura, della struttura del cosmo, dei principi stessi dell’essere e delle sue determinazioni molteplici. Egli ha inverato in una costruzione molto più avanzata e coerente ipotesi e idee della cultura prefilosofica e filosofica precedente. Al centro di tale costruzione trova posto un’attiva intelligenza ordinatrice, la quale, aldilà di tensioni e contrasti pure esistenti, promuove in ogni aspetto della realtà misure di ordine e di equilibrio che costituiscono la ragione d’essere delle singole cose e del tutto. L’itinerario filosofico di Platone appare contrassegnato da una ricerca, continua e sempre aperta, in fondo alla quale la philosophia riesce quanto meno a intravedere una superiore sophia, un’immanente sapienza ordinatrice operante in ogni sfera del cosmo e dell’esperienza umana.

Aldo Lo Schiavo (n. 1934) è stato ispettore centrale nel Ministero della pubblica istruzione per l’insegnamento della filosofia. È stato redattore capo e poi direttore della rivista «Annali della Pubblica Istruzione». Ha presentato un’interpretazione critica del pensiero gentiliano nel saggio La religione nel pensiero di G. Gentile («La Cultura», 1968, pp. 333-378) e nei due volumi La filosofia politica di G. Gentile (Roma 1971) e Introduzione a Gentile (Roma-Bari 1974, collana «I Filosofi»). Si è poi dedicato allo studio del pensiero greco, ed ha pubblicato a riguardo: Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico (Roma 1979) e Omero filosofo. L‘enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco (Firenze 1983).


Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Aldo Lo Schiavo…














M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Maria Luisa Gatti – Nel presente testo vengono pubblicati diversi saggi di ermeneutica platonica realizzati da autorevoli studiosi del pensiero antico: GABRIELE CORNELLI, PIA DE SIMONE, FRANCO FERRARI, MARIA LUISA GATTI, RICHARD HUNTER, MAURIZIO MIGLIORI, FEDERICO M. PETRUCCI, ROBERTO RADICE, FRANCO TRABATTONI, CHRISTIAN VASSALLO.

Gatti Maria Luisa 01

«[…] Con questo nuovo volume, Interpretare Platone. Saggi sul pensiero antico, apriamo una nuova fase nelle pubblicazioni della Collana,[1] giunta ora alla centoquarantaseiesima uscita, avendo ancora una volta in cantiere libri di grande respiro scientifico, in un orizzonte spiccatamente internazionale.
Nel presente testo vengono pubblicati diversi saggi di ermeneutica platonica realizzati da autorevoli studiosi del pensiero antico, sulla scia del Seminario Internazionale di Filosofia Antica, da me inaugurato nel 2018 e concluso quest’anno, dedicato a Platone a al Platonismo, che ha visto la partecipazione di importanti autori su questi temi. Il volume non costituisce tuttavia gli atti del Seminario, ma intende essere una più ampia e ricca ricostruzione, grazie all’intervento secondo varie prospettive di studiosi di primo piano su queste problematiche.
L’intento è, infatti, quello di mettere a fuoco la tradizione platonica in alcuni punti di grande rilevanza scientifica, riprendendo le interpretazioni degli antichi alla luce dell’apporto di autori contemporanei.
L’interpretare Platone riguarda, infatti, da un lato i pensatori antichi successivi al grande maestro – senza trascurare le rivisitazioni che Platone stesso, a sua volta esegeta, ha dato di suoi predecessori come i Presocratici, avviando a partire da questi ultimi la sua rivoluzionaria revisione dei grandi problemi –, dall’altra i filosofi moderni e contemporanei e gli studiosi che si sono occupati di questa ricchissima corrente di pensiero.
Le riletture degli interpreti che qui intervengono sono di ampio respiro. Non si è cercata un’univocità, ma una polivocità di apporti, che rispecchiano le varie sfaccettature della ricerca attuale sul Platonismo.
Sono già stati fatti significativi bilanci e rassegne degli studi su Platone, sulle dottrine non scritte e sul Platonismo. Quest’opera si colloca in una fase ulteriore, nella varia e approfondita riflessione di autori attenti ai testi e alla letteratura scientifica, amanti di Platone, della tradizione platonica e del pensiero antico. In questo modo vengono offerti al vaglio degli studiosi dei contributi originali e aggiornati.
Il volume è costituito da due Sezioni, dedicate rispettivamente a Platone e al Platonismo.
La prima Parte riguarda specificamente il pensiero di Platone. Vengono qui presentati saggi che analizzano il rapporto fra la matematica pitagorica e la filosofia platonica; la dottrina del Bene, della Giustizia e delle virtù nel Cratilo; Alcibiade come laughter-maker nel Simposio; l’approccio multifocale alla metafisica di Platone; la problematica del Demiurgo platonico dal punto di vista del linguaggio, della cosmologia e dell’allegoresi; la dottrina della partecipazione nel Parmenide; e infine questioni fisiche, gnoseologiche ed escatologiche del Fedone legate al concetto di elpis.
La seconda Parte affronta, nell’ambito del Platonismo, il problema dell’eudaimonia e della conoscenza in Plutarco; il conflitto delle interpretazioni sul Bene e il demiurgo nel Medioplatonismo e la questione della causalità divina in Apuleio […]».

Maria Luisa Gatti, Introduzione a Interpretare Platone. Saggi sul pensiero antico, a cura di Maria Luisa Gatti e Pia De Simone, Vita e pensiero, Milano, 2020, pp. 6-7.

***

[1] La Collana «Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e ricerche» fondata da Giovanni Reale e attualmente diretta da Maria Luisa Gatti e Roberto Radice.


 

INDICE DELLA MATERIA TRATTATA

Introduzione di Maria Luisa Galli

PLATONE

GABRIELE CORNELLI
La seconda navigazione “pitagorica” di Platone.
La matematica pitagorica e il sistema di derivazione platonico

MARlA LUISA GATTI
“Niente di giusto dopo il tramonto del sole”.
Bene, sole, giustizia e virtù nel Cratilo di Platone

RlCHARD HUNTER
Alcibiades the laughter-maker

MAURlZIO MIGLIORI
Un approccio multifocale alla metafisica di Platone

ROBERTO RADICE
Senza il Demiurgo niente sarebbe conoscibile del mondo naturale.
Riflessioni sul concetto di creazione

FRANCO TRABATTONI
La partecipazione nel Parmenide

CHRISTIAN VASSALLO
Paradossi (pre)platonici della speranza nel Fedone: fisica, conoscenza, escatologia

 
IL PLATONISMO

PIA DE SIMONE
“Gli uomini buoni sono amici degli dèi”. Il rapporto tra eudaimonia e conoscenza in Plutarco

FRANCO FERRARI
Il Bene e il demiurgo: identità o gerarchia? Il conflitto delle interpretazioni nel medioplatonismo

FEDERICO M. PETRUCCI
Un dio non artigiano? Apuleio e la divulgazione di una teologia medioplatonica


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Giordano Bruno (1548-1600) – Malamente potranno approvar questa filosofia color che, mercenari ingegni, poco e niente solleciti circa la verità, si contentano saper secondo che comunemente è stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere.

Giordano Bruno 001

Malamente, dico, potranno approvar questa filosofia color che o non hanno buona felicità d’ingegno naturale, o pur non sono esperti, almeno mediocremente, in diverse facultadi, e non son potenti sì fattamente nell’atto reflesso de l’intelletto che sappiano far differenza da quello ch’è fondato su la fede, a ciò che è stabilito su l’evidenza di veri principii; perché tal cosa comunmente s’ha per principio che, ben considerata, si trovarà conclusione impossibile e contra natura. Lascio quelli sordidi e mercenarii ingegni che, poco e niente solleciti circa la verità, si contentano saper secondo che comunemente è stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere. Malamente, dico, potrà eligere tra diverse opinioni e talvolta contradittorie sentenze chi non ha sodo e retto giudizio circa quelle. Difficilmente varrà giudicare chi non è potente a far comparazione tra queste e quelle, l’una e l’altra. A gran pena potrà comparar le diverse insieme chi non capisce la differenza che le distingue. Assai malagevole è comprendere in che differiscano e come siano altre queste da quelle, essendo occolta la sustanza di ciascuna e l’essere. Questo non potrà giamai essere evidente, se non è aperto per le sue cause e principii ne gli quali ha fondamento. Dopo, dunque, che arrete mirato con l’occhio de l’intelletto e considerato col regolato senso gli fondamenti, principii e cause, dove son piantate queste diverse e contrarie filosofie, veduto qual sia la natura, sustanza e proprietà di ciascuna, contrapesato con la lance intellettuale e visto qual differenza sia tra l’une e l’altre, fatta comparazion tra queste e quelle e rettamente giudicato, senza esitar punto farete elezion di consentire al vero.

Giordano Bruno, De l’Infinito, Universo e Mondi, Dialogo quinto, Harmakis Edizioni, 2018.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Costanzo Preve, Luca Grecchi – «Marx e gli antichi Greci. Dialogo sulla progettualità, ovvero su come cambiare il mondo». Introduzione di Giulia Angelini.

Costanzo Preve. Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci

Costanzo Preve  –  Luca Grecchi

Marx e gli antichi Greci

Dialogo sulla progettualità, ovvero su come cambiare il mondo
Introduzione di Giulia Angelini

Seconda Edizione riveduta e ampliata
ISBN 978–88–7588-299-0, 2020, pp. 320, Euro 27

indicepresentazioneautoresintesi

Marx e gli antichi Greci. Dialogo sulla progettualità non si occupa esclusivamente dei legami culturali fra Marx e il pensiero greco. Si occupa soprattutto, come recita il sottotitolo di questa nuova edizione riveduta e ampliata, di progettualità, ovvero di come cambiare il mondo. Il pensiero marxista, fino a oggi, si è quasi sempre limitato ad analizzare la realtà storico-sociale semplicemente per come è. Quasi mai ha cer­cato di dire come essa dovrebbe essere. Per compiere questa operazione progettuale occorre infatti rifarsi principalmente al pensiero greco. Escludere il pensiero greco dalle proprie analisi conduce invece, al più, ad interpretare il mondo, o a criticarlo, non a cercare di trasformarlo per migliorare la condizione umana.


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013

Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.

Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.

Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.

Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez

Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.

Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante

Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione

Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.

Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.

Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica

Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.

Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

Costanzo Preve (1943-2013) – Teniamo la barra del timone diritta in una prospettiva di lunga durata. La “passione durevole” per il comunismo coincide certo con il percorso della nostra vita concreta fatalmente breve, ma essa è anche ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita.

Costanzo Preve (1943-2013) – Telling the truth about capitalism and about communism. The dialectic of limitlessness and the dialectic of corruption. Dire la verità sul capitalismo e sul comunismo. Dialettica dell’ illimitatezza, dialettica della corruzione.

Costanzo Preve (1943-2013) – Su laicismo, verità, relativismo e nichilismo

Costanzo Preve (1943-2013) – Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico.

Costanzo Preve (1943-2013) – Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell’etica comunitaria come eteronomia.

Costanzo Preve (1943-2013) – Cultura non significa solo “alta cultura”, ma significa paideia, cioè educazione globale, accrescimento (e autoaccrescimento) della coscienza umana che dura tutta la vita.

Per non dimenticare Costanzo Preve (1943-2013) – Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo. Non indossate l’abito del «Politically correct». Serve a necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera.


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.

Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Luca Grecchi – Sulla progettualità

Luca Grecchi – Perché la progettualità?

Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.

Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.

Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.

Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri

Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.

Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.

Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini

Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.

Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società

Luca Grecchi – i suoi libri (2002-2019)

Luca Grecchi – L’UMANESIMO GRECO CLASSICO DI SPINOZA. Lo scopo della filosofia non è altro che la verità.

Luca Grecchi – «Uomo» – L’uomo è il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.

Luca Grecchi – Insegnare Aristotele nell’Università

Luca Grecchi – L’etica di Aristotele e l’etica di Democrito: un confronto

Maurizio Migliori, Luca Grecchi – Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli

Luca Grecchi – Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale. Occorre porsi con critica consapevolezza progettuale all’interno della totalità sociale.

Luca Grecchi – «Leggere i Presocratici». La cultura presocratica rappresenta tuttora una miniera in buona parte inesplorata.


Giulia Angelini – Gli uomini si costituiscono in una koinonía solo se c’è un «télos» che soggiace, costituisce e precede la loro unione. non bisogna assolutamente ridurre questo télos alla mera sopravvivenza di un insieme. Senza un télos si può dare solo un raggruppamento casuale di uomini e non già un insieme.

Giulia Angelini – Il nodo dell’èthos. A margine del libro di Claudia Baracchi, «L’architettura dell’umano: Aristotele e l’etica come filosofia prima».


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Diego Lanza (1937-2018) – «Il tiranno e il suo pubblico» è il tentativo di definire la genesi, lo sviluppo e la fortuna di una figura ideologica, che sempre meglio si precisa nella letteratura ateniese tra la metà del V e la metà del IV secolo a.C.

Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico

Diego Lanza

Il tiranno e il suo pubblico

Introduzione di Gherardo Ugolini:
La tirannide come “ideologia” secondo Diego Lanza

ISBN 978–88–7588-303-4, 2020, pp. 400,  Euro 30

indicepresentazioneautoresintesi

La paura del tiranno domina minacciosa la vita della democratica Atene; a dare volto ed espressione al nemico della città, a definirne sempre meglio i caratteri concorrono poeti, storici, oratori, filosofi. Personaggio storico di un recente passato, il tiranno si trasforma nella figura ideologica che finisce con l’assommare in sé ogni forma di devianza dalla norma sociale, che assurge a simbolo del vizio, dell’asocialità, della disumanità. Questo libro non si limita a ripercorrere i momenti della costruzione della figura del tiranno, ma indaga anche le attese sociali che la sua rappresentazione è chiamata a soddisfare. L’esame si estende quindi alla sopravvivenza del mito della tirannide fuori del mondo greco fino ai nostri giorni. Sopravvivenza che, pur nella varietà delle situazioni storiche, rivela il ricorrere di una medesima pratica ideologica: la mistificazione di ogni potere autoritario sotto il segno tutto psicologico del potere individuale, della follia che muove la sete di dominio, di Nerone come di Federico II, di Hitler come di Stalin. Il saggio si sviluppa nel vivace intreccio di diverse esperienze d’indagine, storiche, linguistiche, letterarie, tutte subordinate alla rigorosa definizione dell’organizzazione della cultura (ruolo sociale dei produttori, canali di trasmissione, pubblico) nella città greca.


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.
Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.
Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.
Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.
Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Ivan Illich (1926-2002) – La dipendenza dall’abbondanza castrante, una volta radicata in una cultura, genera la “povertà modernizzata”. Nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto. Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita.

Ivan Illich 005
Salvatore Bravo
Nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto.
Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita

 

 

Accelerazioni e crisi
L’accelerazione del tempo è uno degli aspetti fondanti del capitalismo assoluto. Lo spazio ed il tempo scompaiono sotto i colpi dell’accelerazione. Niente è vissuto con pienezza, ma molto è vissuto in modo epidermico. Non si tocca nessuna profondità, ma ogni realtà è consumata a ritmi sempre più esponenziali fino a ridursi a presenza nominale. Il nichilismo dello spazio e del tempo è l’effetto delle forze che esigono l’accelerazione dei tempi di spostamento come dei tempi di consumo in nome dell’economicismo. Tutto scompare nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto. L’alienazione tecnocratica è assoluta, poiché non è possibile sviluppare il senso dell’appartenenza in nessun luogo, e nello stesso tempo la precarietà frammenta l’io in innumerevoli ruoli, senza unità.
L’accelerazione ha una doppia valenza: controlla riducendo ogni realtà a numero con precisione maniacale, spinge alla produzione veloce a cui corrisponde un ritmo sempre più nichilistico di consumo. Il calcolo di precisione è la grande rete in cui ingabbiare il mondo. Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita. La struttura economica è nel segno della nullificazione, programma ogni esperienza in funzione del risultato immediato senza mediazione dialettica.
La crisi non è, in tale contesto, solo un metodo di governo, è la sua verità: la contemporaneità presa dal vortice della produzione decreta la crisi perenne quale elemento essenziale della struttura economica e culturale: la competizione globale e l’iperproduzione esigono che vengano annichilite culture, lingue e prodotti, posti sullo stesso piano, per produrre nuovi prodotti a cui è annesso un nuovo modello di vita che deve bruciare i precedenti. La modernità è in nome della distruzione, risponde ad un imperativo categorico perverso che prescrive di trasformare ogni ente in mezzo per germinare nuovi mezzi. Il regno dell’estraniazione si solidifica nella disintegrazione continua di forme:

«La crisi intesa come necessità di accelerare non solo mette più potenza a disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più la cintura di sicurezza dei passeggeri; ma giustifica anche la rapina dello spazio, del tempo e delle risorse, a beneficio delle ruote motorizzate e a detrimento delle persone che vorrebbero servirsi delle proprie gambe. Ma “crisi” non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero».[1]

 

Il capitalismo, mentre offre i suoi prodotti ed i suoi modelli, sottrae la possibilità di capire i fini, impedisce ai tempi del pensiero di valutare il presente ed il passato e di orientarsi verso il futuro: l’abbondanza promessa sottrae all’essere umano la sua natura comunitaria e pensante, mentre propone il suo irraggiungibile Eden.

 

Unità di misura
Il paradigma che si cela dietro la crisi e la pone è l’assimilazione di ogni realtà al solo parametro della quantità. Quest’ultima è valutata in termine positivi solo se vi è l’accrescimento, il progresso coincide con la quantità. Ciò che può essere quantificato deve rientrare tra le realtà percepibili-manipolabili, mentre ciò che sfugge al conteggio è inesistente. Le realtà socialmente valutate come positive sono quelle che possono aumentare la loro visibilità e la loro quantificazione. L’invisibile non è valutabile, si struttura l’avversione ideologica alla vita psichica e spirituale, poiché sfuggono al controllo. L’omogeneizzazione degli esseri umani è il mezzo con cui si vuole sterilizzare l’invisibile e il logos per addomesticarli. Gli appelli continui ed ossessivi al corpo – che perennemente deve consumare e godere all’infinito – rientrano in un disegno ideologico organico all’economia ed un preciso disegno riorganizzativo della società in una collettività formicaio del consumo.
La coscienza è una variabile non produttiva in tale sistema, non è visibile e non è mercificabile, è oggetto di “pubblica scomunica”. L’essenziale, ovvero la coscienza, che pone la realtà storica per progettarla secondo finalità etiche e politiche cade nel pozzo della dimenticanza. Al suo posto campeggia la violenza della merce che deve cancellare dallo sguardo con la prassi ogni manifestazione dell’umano. L’antiumanesimo è la cifra del capitalismo:

«L’attuale società industriale organizza la vita in funzione delle merci. Le nostre società ad alta intensità di mercato misurano il progresso materiale dall’aumento di volume e di varietà delle merci prodotte. E sull’esempio di questo settore, noi misuriamo il progresso sociale dal modo in cui è distribuito l’accesso a tali merci. La scienza economica è diventata un’attività propagandistica volta a favorire la supremazia delle grandi industrie produttrici di beni di consumo. Il socialismo è stato svilito a lotta contro la disparità nella distribuzione, e l’economia del benessere ha identificato il bene pubblico con l’abbondanza (l’abbondanza umiliante di cui gode il povero negli ospedali, nelle prigioni e nei manicomi degli Stati Uniti)».[2]

 

Economia della sottrazione
La società dell’abbondanza si connota come una società organizzata per sottrarre autonomia, l’abbondanza cela tra le sua pieghe la dipendenza dalla merce e dagli specialisti. L’abbondanza delle merci sottrae energia creativa, annichilisce la consapevolezza di poter produrre per il bisogno personale beni di prima necessità. Dietro le insidie del comodo approvvigionamento di ogni bene vi è lo scopo di rendere ogni cittadino suddito della distribuzione del mercato, e dunque, incapace di produrre i veri beni di cui quotidianamente necessita. La produzione autonoma di alcuni beni ha un valore economico, ma specialmente formativo e politico, poiché l’autonomia insegna ad essere parte attiva nella produzione consapevole, educa a progettare il proprio tempo liberandolo dalla tirannia del mercato e dai suoi prodotti preconfezionati. La soggettività rafforza il proprio “io” nella scelta, nella produzione concreta e nella collaborazione:

«La dipendenza dall’abbondanza castrante, una volta radicata in una cultura, genera la “povertà modernizzata”. Si tratta d’una forma di disvalore che non può non accompagnarsi alla proliferazione delle merci. Questa disutilità crescente della produzione industriale di massa è sfuggita all’attenzione degli economisti perché non è rilevabile con i loro strumenti di misura, e a quella dei servizi sociali perché non può essere oggetto di “ricerca operativa”. Gli economisti non dispongono di alcun mezzo efficace per comprendere nei loro calcoli la perdita che subisce l’intera società quando resta priva d’un tipo di soddisfazione che non ha un equivalente commerciale; sicché gli economisti si potrebbero oggi definire come i membri di una confraternita aperta soltanto a coloro che, nello svolgimento del lavoro professionale, danno prova d’una ben addestrata cecità sociale nei riguardi del più importante fenomeno di sostituzione che stia avvenendo nei sistemi contemporanei, d’Oriente come d’Occidente: il declino della capacità personale di agire e di fare, che è il prezzo pagato per ogni sovrappiù di abbondanza di prodotti».[3]

 

Non secondaria è la soddisfazione relativa ai gesti relativi alle fase della produzione. Consumare passivamente causa un’emozione fugace, mentre l’essere padroni di ogni fase consolida la gioia di esserci, ci si sente radicati in un’attività liberamente scelta e ciò non può che liberare dalla frustrazione della passività. Nei conteggi degli economisti non rientrano tali variabili, poiché sono organici al mercato, sono la voce che deve confermare le dinamiche in atto senza dare ad esse nessuna prospettiva e critica.

 

Il nuovo clero
Il mercato è sostenuto dal nuovo clero dei professionisti che attualizzano la religione del mercato. Normalizzano i dissenzienti, in particolare, lavorano per la dipendenza dal loro oracolo professionale. Il nuovo suddito del mercato è, così, dipendente dal mercato per la produzione, e dal clero annesso per la soluzione di eventuali disagi esistenziali. Il clero dei professionisti vende le proprie ricette organiche al mercato, ha lo scopo di curare i sintomi lasciando incancrenire la patologia. Personalità fragili ed aggressive divengono la norma della società di mercato: nessuno osa deviare dai dogmi prestabiliti, e ciascuno cerca di essere un clone dell’altro:

«Come un clero assicura la salvezza a chi si mette al seguito del re unto, così una professione interpreta, tutela e garantisce uno speciale interesse terreno ai seguaci dei moderni sovrani. Il potere professionale è una forma specializzata del privilegio di prescrivere ciò che è giusto per i terzi e di cui essi hanno perciò bisogno. È la fonte del prestigio e del controllo nel quadro dello Stato industriale. Ovviamente questo tipo di potere poteva nascere soltanto in società dove la stessa appartenenza all’élite è legittimata, se non acquisita, dalla condizione professionale: una società dove alle élites governanti si attribuisce un’obiettività unica nel suo genere, quella di definire il rango morale di una carenza. Esso è perfettamente congruo con un’epoca nella quale persino l’accesso al parlamento, ossia alla camera della gente comune, è riservato di fatto a coloro che possiedono un titolo di studio adeguato, ottenuto accumulando capitali di sapere in qualche istituto d’istruzione superiore. L’autonomia professionale e la licenza di stabilire i bisogni di una società sono le logiche forme che l’oligarchia assume in una cultura politica dove all’attestato di censo si sono sostituiti i certificati di patrimonio di sapere rilasciati dalle scuole. Il potere che le professioni conferiscono all’opera dei loro membri è dunque distinto sia per portata sia per origine».[4]

 

La dipendenza dai professionisti è rafforzata dalla sacra unzione dei titoli e delle scuole che riproducono l’oligarchia al potere. La scuola diviene non un luogo di libera formazione, ma di riproduzione dell’ideologia imperante. I professionisti divengono figure taumaturgiche, e come tali, indiscutibili, la loro parola è sempre più simile alla parola dell’officiante nella messe, quando parlano, vi dev’essere un religioso silenzio:

«La trasformazione di una professione liberale in professione dominante equivale all’istituzione di una chiesa ufficiale di Stato. I medici tramutati in biocrati, gli insegnanti divenuti gnoseocrati, gli impresari di pompe funebri assurti a tanocrati sono assai più simili a ordini ecclesiastici mantenuti dallo Stato che a corporazioni di mestiere. Il professionista, in quanto maestro che insegna ciò che è conforme all’ortodossia scientifica del momento, rappresenta un teologo. In quanto imprenditore morale, fa la stessa parte del prete: crea il bisogno della propria mediazione. In quanto soccorritore militante, svolge il ruolo del missionario e bracca il diseredato. In quanto inquisitore, mette fuori legge l’eretico: impone la propria soluzione al recalcitrante che non vuole ammettere di essere un problema».[5]

 

Automatismi
Il sistema diviene un corpo meccanico in cui le domande si obliano, esso funziona meccanicamente, si autoriproduce, poiché l’invisibile (la coscienza) è stata tacitata, al suo posto il funzionamento è dato a protocolli e programmi che riducono la vita a poche variabili e ciò favorisce il dogmatismo riproduttivo. Illich, per denunciare l’assurdo di tale modello, riporta l’esempio delle centrali nucleari che accumulano energia finalizzata ad una produzione che ha perso il suo senso. L’antiumanesimo diviene palese in tale cecità teleologica. La critica ad esse si sofferma solo sulla pericolosità ecologica, ma non mette in discussione il sistema, l’accumulo energetico è finalizzato, a prescindere dai mezzi di produzione, all’accrescimento del mercato, vera tragedia della contemporaneità:

«L’opposizione alle centrali nucleari, per esempio, è stata generalmente motivata col pericolo delle radiazioni o col rischio di un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani dei tecnocrati: ma ben di rado, finora, si è osato criticarle per il loro apporto alla già eccessiva quantità di energia disponibile. Misconoscendo il fatto che tale sovrabbondanza di energia è socialmente distruttiva in quanto paralizza l’azione dell’uomo, si continua a reclamare una produzione energetica semplicemente “diversa” anziché, come si dovrebbe, “minore”. Allo stesso modo sono ancora largamente ignorati gli inesorabili limiti alla crescita che sono insiti in qualunque ente erogatore di servizi; eppure dovrebbe essere ormai evidente che l’istituzionalizzazione della cura della salute tende a trasformare le persone in marionette malate e che l’educazione a vita non può che generare una cultura buona per gente programmata. L’ecologia potrà fornire un punto di riferimento nel cammino verso una forma di modernità vivibile solo quando ci si renderà conto che un ambiente modellato dall’uomo in funzione delle merci riduce a tal punto le reattività dell’individuo che le merci stesse perdono qualsiasi valore come mezzo di soddisfazione personale. Senza questa consapevolezza, può accadere che grazie ad una tecnologia industriale più pulita e meno aggressiva si raggiungano livelli di opulenza frustrante oggi inconcepibili».[6]

 

Un nuovo umanesimo
Necessitiamo di un nuovo Umanesimo nel quale l’economia sia al servizio delle comunità e delle persone. Una nuova economia, non crematistica, per la comunità non può che ripartire dalla partecipazione e dall’autonomia di ogni cittadino, senza di esse non si può che affondare nella tragedia dell’abbondanza (non per tutti), pertanto è necessario introdurre nuovi paradigmi di valutazione che possano rendere evidenti le contraddizioni e le miserie non riconosciute del capitalismo globale. Al neopositivismo imperante bisogna opporre l’approccio olistico della cultura per comprendere che ogni aspetto del tessuto sociale ha delle conseguenze che devono essere valutate, pertanto l’economicismo dev’essere valutato nelle sue implicazioni su ogni aspetto della vita del cittadino per capirne i pericoli a cui l’umanità è esposta. La filosofia non può che essere parte fondante del neoumanesimo, in quanto ricostruisce la genetica dei processi riportandoli al fondamento veritativo che rischiara il presente ed il passato e consente di guardare il futuro. Al vedere passivo dell’antiumanesimo capitalistico, il neoumanesimo deve sostituire il guardare dal francone wardōn “stare in guardia”, bisogna custodire e difendere l’umano dai pericoli di una economia asservita al potere. Il guardare è attività, partecipazione, mentre il vedere comporta la semplice riproduzione dell’esistente senza mediazione. Se si smette di porre domande si torna passivamente ad essere omogenei alle contingenze, la filosofia è il gesto che pone a riparo dalla tempesta dell’irrilevanza:

«La coscienza filosofica risulta così una formazione storica che riconosce se stessa nella storia: ogni momento è figlio del passato e padre dell’avvenire, e la sua comprensione storica pertanto significa insieme la sua giustificazione e la coscienza del suo carattere provvisorio e insufficiente. Perciò la storia della filosofia vuol essere insieme una continua opera di giustizia verso il passato e una continua preparazione dell’avvenire per l’impostazione di problemi nuovi». [7]

 

Salvatore Bravo

[1] Ivan Illich, Disoccupazione creativa, Red edizioni, Milano 2013, pag. 19.

[2] Ibidem, pag. 23.

[3] Ibidem, pag. 29.

[4] Ibidem, pp. 48-49.

[5] Ibidem, pp. 52-53.

[6] Ibidem, pp. 67-68.

[7] Rodolfo Mondolfo, Alle origini della filosofia della cultura, Petite Plaisance, Pistoia 2020, pp. 204-205.


Ivan Illich (1926-2002) – Lo studio porti il lettore alla sapienza e non ad accumulare conoscenze al solo scopo di farne sfoggio. Il lettore è uno che si è volontariamente esiliato per concentrare tutta la propria attenzione e il proprio desiderio sulla sapienza.
Ivan Illich (1926-2002) – Eutrapelìa. Due sono le chiavi di questa virtù: il sorriso e la misura. L’austerità non significa isolamento o chiusura in se stessi. L’austerità fa parte di una virtù più fragile, che la supera e la include, ed è la gioia, l’eutrapelìa, l’amicizia.
Ivan Illich (1926-2002) – Lessico unidirezionale: «inclusione» contro «emancipazione». Un tempo il crescere non era un processo economico. Oggi gli stessi genitori sono diventati insegnanti ausiliari responsabili degli input di capitale umano, per usare il gergo degli economisti, grazie ai quali i loro rampolli otterranno la qualifica di “homo oeconomicus”.
Ivan Illich (1926-2002) – Elogio della bicicletta. La democrazia partecipativa richiede una tecnologia a basso consumo energetico, e gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità di una bicicletta.
Ivan Illich (1926-2002) – Come filosofi rivendichiamo il dovere di occuparci del suolo. Ciò era dato per scontato da parte di Platone, Aristotele e Galeno, oggi non non lo è più e proponiamo di organizzare forme di resistenza nei confronti di quegli esperti di ecologia che promuovono il disinteresse per la tradizione storica e la virtù terrestre dell’autolimitazione.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Anne Carson – Il dono intreccia trame comunitarie in un tessuto vivente di valore, è personale e reciproco, e dipende da una relazione che dura nel tempo. Il denaro è invece un’astrazione che viaggia in una sola direzione e in modo impersonale tra individui la cui relazione si esaurisce con il suo trasferimento.

Carson Anne 01
Lo scambio di doni tra Glauco e Diomede. Pelike attico a figure rosse, ca. 420 a.C., proveniente da Gela (Museo Archeologico Regionale)

Prima che esistesse il denaro, molte società complesse fondavano in misura significativa la loro vita economica sui doni e sullo scambio di doni.[1] Gli storici hanno dimostrato come un’ideologia basata sullo scambio aristocratico di doni, che permea i poemi omerici e traspare dai resti archeologici del mondo omerico, abbia contraddistinto la società greca, sia arcaica che classica, dall’ottavo al quarto secolo a.C., coesistendo tenacemente con la diffusione del denaro e dello scambio di merci.[2] Lo scambio di doni fa parte di quella che è chiamata un’«economia incorporata», ossia un sistema socioculturale in cui gli elementi della vita economica sono radicati in istituzioni non economiche, come la parentela, il matrimonio, l’ospitalità, il mecenatismo artistico e l’amicizia rituale. Queste istituzioni si sviluppano in un labirinto di interazioni sociali, religiose e simboliche al cui centro si trova lo scambio di doni.[3]
Marcel Mauss diede inizio a un’analisi dei doni e dell’economia del dono nel suo celebre studio Essai sur le don. Nel saggio Mauss descrive società in cui il donare è un meccanismo di scambio che è nel contempo materiale e morale, e che intreccia trame comunitarie in un tessuto vivente di valore. Mauss cita un proverbio della Nuova Caledonia: «Le nostre feste sono il movimento di un ago che cuce insieme le varie parti dei nostri tetti di canne, facendone un unico tetto, una sola parola».[4]
Mauss rileva come questo «unico tetto» sia completamente intessuto di tre obbligazioni interdipendenti: dare, ricevere, ripagare. Prendendo in considerazione questi tre requisiti, si può comprendere in quali forme la vita morale modellata da tali transazioni differisca da quella di un’economia monetaria.
Un dono ha natura sia economica che spirituale, è personale e reciproco, oltre a dipendere da una relazione che dura nel tempo.
Il denaro è invece un’astrazione che viaggia in una sola direzione e in modo impersonale tra individui la cui relazione si esaurisce con il trasferimento di contanti.
Per usare le parole di Marx, una merce è un oggetto alienabile scambiato tra due soggetti economici che godono di uno stato di reciproca indipendenza, mentre un dono è un oggetto inalienabile che due soggetti reciprocamente dipendenti si scambiano.[5]

Doni e merci rappresentano due diverse concezioni di valore, incarnate in due distinte categorie di relazioni sociali.

[…]

Si prenda in considerazione, per esempio, la modalità di scambio di doni che gli antichi greci chiamavano ξενία, xenia. Associata solitamente alla nozione di ospitalità, alla relazione amichevole tra ospitato e ospitante, e a quella di amicizia ritualizzata, l’istituzione della xenia pervade le interazioni socio-economiche del periodo omerico, arcaico e classico. Gabriel Herman definisce la xenia «un legame di solidarietà che scaturisce durante uno scambio di beni e servizi tra individui provenienti da differenti nuclei sociali».[6] Gli aspetti caratteristici della xenia, vale a dire il suo fondarsi sulla reciprocità e la sua ipotesi di durevolezza, sembrano aver intessuto una trama di alleanze personali che teneva unito il mondo antico.

Nello spirito, la xenia è palesemente non mercantile: i beni non sono quantificati, il profitto non è lo scopo […]. Una profonda sfiducia nei confronti del denaro, dello scambio, del profitto, del commercio e dei commercianti pervade le attitudini socio-economiche dei greci dal tempo di Omero fino ad Aristotele.

 

Anne Carson, Economia dell’imperduto, tr. di P. Ceccagnoli, con uno scritto di A. Anedda, Utopia Editore, Milano, 2020, pp. 26-29.

[1] In relazione all’area greca: M.I. Finley, Emporos, Naukleros and Kapelos, in Classical Philology, 30, 1935, pp. 320-326; C.A. Gregory, Gifts and commodities, Academic Press, Londra 1982; K. Polanyi, Primitive, arcaic and modern economies: essays of Karl Polanyi, Anchor Books, New York 1968; C.G. Starr, The economic and social growth of early Greece, 800-500 b.C., Oxford University Press, New York 1977.

[2] C.A. Gregory, Gifts and commodities, op. cit., pp. 48-50; L. Kurke, The traffic in praise: Pindar and the poetics of social economy, Cornell University Presse, Ithaca 1991, pp. 93-97; L. Kurke, Herodotus and the language of metals, in Helios, 22, 1995, pp. 36-63; C.G. Starr, Athenian coinage, Clarendon Press, Oxford 1970, pp. 58-60; V. Tumer, Dramas, fields, and metaphors: symbolic action in human society, Cornell University Press, Ithaca 1974, p. 14.

[3] M.M. Austin e P. Vidal-Naquet, Economic and social history of ancient Greece: an introduction, University of California Press, Berkeley 1977, p. 12 e pp. 177-178; P. Bourdieu, Outline of a theory of practice, tr. di R. Nice, Cambridge University press, Cambridge 1977, p. l77; L. Kurke, The traffic in praise: Pindar and the poetics of social economy, op. cit., pp. 85-107; K. Polanyi, Primitive, arcaic and modern economies: essays of Karl Polanyi, op. cit., pp. 81-82.

[4] M. Mauss, The gift: forms and functions of exchange in archaic societies, Norton, New York 1967, p. 9.

[5] K. Marx, Das Kapital, 3 v., Verlag von Otto Meisner, Amburgo 1867, v. 1, p. 178.

[6] G. Herman, Ritualized friendship and the Greek city, Cambridge Unuversity Press, Cambridge 1987, p. 10.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mario Vegetti (1937-2018) – Ha mostrato come fosse possibile mantenere un nitido profilo di pensiero, invariante nel suo assetto di fondo, sviluppando al tempo stesso in direzioni diverse le sue potenzialità di ricerca.

Vegetti Mario 017
«Platone ha mostrato come fosse possibile mantenere un nitido profilo di pensiero,
invariante nel suo assetto di fondo,
sviluppando al tempo stesso in direzioni diverse le sue potenzialità di ricerca».

Mario Vegetti, Il potere della verità. Saggi platonici, Carocci, Roma 2018, p. 277.


Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.
Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.
Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).
Mario Vegetti (1937-2018) – Il sognatore che pensa,  il pensatore che sogna nel «Racconto del Saggio del Capitale».
Mario Vegetti (1937-2018) – Mario Vegetti a due anni dalla morte ci lascia alcuni messaggi. Tenere aperto lo spazio dell’incertezza. Resistere al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero. Resistere alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”. Restare fedeli, insomma.
Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo
Mario Vegetti (1937-2018) – È attraverso il linguaggio, e non attraverso i sensi, che la verità si presenta all’anima. La parte essenziale dell’uomo è l’anima. È l’anima del concreto soggetto vivente a giocare un ruolo centrale nella morale socratica.
Mario Vegetti (1937-2018) – La felicità ha bisogno di durata e di costanza ed esige una prassi tenacemente virtuosa.
Mario Vegetti (1937-2018) – Il dominio e la legge. La «Costituzione degli Ateniesi» è un testo violento, sia nel suo apparato teorico sia nel suo atteggiamento di fronte al sociale.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) – Valore è ciò che è conforme alla natura o ciò che è degno di scelta.

Cicerone M.T., valore
«Valore è ciò che è conforme alla natura
o ciò  che è degno di scelta».

 M. T. Cicerone, De finibus bonorum et malorum, III, 6, 20.


Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.) – Forse che la vecchiaia ridusse al silenzio i filosofi nel loro studio? O in tutti la pratica degli studi non durò quanto la vita? Quando i figli citano i giudizio i padri come rimbambiti.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Giovanni Casertano – Ogni singolo uomo è mortale, in suo corpo e sua anima, ma ha la possibilità, nella sua vita mortale, di attingere una forma di immortalità, che consiste precisamente nell’innalzarsi al mondo immortale della conoscenza.

Giovanni Casertano 003
«Ogni singolo uomo è mortale, in suo corpo e sua anima,
ma ha la possibilità, nella sua vita mortale,
di attingere una forma di immortalità,
che consiste precisamente nell’innalzarsi
al mondo immortale della conoscenza».

Giovanni Casertano, In cerca dell’anima nel “Simposio”, in A. Borges de Araújo – G. Cornelli (a cura di), Il “Simposio” di Platone: un banchetto di interpretazioni, Loffredo, Napoli 2012, pp. 64-65


Giovanni Casertano – Venticinque studi sui Preplatonici, veri iniziatori del nostro pensiero scientifico e filosofico.
Giovanni Casertano – La conoscenza, che è il fine più alto che un uomo possa proporsi, non è fine a se stessa, e non è limitata a pochi: ha e deve affermare una valenza etica, ed anche politica, per il concreto miglioramento della vita umana.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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