Curzio Malaparte (1898-1957) – L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità; l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore è uno spettacolo ripugnante.

Malaparte

Battibecco

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«Vi sono due modi di amare il proprio paese: quello di dir la verità apertamente, senza paura; sui mali, sulle miserie, sulle vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie e vergogne, anzi esaltandole come virtù nazionali. Tra i due modi, preferisco il primo. Non solo perché a me sembra il giusto, ma perché la peggior forma di amor patrio è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a nulla servono, neppure a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali.
L’Italia in cui credo, in cui ho sempre creduto, per la quale ho combattuto in trincea, ho versato il mio sangue, ho sofferto la prigione e il confino, l’Italia per la quale son pronto, così oggi come ieri e come domani, a lottare e a soffrire, è la patria ideale dell’onore, della libertà, della giustizia, la patria di tutti coloro che hanno sofferto e soffrono per la verità, di tutti coloro che hanno dato la vita per combattere la menzogna: è l’Italia degli uomini semplici, onesti, buoni, generosi, chiusi da secoli in quella «prigione gratis» della miseria e della delusione,  […] dei privilegi di classe e della corruzione amministrativa».

Curzio Malaparte, Due anni di battibecco. 1953-55, Milano, Garzanti, 1955, pp. 18-20.


Kaputt

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«Ora che Hitler è morto già da alcuni anni, che il Nazismo è crollato, sarebbe cosa inutile, oziosa e stupida riparlar del Nazismo, se il Nazismo non mostrasse per molti segni non solo d’essere ancora vivo, ma di prepararsi a recitare, sotto altro nome e sotto altre bandiere, la stessa odiosa parte che ha recitato quando Hitler era ancora vivo. Non voglio essere profeta. E non si tratta qui di far profezie. Ma di veder chiaramente nel vostro avvenire. E poiché voi non avete il coraggio di dire la verità ai Tedeschi, perché avete paura del risorgimento del Nazismo, lasciate che sia un intellettuale a dir ciò che voi non osate dire».

Curzio Malaparte, Appendice ai Kaputt, ed. econ., Firenze, Vallecchi, 1966, pp. 411-12.


La pelle

«Non so quale sia piu difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro La pelle, e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o hanno preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza.
In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell’umiliazione, ma perché l’uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell’umiliazione. L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità; l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, l’uomo seduto sul Campidoglio, per usare una immagine classica, è uno spettacolo ripugnante.
Non mi piace discutere con gente che non s’intende di quel che ragiona, o non sa ragionare, o di continuo travisa i fatti e i concetti. Né con gente che ingiuria, e dice cose in malafede, sol per aver l’aspetto della ragione, non la sostanza».

Curzio Malaparte, Appendice a La pelle, ed. econ., Milano, Garzanti, 1967, pp. 329-30.


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