Marguerite Yourcenar (1903-1987) – Ho sempre avuto fortissimo l’orrore del possesso, l’orrore dell’acquisizione, dell’avidità, della logica per cui la riuscita consiste nell’accumulare denaro.

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Ad occhi aperti

Ad occhi aperti

***

Il vero luogo natio è quello
dove per la prima volta si è posato
uno sguardo consapevole su se stessi:
La mia prima patria sono stati i libri.

Marguerite Yourcenar

***

«Quella che considero una forma di schiavitù è la preoccupazione del poveraccio (che sia pagato centocinquantamila dollari all’anno come dirigente. o diecimila come impiegato, la cosa non cambia) che trema all’idea di lasciare la fabbrica, benché avvelenata dall’inquinamento, o produttrice di oggetti dannosi o stupidamente inutili, perché ha paura di perdere benefici e pensione. Questa è schiavitù, perché quell’uomo non oserà mai protestare, qualunque cosa avvenga. E non potrà neppure protestare per ragioni
impersonali, politiche o sociali : è schiavo di una “situazione”.

Per quello che mi riguarda, di fronte alla scelta fra la sicurezza e la libertà, ho sempre optato nel senso della libertà.

E poi, in fondo, ho sempre avuto fortissimo l’orrore del possesso, l’orrore dell’acquisizione, dell’avidità, della logica per cui la riuscita consiste nell’accumulare denaro.

Durante i primi anni del mio soggiorno negli Stati Uniti – abbiamo sempre i nostri momenti
di ingenuità – dicevo a me stessa : “Ho comunque bisogno di una riserva finanziaria in caso di necessità”. E, con quel po’ di denaro che mi cresceva, ho comperato delle azioni qualunque, così, a casaccio. Poi, un bel giorno, ho visto su un giornale la fotografia di una fabbrica che vomitava torrenti di fumo nero : l’ho incollata sulla mia brava cartella di azioni e ho capito che l’episodio era chiuso, che non ne avrei acquistate mai più.
Noti che, in un modo o nell’altro, non si esce da quella logica perché, anche se si mettono dei soldi in banca su di un semplice libretto di risparmio, la banca dispone del vostro denaro e lo investe in affari ai quali non vorreste affatto partecipare»

Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey, Bompiani, 1988, p. 73

 

Risvolto di copertina

“Quando si varca la soglia di Petite-Plaisance, sotto la veranda da cui pendono spighe di granturco, simbolo locale di prosperità… si ha la sensazione di penetrare direttamente in un luogo dove l’aria è diversa. Lo sguardo di Marguerite Yourcenar si posa sul visitatore, lo valuta, lo giudica, lontano e al tempo stesso gentile, con una vaga sfumatura di ironia. Poi lei, comincia a parlare, con la sicurezza di chi crede in ciò che dice…” Così scrive Matthieu Galey nella presentazione di Ad occhi aperti, il testo in cui nel 1980 ha raccolto una serie di colloqui con la scrittrice. Con interventi brevi e puntuali, spesso ridotti a battute di rilancio, il critico ha dato modo alla Yourcenar di spaziare in tutta libertà tra ricordi personali, sentimenti, questioni letterarie, etiche, universali, e questi dialoghi risultano intensi e lineari come un’opera narrativa.

 


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Jonathan Swift (1667-1745) – La mancanza di virtù morali non può mai essere compensata dalla superiorità di doti intellettuali.

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«Ma la mancanza di virtù morali può così poco essere compensata dalla superiorità di doti intellettuali, che i pubblici impieghi non debbono affidarsi mai in mani altrettanto pericolose quanto quelle di questi immorali intelligenti; almeno, gli errori che una persona buona commette per ignoranza non riescono mai così fatali alla cosa pubblica, come i raggiri dell’uomo corrotto e straordinariamente abile a mettere in opera, moltiplicare e difendere le proprie bricconate».

Jonathan Swift, I viaggi diGulliver, in Opere, Mondadori, 2003, p. 82.

 

 

 


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Marguerite Yourcenar (1903-1987) – Costruire, significa collaborare con la terra. Ricostruire significa collaborare con il tempo.

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«Quasi tutto quel che gli uomini
han detto di meglio
è stato detto in greco».
M. Yourcenar,
Memorie di Adriano, Einaudi, 1981, p. 34

 

«Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre […]. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta di un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura! … […] Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. […]
Ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificatlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti. La nostra vita è breve […]
Cerchiamo di entrare nella morte a occhi aperti…».

 

Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi, 1981, pp. 120-121, 276.

 


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Marcel Proust (1871-1922) – La lettura diventa perniciosa quando, al posto di risvegliarci alla vita dello spirito, tende a sostituirsi ad essa.

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Proust, Il piacere della lettura

«Fintanto che la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi dischiudono al fondo di noi stessi dimore in cui non saremmo stati in grado di penetrare, il ruolo che essa svolge nella nostra vita è salutare. Diventa invece pernicioso quando, al posto di risvegliarci alla vita personale dello spirito, tende a sostituirsi ad essa, quando la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo tramite l’intimo progresso del nostro pensiero e lo slancio del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, depositato nelle pagine dei libri come un miele già distillato da altri, che dobbiamo solo prenderci la briga di attingere sugli scaffali delle biblioteche per poi degustarlo passivamente, in perfetto riposo di corpo e spirito».

 Marcel Proust, Il piacere della lettura, Feltrinelli, 2016, pp. 46-47.

 

Risvolto di copertina
Nel 1906 esce in Francia la traduzione proustiana di Sesamo e gigli di John Ruskin, accompagnata da una prefazione - Sulla lettura - nella quale Proust, prendendo le distanze dalle teorie del critico inglese, rende presente la sua idea di lettura, offrendoci un primo assaggio di quel peculiare stile di scrittura che troverà la sua massima espressione nella Recherche. Queste pagine, tra le più affascinanti che siano state dedicate all'attività di leggere, sono presentate insieme a un articolo, Giornate di lettura, pubblicato su "Le Figaro", dove - a dispetto del titolo - è un altro il magico oggetto in grado di evocare presenze e atmosfere assenti, il telefono, dispositivo all'epoca ancora estremamente raro e d'élite. È un piccolo esempio di scrittura mondana e d'occasione, un divertissement nel quale, tuttavia, traluce la capacità affabulatoria, ironica e ammaliante del primo Proust. Prefazione di Emanuele Trevi.

 

Marcel Proust – La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita

Marcel Proust – «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso»

Marcel Proust (1871-1922) – Il libro essenziale esiste già in ciascuno di noi

Marcel Proust (1871-1922) – Leggere è comunicare

 


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Manuel Rivas – I libri bruciano male. Incerto è, a dire il vero, l’avvenire. Chi sa cosa accadrà? Ma incerto è anche il preterito. Chi sa cosa è accaduto?

Manuel Rivas
Incerto è, a dire il vero, l'avvenire.
Chi sa cosa accadrà?

Ma incerto è anche il preterito.
Chi sa cosa è accaduto?

Antonio Machado, Juan de Mairena

 

 

 

I libri bruciano male


Risvolto di copertina

La Coruña, notte del 18 agosto 1936: sulla darsena del porto e in varie piazze della città ardono grandi pire. Ma non si tratta delle tradizionali fogueiras accese per animare le sagre popolari estive: sono i franchisti che, un mese dopo il golpe, stanno dando fuoco alle principali biblioteche della città per cancellare ogni traccia del passato repubblicano. La Coruña diventa così un modello di sofferenza universale, sottolineando come il controllo sistematico sulla lingua e la cultura non sia stato un semplice corollario della dittatura ma una delle sue prime preoccupazioni. Bruciare i libri significa sì ucciderne le idee, ma anche e soprattutto gli uomini e le storie che le loro pagine racchiudono. Attorno a questo evento, a questo buco nero, ruotano come pianeti le linee narrative e i personaggi in un carosello di voci senza fine: tra i deliri intellettuali del dottor Montevideo e le raccapriccianti esecuzioni di Federico García Lorca e dell’editore corugnese Ánxel Casal, tra gli abusi di potere del giudice Ricardo Samos, spalleggiato dal torvo ispettore Ren, e le mulleres con cousas na cabeza della pittrice e spia repubblicana Chelo Vidal, tra il censore Tomás Dez, simbolo dell’anticultura fascista, e l’affascinante figura di Terranova, viveur amante del bel canto e delle feste paesane aiutato dall’amico e pugile Curtis. Un’atmosfera di terrore e oscurantismo troppo nauseabonda per non far riecheggiare nella nostra memoria le atrocità che in quegli stessi anni il fascismo perpetrava in Italia.


 

«l libri bruciavano male. Quando uno di loro si mosse nella pira più vicina, a Hércules parve che all’improvviso stesse aprendo a ventaglio le fresche spine rossastre di una branchia di merluzzo. Da un altro si staccò un pezzetto incandescente che rotolò come un riccio di mare di neon sui gradini di una scala antincendio. Poi pensò che quella cosa che si agitava inquieta nel mucchio ardente fosse una lepre imprigionata e che un refolo di vento, che ravvivò un po’ la pira, spargesse in scintille il suo mantello bruciato, dal primo all’ultimo pelo. In questo modo, la lepre conservava ancora la sua sagoma nella grafia di fumo e stirava le zampe per avanzare rapida lungo la diagonale vetrata del cielo del viale atlantico.
Le prime pire dei libri erano state innalzate lì, a fianco della Darsena, andando verso il Parrote. Erano posizionate, in un certo senso, nel ventre urbano, dove il mare aveva partorito la città, il primo nido di pescatori, e da allora di erba ne era cresciuta parecchia, persino sui tetti, che somigliavano a cime verdeggianti, in quel luogo che oggi è il punto di confluenza del servizio di trasporto pubblico di lance della baia, dei tram urbani e delle vetture di linea dell’interno. Le altre pire bruciano lì a fianco, nella piazza principale che porta il nome di Maria Pita, l’eroina che durante uno dei molti attacchi dal mare guidò la difesa della città alla testa di un comando di pescivendole […]».

«Tutto questo, le pire di libri, non appartiene alla memoria della città. Sta succedendo adesso. Quindi questo bruciare dei libri non accade in un passato remoto e neppure di nascosto. Non si tratta nemmeno di un incubo immaginario sognato da un apocalittico. Non è un romanzo. Per questo il fuoco va lento, perché deve vincere le resistenze, l’imperizia degli incendiari, la mancanza di abitudine dei libri a bruciare. L’incredulità degli assenti. Si vede benissimo che la città non ha memoria di questo fumo svogliato e renitente che si muove in un’atmosfera estranea. Deve bruciare persino quello che non sta scritto […]. Tutto questo brucerà lentamente, anche il libro dello stemma, che non apparirà più sullo scudo della città. La Repubblica di Platone. Finalmente, era ora!».

«Quello che adesso assume la direzione del rogo sottoscrive con un sorriso l’intenzione della frase del subordinato. I libri come criminali, arrestati, messi al muro. Di spalle alla gente. In fila , pigiati, senza lo spazio per potersi allungare, in un silenzio muto. Quelli lì, comunque, hanno avuto miglior sorte che questo. Passeranno i giorni, i mesi, gli anni, e i libri arrestati spariranno a poco a poco. Una mano distratta. Un artiglio deciso. Libro dopo libro, quel che non è stato bruciato della biblioteca sarà ridotto a brandelli nel Palazzo di Giustizia. E lo stesso accadrà con tutte le altre cose che appartenevano a quell’uomo. Tutto sarà oggetto di spoglio. Le grandi e le piccole proprietà. Persino le cose più minuscole e intime. Non soltanto i libri: hanno estirpato anche gli scaffali di legno intagliato su cui erano appoggiati. Hanno portato via o hanno distrutto le collezioni dell’amante della scienza, del curioso naturalista».

«Le consultazioni erano sporadiche. Non c’era molta selezione nel rogo. I libri erano scaricati a mucchi o lanciati a casaccio dai cassoni dei camion. Quando uno di loro usciva dall’anonimato, come un viso che spunta fuori da una fossa comune, la proclamazione del titolo ad alta voce gli conferiva un ultimo merito, la prova definitiva del fatto che alla fin fine si trattava di un buon titolo, perché quell’ignorante di Parallelepipedo – era stato lui a definirsi così, non senza un certo orgoglio – era lì, a chiedere informazioni al riguardo».

«Capo! Qui ce n’è uno di quel tale, Lorca! Lo gettò con ostentata avversione, cercando di mirare al centro del vulcano. Dalle fiamme fuoriuscì un’eruzione di fumo scuro e scintille incandescenti. Ne prese un’altra manciata. Il capo, intanto, si era avvicinato un’altra volta. Il primo del nuovo mucchio era un libriccino esile. Al centro, l’unica illustrazione, una semplice capasanta.
Sei poesie galeghe, Fe-de-ri-co … Ma che storia è questa, li sfornano per famiglie?
Si voltò verso il capo tendendogli il libro con un’espressione di disgusto.
Samos, mi dica un po’! Questo finocchio scriveva anche in galego?»

 

Manuel Rivas, I libri bruciano male, Feltrinelli, 2009, pp. 47, 49-50, 62, 65, 67.

 

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Darsena di A Coruña, agosto 1936.
Rogo di libri dopo il colpo di stato fascista del 18 luglio.

Rogo libri

Un rogo di 600 libri fu ordinato nel 1490  dall’inquisitore Torquemada.

 

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Rogo di libri alla Festa studentesca della Wartburg il 18 ottobre 1817.


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

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Zibaldone

«Dalla lettura di un pezzo di vera, contemporanea poesia, in versi o in prosa (ma più efficace impressione è quella de’ versi), si può, e forse meglio (anche in questi sì prosaici tempi), dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne: che essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita. Essa ci rinfresca, per così dire; e ci accresce la vitalità. Ma rarissimi sono oggi i pezzi di questa sorta (1. Feb. 1829)».

Giacomo Leopardi, Zibaldone [4450].

«Un sorriso può aggiungere un filo alla trama brevissima della vita» (dall’epistola dedicatoria di Laurence Sterne del suo romanzo Vita e opinioni di Tristam Shandy, 1760-1767).

Vita e opinioni di Tristram Shandy

Vita e opinioni di Tristram Shandy

***

Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.


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Thomas Mann (1875-1955) – Ezra Pound, un interessante esempio di quella profonda scissione dello spirito dinanzi al problema sociale.

Mann versus Pound

Nobiltà dello spirito

«Ai giorni nostri  [1953] osserviamo il caso affascinante per cui una critica della società di segno conservatore o, se si preferisce, reazionario, viene esercitata con gli strumenti della più raffinata perfezione artistica: è il caso dello scrittore Knut Hamsun, da poco scomparso, un aposrata del liberalismo formtosi su Nietzsche e Dostoevskij, pieno d’odio per la civiltà, la vita cittadina, l’industrialismo, l’intellettualismo e via dicendo, appassionatamente anti-inglese e a tal punto germanofilo che, all’avvento di Hitler, si votò al nazionalsocialismo con un attivismo e un entusiasmo che lo portarono a tradire la propria patria. Nessun vero conoscitore della sua opera – che è l’opera di un grande poeta – dovette stupirsi troppo di questo itinerario spirituale e di questo personale destino. Bastava solo ricordare con quanto spirito, con quanta mordace arguzia, già nei suoi primissimi libri egli avesse schernito alcuni grandi del liberalismo come Victor Hugo o Gladstone. Ma ciò che nel 1895 era stata un’interessante posizione estetica all’insegna del paradosso e della bella letteratura, nel 1933 divenne una passione politica acuta, che oscurò pesantemente e dolorosamente una fama poetica mondiale.
Affine al caso di Hamsun è quello di Ezra Pound, un altro interessante esempio di quella profonda scissione dello spirito dinanzi al problema sociale. Un artista ardimentoso,
un avanguardista della lirica, anch’egli si gettò nelle braccia del fascismo, contribul a diffonderlo durante la Seconda guerra mondiale in veste di attivista politico e perse la partita grazie alla vittoria militare della democrazia. Pur essendo stato condannato e imprigionato come traditore, una giuria di eminenti scrittori angloamericani gli assegnò un importante riconoscilmento letterario, il Premio Bollinger, testimoniando in tal modo un elevato grado di indipendenza del giudizio estetico dalla politica. Ma siamo poi tanto sicuri che la politica sia rimasta estranea a quel giudizio, come parve aliora? Certo non sono l’unico che ambirebbe sapere se l’eminente giuria avrebbe assegnato il Premio Bollinger a Ezra Pound anche nel caso in cui, per avventura, anziché fascista fosse stato comunista»

 

Thomas Mann, L’artista e la società (Der Künstler und die Gesellschaft), in Id., Nobiltà dello spirito e altri saggi, Mondadori, 2015, pp. 1623-1624. Pubblicaro per la prima volta nel 1953 dall ‘editore Frick di Vienna nella collana delle pubblicazioni dell’UNESCO. Accolto, in forma abbreviata, in AuN, poi in GWA 11, GW X, E 6. Traduzione di A. Landolfi.

Poco più di tre mesi dopo aver concluso questo saggio Mann lascerà definitivamente gli Stati Uniti, in aperta polemica con la politica persecutoria scatenatasi in quel periodo contro i sospetti di «comunismo».


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Marie-Henri Beyle, Stendhal (1783-1842) – Le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto.

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La Certosa di Parma

«È esatto dire che, in mezzo ai bassi interessi del denaro e alla scolorita freddezza dei pensieri volgari che riempiono la nostra vita, le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto, quasi che una divinità propizia si desse premura di condurle per mano».

Marie-Henri Beyle (Stendhal), La Certosa di Parma (Libro Secondo – Capitolo XXII), Garzanti, 2012

.

Immagine in evidenza:
Uno scritto di Stendhal (Prima regola: Essere se stessi)
su un libro conservato presso la Bibliothèque Sainte-Geneviève a Parigi.


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.

Leopardi e la felicità

Leopardi, Tutte le opere

«La natura è vita. Ella è esistenza. Ella stessa ama la vita, e procura in tutti modi la vita, e tende in ogni sua operazione alla vita. Perciocch’ella esiste e vive. Se la natura fosse morte, ella non sarebbe. Esser morte sono termini contraddittori. S’ella tendesse in alcun modo alla morte, se in alcun modo la procurasse, ella tenderebbe e procurerebbe contro se stessa … (La felicità non è che la perfezione, il compimento e il proprio stato della vita, secondo la sua diversa proprietà ne’ diversi generi di cose esistenti. Ouindi ell’è in certo modo la vita e l’esistenza stessa, siccome l’infelicità in certo modo è lo stesso che la morte, o non vita, perché vita non secondo il suo essere, e vita imperfetta
eco Quindi la natura che è vita è anche felicità)».

«[…] ciascun essere, amando la vita, ama se stesso: pertanto non può non amarla, e non amarla quanto si possa il più. L’essere esistente non può amare la morte (in quanto la morte abbia rispetto a lui) veramente parlando, non può tendervi, non può procurarla, non può non odiarla il più ch’ei possa, in veron istante dell’esser suo [ … ] Sicché l’uomo, l’animale ec. ama le sensazioni vive ec. ec. e vi prova piacere, perch’egli ama se stesso».

«All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà con gli orecchi un suono d’una campana; e neltempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. […] Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione»

Giacomo Leopardi, Zibaldone, in Id., Tutte le opere, Sansoni, Milano, 1969, vol. II, pp. 956-957, 957, 1196

 


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Peter Bichsel (1935) – Ogni vita produce una storia se si è capaci di raccontarla. Progettiamo dunque una società narrante.

lettore+narrare

«Raccontare storie significa occuparsi del tempo, e esperire la nostra vita come tempo ha a che vedere col fatto che la nostra vita ha un termine, e che la vita dei nostri amici ne ha pure uno.
L’angoscia di fronte a questo dover finire può naturalmente essere tenuta a bada. […] Ciò che però non scompare è la tristezza per questa finitudine. La tristezza non la si può vincere, può soltanto essere rifiutata o accettata.
Il raccontare storie ha qualcosa a che fare con il fatto di accettarla. La tendenza degli uomini alla tristezza li fa diventare narratori di storie. Senza alcuna comprensione del tempo non ci sarebbe nessuna storia. Chi non ha alcuna inclinazione alla tristezza è perduto per la letteratura […].
Non so che aspetto avrebbe una società pacifica, senza aggressioni e senza competizioni […]. Di una cosa però sono convinto: sarebbe una società narrante e non storicizzante. Gli abitanti di Bali, pacifici, non aggressivi ed entusiasti di raccontare, hanno rafforzato questa mia convinzione.
Ogni vita produce una storia se si è capaci di raccontarla […].
Continuare a scrivere ha senso perché continuando a scrivere diventa possibile narrare altre vite».

Peter Bichsel, Il lettore, il narrare, traduzione a.c. di Giorgio Messori, Ælia Lælia, Reggio Emilia, 1985. Titolo originale: Der Leser, das Erzählen. Frankfurter Poetik-Vorlesungen, 1982.

 

 


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