«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vengono con dei cannoni a conquistare un territorio, imperialismo è più spesso ciò che si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di comandare tutta l’umanità.
Thomas Sankara
Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l’avvenire.
Thomas Sankara
Salvatore Bravo
Il Che Guevara africano
Thomas Isidore Noël Sankara (Yako, 21 dicembre 1949 – Ouagadougou, 15 ottobre 1987) è stato Presidente del Burkina Faso dal 1983 al 1987, anno in cui fu assassinato durante un colpo di Stato sostenuto dalla Francia e dagli Stati Uniti. Sankara affermava che le idee non muoiono, che si possono ammazzare coloro che le professano, ma le idee sopravvivono. Sankara non è stato un santo, ma è stato comunque un martire, perché in nome del popolo e delle idee ha sacrificato la sua vita, ha lasciato una traccia su cui abbiamo il dovere di pensare e costruire un modello altro rispetto all’attuale. Aveva ben chiaro che la politica deve gestire l’economia, e che senza tale dialettica non si hanno che oligarchie che dominano e riducono repubbliche e democrazie a pura attività procedurale. Il suo discorso sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana del 29 luglio 1987 ci parla ancora, perché esplicita una verità che vale per i paesi africani, ma anche per i paesi occidentali. Il colonialismo non è terminato, ma ha cambiato forma, anzi è diventato più subdolo. Per dominare uno Stato non necessariamente si devono utilizzare i cingolati: uno Stato può essere dominato con i prestiti. Questi ultimi sono il mezzo con cui la finanza controlla l’economia e la politica, interviene in esse, ne determina le finalità. I nemici dell’Africa non sono i precari diffusi in ogni nazione, ma le oligarchie globali che cannibalizzano i popoli con prestiti che determinano forme di dipendenza e ingerenza distruttive:
Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo.Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei «finanziatori». Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri [gioco di parole in francese sbadigliatore/finanziatore, bâillement/bailleurs de fonds]. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri.[1]
L’internazionale delle patrie può essere un argine a tale strategia di dominio neocoloniale. Non a caso Sankara cambiò il nome al proprio Stato appena insediatosi, da Alto Volta Burkina Faso, il primo era un nome dato dai colonialisti francesi, in cui il popolo non poteva identificarsi, il secondo è un nome che fa riferimento alla storia e alle tradizione del suo Stato.
Autonomia Il Burkina Faso (Paese degli uomini integri) è un progetto di riconquista della sovranità popolare, in modo che il popolo sia agente attivo del suo sviluppo e non certo “plebe” che vive degli aiuti alimentari internazionali. Non praticò l’autarchia, ma l’autonomia dello Stato dalla dipendenza alimentare e delle merci. Tutto ciò che poteva essere prodotto in Burkina Faso andava favorito, in modo da consolidare lo Stato e formare una diffusa classe media. Cercò di fermare la desertificazione piantando 10 mln di alberi. La politica patria doveva rispondere alle esigenze della popolazione, senza contrapporsi agli altri popoli. Tale transizione verso un’effettiva indipendenza fu sostenuta con un processo di alfabetizzazione, circa il 70% della popolazione fu alfabetizzata durante i pochi anni della sua presidenza. Il popolo doveva diventare consapevole che la crisi è un mezzo per passivizzare il popolo, chiuderlo in uno stato di minorità permanente. La crisi economica dev’essere compresa nel suo significato politico, essa non è un evento fatale o naturale, essa è causata dalle oligarchie, pertanto comprenderla significa porre le condizioni per defatalizzare il destino degli Stati:
Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.[2]
Si esce dalla crisi con l’autonomia della patria, che pone le condizioni per i diritti sociali e l’emancipazione. Il popolo è un’unità complessa, per cui tutti i suoi componenti devono partecipare alla vita politica. Lottò contro le discriminazioni, e per la pari dignità delle donne. Non volle pagare i debiti dello Stato per liberarsi dalla dipendenza economica che assoggetta i popoli, e consente alle logiche gerarchiche di perpetuarsi. Il ciclo debito-pagamento è funzionale a lasciare gli equilibri del potere stabili, e a neutralizzare la consapevolezza dei popoli. La dipendenza sviluppa nei popoli uno stato di prostrazione psicologica di cui i poteri approfittano per dominarli perennemente, per cui cancellare i debiti indotti da politiche neocoloniali e oligarchiche è il primo passo per rendere autonomi uno Stato e ridare dignità ai popoli:
Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.[3]
Armi e plebeizzazione dei popoli La vendita delle armi da parte di paesi democratici e non è uno dei mezzi più efficaci per dominare i popoli, in particolare i popoli africani, con le armi si sostiene l’odio tribale, con le armi la violenza diventa la normalità che inibisce la crescita economica e civile. Un popolo che ha paura non è mai libero, le armi diffondono insicurezza, inducono ad invocare i governi “forti” per difendere la vita. Le armi non sono semplici merci, ma un mezzo per soggiogare i popoli africani con le divisioni e le guerre intestine sostenute dalle multinazionali delle armi:
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. È contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano .Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i macete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. È il solo modo di vivere liberi e degni. La ringrazio Signor presidente. Patria o morte, vinceremo![4]
Quando Thomas Sankara fu ucciso possedeva solo una casa col mutuo ancora da pagare e il suo conto in banca era appena attivo. Nei pochi anni della sua presidenza ha ottenuto risultati sorprendenti:
Vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e febbre tifoide. L’Unicef stesso si complimentò con il governo.
Creati Posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese.
Aumentato il tasso di alfabetizzazione.
Realizzati 258 bacini d’acqua.
Scavati 1.000 pozzi e avviate 302 trivellazioni.
Stoccati 4 milioni di metri cubi contro 8,7 milioni di metri cubi di volume d’acqua.
Realizzate 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3.000 alloggi.
Creati l’Unione delle donne del Burkina (UFB), l’Unione nazionale degli anziani del Burkina (UNAB), l’Unione dei contadini del Burkina (UPB) e ovviamente i Comitati di difesa della rivoluzione (CDR), che seppur inizialmente registrarono alcuni casi di insurrezione divennero ben presto la colonna portante della vita sociale.
Avviati programmi di trasporto pubblico (autobus).
Combattuti il taglio abusivo degli alberi, gli incendi del sottobosco e la divagazione degli animali.
Costruiti campi sportivi in quasi tutti i 7.000 villaggi del Burkina Faso.
Soppressa la Capitazione e abbassate le tasse scolastiche da 10.000 a 4.000 franchi per la scuola primaria e da 85.000 a 45.000 per quella secondaria.
Create unità e infrastrutture di trasformazione, stoccaggio e smaltimento di prodotti con una costruzione all’aeroporto per impostare un sistema di vasi comunicanti attraverso l’utilizzo di parte di residui agricoli per l’alimentazione.[5]
L’impossibile è possibile.
Coloro che invocano come unica soluzione per gli Stati africani l’emigrazione – che dissangua l’Africa delle sue energie migliori per compensare la denatalità dell’Occidente e favorire la precarizzazione generalizzata –, lavorano comunque per le oligarchie, talvolta con le migliori intenzioni, altre in modo palesemente complice.
Salvatore Bravo
***
[1] Discorso di Sankara sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana del 29 luglio 1987.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Licika, solicello! Oggi è l’1 febbraio. E da un mese che ho deciso di cominciare a scrivere questa lettera. Sono traseorsi 35 giorni. Per lo meno 500 ore d’ininterrotta meditazione! Scrivo perché non sono più nella condizione di pensare a queste cose (mi si confonde la testa, se non parlo), perché penso: «Tutto è chiaro», tanto adesso (relativamente, s’intende) che in passato; perché ho semplicemente paura di provare troppa gioia al momento del nostro incontro e che tu possa ricevere, o più precisamente che io ti possa affibbiare il mio solito stracciume di sempre condito con un po’ di gioia e d’arguzia. Scrivo questa lettera con estrema serietà. La scriverò soltanto di mattina, quando la mente è fresca e non sono ancora comparse le mie stanchezze, le mie cattiverie e irritazioni serali. In ogni caso lascerò dei margini, di modo che, se mi viene in mente qualcos’altro, mi sia possibile annotarlo. In questa lettera farò ogni sforzo per sfuggire a qualsiasi «emozione» o «condizione». Questa lettera parlerà soltanto di quello che avrò verificato con sicurezza, di ciò che ho pensato in questi mesi, parlerà solo di fatti (1 febbraio). […] Tu dovrai assolutamente leggere questa lettera, e pensare a me per un attimo almeno. Io sono così infinitamente lieto che tu esista, di tutto quelle che è tuo, anche se non è in diretta relazione con me, che non voglio credere che non t’importi nulla di me. […] La mia decisione di non recar danno alla tua esistenza con nulla, nemmeno con un soffio, è sostanziale. […] E adesso parliamo di quello che ho creato:
Ti amo? (5/II 23)
Io ti amo, ti amo nonostante tutto e grazie a tutto, ti ho amato, ti amo e ti amerò, sia tu dura con me o gentile, mia o di un altro. Comunque ti amero. Amen. […] Di nuovo parliamo del mio amore. Della famigerata attività. Per me nell’amore si esaurisce forse tutto? Tutto, solo in un altro modo. L’amore è la vita, è la cosa principale. Dall’amore si dispiegano i versi, e le azioni, e tutto il resto. L’amore è il cuore di tutte le cose. Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se funziona, non può non manifestarsi in ogni cosa. Senza di te (non senza di te «nella lontananza», interiormente senza di te) io cesso di agire. È stato sempre così, lo è anche adesso. […].
Vladimir V. Majakovskij, Lettera a Lili Brik del 1-27 febbraio 1923, in V.V. Majakovskij – L. Lu. Brik, L’amore è il cuore di tutte le cose. Lettere 1915-1930, a cura di Bengt Jangfeldt. Trad. di Serena Prima, Mondadori, Milano 1985, pp. 159-167.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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Prezioso recupero, nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita, Lato di ponente raccoglie pensieri e riflessioni di Margherita Guidacci, quasi tutti inediti fino ad oggi. Un libro difficile da definire per la stessa autrice, con il ritmo della poesia e la concretezza della prosa, intessuto di citazioni che sono per lei voci dialoganti: Qohélet, Agostino, Pascal, Donne, Dickinson, Leopardi, Rilke, Kafka, Valéry, Eliot. Una miniera nascosta, un diario-taccuino di lavoro in cui sono registrati i segni di una profonda crisi. La scrittura resta comunque limpida e ferma, e, come sempre nei libri della Guidacci, ha il dono grande della semplicità sia che si rapprenda in una forma essenziale da frammento presocratico (o da quartetto eliotiano), sia che si distenda in composizioni di più ampio respiro meditativo. Assemblato di fretta – presentendo ormai vicina la fine del proprio viaggio umano – senza il consueto lavoro di revisione e montaggio dei testi, Lato di ponente rivela una evidente natura composita, che viene ad attenuarsi però sul piano tematico, nella costante ripresa e indagine di alcuni motivi-chiave (primo, tra tutti, il tema del tempo) che legano i pensieri in una totalità profondamente coerente, aprendo nuove, interessanti prospettive d’indagine anche sulla sua opera poetica.
Ti si rompe lo specchio e dell’universo che conteneva non rimane che una macchia nera, frastagliata sul muro. M. Guidacci
Il primo atto di coraggio che si può chiedere a se stessi è di vedere onestamente, fino in fondo, senza chiudere gli occhi, fino a qual punto si ha paura. M. Guidacci
… il problema di ritrovarsi è più profondo e infinitamente più generale di quello (analogo) che si presenta nella relatività fisica. P. Valéry
«Nel vano d’una finestra», dentro una stanza silente, immagino Margherita che in un labirinto d’angoscia cerca di ritrovare i tratti del suo volto riflessi nell’opacità di un vetro. Se fra tutti i suoi libri dovessi sceglierne uno, forse sceglierei proprio questo, il libro-fantasma con lucida pena tenuto dentro per tutta la vita. Una miniera nascosta, vibrante di umana inquietudine, un diario-taccuino di lavoro in cui è registrato di tutto: intuizioni, smarrimenti, lacerti poetici, sogni, meditazioni, severe autoanalisi e disarmanti confessioni. «Certamente un libro del nadir», difficile da definire anche per l’autrice, che introduce e conduce a quella che Margherita Pieracci Harwell chiama la «trilogia dell’amarezza»:2Un cammino incerto (1970), Neurosuite (1970) e Terra senza orologi (1973).
Con il ritmo della poesia e la concretezza della prosa, Lato di ponente è anche un libro filosofico, intessuto di citazioni che sono per lei voci dialoganti; continua a leggere ….
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L’opera poetica di Silvio Raffo è la testimonianza forse più evidente della sopravvivenza, anzi della necessità, della musa lirica nel panorama contemporaneo, così lontano dalla melodia e dal verso “alato”, quello della Parola che luzianamente “vola alta” ed è in grado di “reveillér le coeur”. Per otto secoli, grazie all’endecasillabo e al settenario, la poesia ha svolto questa duplice funzione: illuminare e “commuovere” attraverso la parola musicale. Si può essere grati a Silvio Raffo per la sua capacità di adattare rime e metri classici alla modernità di un lessico attuale e alle tematiche dell’introspezione e della disappartenenza al reale, che costituiscono le novità più interessanti della produzione letteraria novecentesca. Il suo è un canzoniere pervaso di tenerezza, di grazia e “arcangelica” saggezza, ma anche di finissima e quasi impietosa ironia. “Livre de chevet” per gli intenditori ma anche per chiunque voglia accostarsi ad un’autentica, inattuale, poesia.
Indice
da I giorni delle cose mute (1967)
L’ho ribevuta in sogno Vorrei che questa notte ed altre notti Le lacrime d’amore
da Invano un segno (1975)
… Dunque sarà tutta una vita agli argini Alla stazione di Formia una mattina Congedi Underground lunar sight
da Stanchezza di Mnemosyne (1983)
Ebbra di soli e piogge la memoria Alla Musa La fune L’angelo eremita L’attore Le sere veneziane
da Immagini di Eros (1984)
Dedica prima Eros-Anghelos Eros-Narcissus Dedica finale
da Lampi della visione (1988)
Smarrito ogni senso del tempo Ekstasis Trame Da tempo ho in mente un luogo Confidenze Per troppa vastità Rendez vous Post scriptum da Altrove
da L’equilibrio terrestre (1991)
Il rito Notti di Grecia L’equilibrio terrestre Ritratto dell’artista da morto
da Vocative (2000)
Ahi fanciulli fanciulli mie chimere O miei timidi alfieri Venezia Lido
da Maternale (2007)
Non è morboso errore Ora possiamo andare
da Al fantastico abisso (2011)
La visionnaire I. Pioveva a brevi scrosci sulla Baia II. L’oblio che mi diluvia dalla Baia III. Sto cercando la splendida parola IV. Io sono il Trapassato della Baia Che cos’è la paura?
da La vita irreale (2015)
Oh no non è qui la mia vita Congratulations La vita è un’irreale pantomima
da Veglia d’autunno (2016)
Puro olvido L’autunno della vita
da Corpo segreto (2017)
As If L’alba della partenza Alien Avessi un grande amore da rimpiangere Il Karma dell’attesa A qualsivoglia amplesso Espediente Le Dauphine sage La débacle prochaine Il destino dei poeti Ai lost boys L’image l’anchorage La mer, la mère Spina e rosa The swinging boy
da La ferita celeste (2019)
Nel ricamo della mia vita L’errore di Dio Il passato eventuale Congedo
Silvio Raffo
Nato a Roma, vive a Varese, dove dirige il Centro di cultura creativa “La Piccola Fenice”, attivo dal 1986. Traduttore, poeta e narratore, ha collaborato con radio, televisioni svizzere e italiane, e giornali, fra cui il mensile «Poesia». Nel 1997 è stato finalista al Premio Strega con il romanzo La voce della pietra (il Saggiatore, 1996) dal quale è tratto il film Voice from the Stone, con Emilia Clarke e Marton Csokas, regia di Eric D. Howell. È considerato fra i massimi esperti della poetessa statunitense Emily Dickinson in Italia. Esordisce giovanissimo come poeta con I giorni delle cose mute(Kursaal, 1967). Agli stessi anni risale l’amicizia con figure di primo piano nel panorama letterario italiano, quali Natalia Ginzburg, Maria Luisa Spaziani e Daria Menicanti, oltre a Margherita Guidacci e Paola Faccioli. L’attività poetica prosegue negli anni Ottanta con la pubblicazione delle raccolte Lampi della Visione (Crocetti, 1988) e L’equilibrio terrestre (Crocetti, 1991), fino ai più recenti Maternale (Nuova Editrice Magenta, 2007) e Al fantastico abisso (Nomos, 2011). Sempre agli anni Ottanta risale l’approdo alla traduzione, con la pubblicazione di un’antologia di Emily Dickinson (Fogola, 1986). La traduzione di Emily Dickinson prosegue con due raccolte uscite presso l’editore milanese Crocetti (1988, 1993) e confluisce nelle 1174 poesie tradotte per il Meridiano Arnoldo Mondadori Editore dedicato alla poetessa statunitense (Milano, 1997). Lo studio della Dickinson porta anche alla pubblicazione di un saggio (La sposa del terrore) e una biografia (Io sono nessuno, Le Lettere, 2011). Ad oggi è forse il più prolifico traduttore e studioso di poetesse anglo-americane, fra cui, oltre alla Dickinson, Emily Brontë, Charlotte Brontë, Anne Brontë, Christina Rossetti, Edna St. Vincent Millay, Dorothy Parker, Sara Teasdale, Wendy Cope. Per Arnoldo Mondadori Editore ha riportato alle stampe, dopo anni di silenzio, le poesie di Ada Negri (Arnoldo Mondadori Editore, 2002), e Sibilla Aleramo (Arnoldo Mondadori Editore, 2004). Nel 2012 ha curato la prima riedizione delle poesie e delle lettere della poetessa torinese Amalia Guglielminetti, a lungo dimenticate. Nel 2013 ha curato, insieme ad Alessandra Cenni, per l’editore Bietti, la più completa edizione dell’opera della poetessa milanese Antonia Pozzi, Lieve offerta. Nel 2008, insieme a Linda Terziroli, ha ideato e organizzato il Premio Guido Morselliche ogni anno organizza, oltre al premio letterario, giornate di studio dedicate all’autore di Dissipatio H.G. fra Italia e Svizzera. Ha insegnato fino al 2014 lettere classiche al Liceo Classico Ernesto Cairoli di Varese.
Attualmente è docente di Traduzione Letteraria all’Università dell’insubria di Varese.
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Silvio Raffo…
Prima in Galleria,
poi, più sotto,
ogni singolo volume …
Galleria
i singoli volumi …
Da più remote stanze, prefazione di Daria Menicanti, Hellas, 1984
Immagini di Eros, Forum Quinta Generazione, 1984
Emily Dickinson, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Fogola editore, I ed. numerata, 1986
Emily Dickinson, Geometrie dell’estasi, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 1988
Lampi della visione, Crocetti Editore, 1988
Il lago delle sfingi, Marna, 1990
Donna, mistero senza fine bello, Newton Compton, Roma 1994
È questa un’antologia della poesia femminile europea dalle sue origini fino alle soglie del Novecento. Dalle mitiche plaghe della lirica greca che costituisce come un universo a sé stante, alle prime sparute voci di donna che nel Medioevo non possono ancora rivendicare un’identità letterariamente definita, all’affermazione delle poetesse cortigiane del Cinquecento fino agli splendidi esempi della letteratura ottocentesca, la poesia “femminile” – non sempre o non necessariamente “femminile” – esprime in linguaggi di volta in volta diversi un modo di sentire e vivere la realtà inconfondibilmente autentico e intensamente lirico.
L’equilibrio terrestre, Crocetti Editore, 1991
Vocative, LietoColle, 1996
Virginio. Le prodigiose avventure di un bambinaio androgino, il Saggiatore, 1997
Emily Dickinson, Le più belle poesie, Crocetti Editore, II ed., 1997
Emily Dickinson, Tutte le poesie, a cura di S. Raffo, M. Bagicalupo, N, Campana, M. Guidacci, I Meridiani Mondadori, 1997
Oscar Wilde, Tutti i racconti, a cura di M. D’Amico, L. Chiavarelli, S. Raffo, Newton Comton, 1977
Gli Specchi della Luna. Un secolo di Poesia al femminile, Edizioni Tettamanti, 1999
Spiaggia paradiso. L’esperimento del doktor Traum, Marna, 2001
Christina Rossetti, Nostalgia del cielo, a cura di Silvio Raffo, Le Lettere, 2001
Edna St. Vincent Millay, L’amore non è cieco, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 2001
Ada Negri, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2002
Dorothy Parker, Tanto vale vivere, a cura di S. Raffo e C. Libero, La Tartaruga, 2002
Anne, Emily, Charlotte Bronte, Poesie, a cura si Silvio Raffo, Mondadori, 2004
Sibilla Aleramo, Tutte le poesie, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2004
Il canto silenzioso, Marna, 2005
Platone, L’anima, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2006
Seneca, La serenità, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2006
Marco Aurelio, La libertà interiore, a cura di Silvio Raffo, Mondadori, 2007
Maternale, NEM, 2007
Questo lavoro poetico di Silvio Raffo traduce e avvalora il senso di ogni vita umana: quello più profondo e naturale, radicato nel legame tra madre e figlio. Quando è il poeta a dichiararlo attraverso le forme più classiche della poesia stessa, il senso dato alle parole raggiunge vette supreme. “Materenale” o il Maternum, Maternage, o ancora Mothering, riallaccia in lingue diverse la forma più ancestrale della vita umana, intesa come atto di libertà assoluta, quello in cui una madre accetta di legarsi in maniera indissolubile ad un’altra vita, quella del figlio, rinforzando e ricreando la propria.
Dependance. Il caso di Evelyn Grant, A.CAR., 2009
Un giovane di diciotto anni, Daniel Grant, è in viaggio con la madre Evelyn verso quella che dovrebbe essere la loro nuova abitazione. La Locanda Sturmer, diretta da un’anziana signora, è situata ai margini di un bosco, in una località chiamata “Valle d’Ombra”. Daniel, che soffre di periodici attacchi di paralisi e di una inspiegabile cecità, ha bisogno di molta tranquillità e di ambienti dove la luce sia ridotta al minimo. La dépendance della locanda sembra il luogo ideale per lui, soprattutto la cantina. Ma sarà proprio il pozzo di questo sotterraneo ad accogliere ben presto un cadavere. Il delitto viene compiuto durante una delle crisi di Daniel; sia il colpevole sia il movente sembrano assai facili da individuare. La realtà è però molto più sconvolgente, e si rivelerà solo con l’arrivo di un quarto personaggio, Miss Baker, la dottoressa che segue da anni madre e figlio. La sorpresa finale non sarà semplicemente quella classica dell’individuazione dell’assassino, ma avrà a che fare con la scoperta dell’identità di ogni figura dell’intricato mosaico.
La sposa del terrore. Poesie di morte e di immortalità in Emily Dickinson. Ediz. italiana e inglese, Book Editore, 2009
Il saggio di Silvio Raffo indaga le ragioni seminali della poesia di Emily Dickinson. Analizzando e comparando i frammenti della poetessa americana in maniera approfondita e originale, Raffo disvela l’enigma che fa convivere Terrore ed Estasi nei testi di una delle più grandi poetesse di tutti i tempi.
Eros degli inganni, Bietti, 2010,
La quiete sonnolenta e monotona di un liceo classico di provincia viene turbata dall’arrivo di Eros, giovane professore di lettere che porterà lo scompiglio nelle vite dei giovani a cui insegna, fino alla sua misteriosa scomparsa. Al suo allievo prediletto, Gabriel, occorreranno vent’anni per giungere alla dolorosa scoperta di una verità che sarebbe stato meglio non svelare.
Sara Teasdale, Gli amorosi incanti, a cura di Silvio Raffo, Crocetti Editore, 2010
Io sono nessuno. Vita e poesia di Emily Dickinson, Le Lettere, 2011
“Io sono nessuno” di Silvio Raffo si segnala all’attenzione del lettore come un’opera singolare da più punti di vista. Non si tratta di una biografia nel senso tradizionale del termine, l’intento dell’autore è quello di ricomporre le fasi della formazione di una coscienza poetica “in progress”. In questo libro si dà dunque maggior rilievo al fatto “interiore”, partendo dalla convinzione che un’esistenza uneventful, come viene solitamente definita quella della Dickinson, può essere più ricca di una vita avventurosa e piena d’imprevisti e cambiamenti. Ogni capitolo parte da un testo dickinsoniano, e tale scelta ha un preciso valore: quello di ricondurre ogni evento biografico a una matrice spirituale che in un certo senso “trascende” gli eventi del cosiddetto reale. La reclusione della poetessa, così spesso enfatizzata dai suoi studiosi, non ha nella nostra indagine compiuta alcunché di claustrale o morboso, e viene lasciato spazio nuove, più convincenti interpretazioni.
Giallo matrigna, Robin, 2011
Il tema-base di “Giallo matrigna” è la perdita della memoria, un tópos già presente in grandi mystery del passato: il protagonista è uno scrittore affermato che, il giorno della presentazione del suo ultimo libro (la biografia di una cantante non famosa ma molto particolare come personaggio) si accorge di aver cancellato dalla memoria le ultime ventiquattro ore. In questo lasso di tempo è stato compiuto un delitto. La vittima è proprio la cantante, Nita Landis. Un simile episodio era già accaduto vent’anni prima, il vuoto riguardava il giorno della morte della sua matrigna. Un ulteriore elemento di mistero riguarda il figliastro della cantante, scomparso nel nulla. Il titolo allude al colore del vestito indossato da entrambe le vittime. Atmosfere morbidamente crepuscolari e decadenti (l’Hotel Regina Palace di Stresa e la tenuta in riva a un fiume dove vive il protagonista) danno al racconto un sapore old fashion di squisita eleganza, come del resto la scrittura sapientemente sorvegliata. “Giallo matrigna” si è classificato secondo al premio “Alberto Tedeschi” per il miglior romanzo giallo italiano nel 2002.
Al fantastico abisso, Nomos Edizioni, 2011
Il secondo volume dell’elegante collana che le edizioni Nomos dedicano alla poesia contemporanea propone ai lettori i versi classici e raffinati di Silvio Raffo. Secondo la prefatrice,Marisa Ferrario Denna, “l’uso colto e consapevole della rima,la sonorità calda e precisa dell’endecasillabo e dei settenari” evidenziano una dotta abilità di alternare con uno stile tradizionalmnete erudito e alto “testi di grazia quasi infantile a testi più marcatamente filosofici”. Il tono favoloso e sospeso di alcune composizioni riesce a rendere la particolare levità di un mondo innocente e perduto (lasciando che nel secondo capitolo irrompa la magia della fiaba con i suoi attori più consumati: il principe,il drago,la fanciulla,il bosco,il castello,lo specchio,”i luminosi paggi”), ma sono soprattutto due i temi che si stagliano prepotentemente dalle pagine di questo libro: l’abisso della solitudine e il corteggiamneto assiduo e per nulla tragico della morte. Un’accettazione tranquilla e saggiamente conscia della propria finitudine, quindi, e un accordo placido e rasserenante con il fluire magico e sacro della natura, insieme alla consapevolezza fiera della propria e vivida unicità di persona e di poeta, in un dialogo inesausto con un “tu” che è sì ricerca dell’altro, ma anche una ribadita sottolineatura della propria irriducibile grandezza. Ecco:la gioia, l’inscalfibile pietra preziosa che ogni poeta,interprete di una scintilla di assoluto, porta in sé, e che in Silvio Raffo è orgogliosamente declamata: “Era il mio personale paradiso./E dovevo tenerlo chiuso in me,/senza svelare del mio rango il segno?”. Queste poesie così parche di punteggiatura, quasi a voler esibire un’aperta continuità di pensiero e di collegamento al tutto, hanno sempre una loro leggiadra compiutezza, una loro generosa offerta di gratuita verità, che talvolta le apparenta al tono lieve di Sandro Penna:”Lieto poi,col mio dono/al cuore in subbuglio serrato/la soglia fumosa varcavo”.
Saffo. Antologia lirica, Nomos Edizioni, 2012
Il nome di Saffo, poetessa greca vissuta nel settimo secolo avanti Cristo, è sinonimodi “lirica” in senso universale ed eterno: le ragioni del cuore e il potere della parola”pura” si fondono nella sua produzione con mirabile armonia e risultati di altissimo livello. A distanza di tanti secoli, il suo messaggio si rivela ancora di una straordinaria forza e attualità. Silvio Raffo, alla sua decima prova di traduzione “al femminile”, ripropone i testi più significativi della musa di Lesbo mantenendo una pregevole fedeltà agli schemi metrici dell’originale. Questo libro vuole essere un dono agli estimatori della cultura classica e al tempo stesso un’occasione per ogni lettore di scoprire la “fiamma al calor bianco” del sacro fuoco della Bellezza.
Wendy Cope, Guarire dall’amore, a cura di Silvio Raffo, Crocetti editore, 2012
Lady Medusa. Vita, poesia e amori di Amalia Guglielminetti, Bietti, 2012
Uno dei più clamorosi casi di damnatio memoriae della letteratura novecentesca è costituito da Amalia Guglielminetti. Scrittrice, giornalista d’avanguardia e soprattutto brillante poetessa, godette di un successo effimero nell’Italietta dannunziana e liberty, per poi sprofondare ingiustamente nell’oblio. Ignorata anche dall’editoria per più di cinquant’anni, finalmente essa riemerge alla ribalta grazie a questo volume che si impone nel panorama culturale come l’opera più completa mai pubblicata sulla poetessa. Oltre a un articolato ed esaustivo apparato biografico e all’opera omnia di poesia, esso porta alla luce rarissimi documenti, illuminanti per un identikit finalmente attendibile di “Lady Medusa”.
La sposa della morte, Robin, 2013
Può un’opera d’arte, per quanto misteriosa e difficile da decifrare, attrarre con forza disorientante l’anima delle persone, travolgendola fino allo stordimento? Un dipinto che raffigura un cavaliere e una strana coppia di sposi sullo sfondo di una campagna minacciata dall’alta marea, esercita proprio questa inspiegabile attrazione sui personaggi che vi ruotano intorno. Di quest’opera alquanto singolare, il cui titolo – La Sposa della Morte – non aiuta a rivelare l’enigmatico significato, si conosce solo il nome dell’autore, un certo Markus Eberden, vissuto per qualche tempo in un convento a Lonely Island, nelle regioni delle maree, a sud della Gran Bretagna. La storia si svolge in un presente non definito poiché il passato torna a rivivere in esso, e i destini sembrano sovrapporsi come in un allucinato déjà vu. Le voci dei personaggi narranti – i cui nomi sono non a caso anagrammi l’uno dell’altro (Eros-Rose, Nevile-Evelyne, Delio-Odile) – si alternano nel tempo che passa, raccontando la loro esperienza, il proprio punto di vista, confondendosi con l’alzarsi e l’abbassarsi della marea, in un ritmo incessante, come quello della vita e della morte. A ricomporsi infine con implacabile simmetria nel vortice delle corrispondenze karmiche è un mosaico talmente perfetto da riproporre un nuovo insondabile enigma.
Angelici delitti. Incubi in azzurro e nero, La Vita Felice, 2013
Se è vero che il delitto è la più raffinata delle arti, difficilmente si potranno trovare nella letteratura contemporanea resoconti di delitti più sofisticati e aristocratici di quelli illustrati nelle short stories degli “Angelici delitti” di Silvio Raffio. Il filo rosso che unisce questi racconti è la totale assenza di responsabilità o senso di colpa degli assassini: che si tratti di bambini prodigio abbandonati dalle madri, di artisti o attori del cinema, zitelle sessuofobe o giovani aspiranti vedove, tutti sono determinati nel portare a termine i loro piani criminosi come un’opera d’arte ma ancor di più di risanamento, compensazione di una qualche nefanda iniquità per cui non sono previste punizioni nel codice penale. L’altra assenza che si riscontra è quella dell’istituzione: non troverete mai un’uniforme di poliziotto o un pedante commissario. I conti si regolano tutti ‘en famille’, quanto più cruenta la modalità dell’esecuzione, tanto più beve il tocco della scrittura, anche per conferire alle vicende quel senso di straniamento dalla realtà che manca alla produzione letteraria odierna. Todorov, nel saggio La ‘letteratura fantastica’, esalta il particolare status dell'”esitazione” in cui un certo genere di scrittori pone il lettore, inducendolo a chiedersi in quale specie di anomalo universo è stato trasportato: è questo che si prova leggendo Silvio Raffio, e alla fine della lettura la realtà sembra un susseguirsi di banali nessi pretestuosamente logici.
Daria Menicanti, Il concerto del grillo. L’opera poetica completa con tutte le poesie inedite, a cura di F. Minazzi, B. Bonghi, S. Raffo,, Mimesis, 2013
In questo volume si raccoglie l’opera poetica completa di Daria Menicanti, unitamente ad alcuni suoi importanti testi in prosa. “La poesia di Daria Menicanti, priva degli strombazzamenti critici di cui godono normalmente i poeti (alla moda), pare a me, nella sua nuda semplicità e sincerità, una delle più vive e schiette dei nostri giorni”. Così scriveva Sergio Solmi, nel 1978, suggerendo di inserire l’opera poetica di questa poetessa nella tradizione della “poesia d’ogni tempo, dai primi lirici greci fino a Leopardi”, che si articola sempre “nei suoi poli fondamentali di amore-morte”. Per la medesima ragione Vittorio Sereni individuava “nella poesia della Menicanti, un credito d’amarezza del quale la buona creanza, il ragionevole notare delle sue scelte sintattiche e metriche costituisce la voce a pareggio, l’attento contrappeso e, insieme, il paradossale equivalente linguistico”. In questa scelta lirica, culturale e filosofica la Menicanti riesce “a dar voce persuasiva e struggente al suo atroce innamoramento di una vita che sfugge e le si nega, a una sua sommessa, ma precisa e ostinata, rivolta esistenziale”, riportandoci ai temi classici della poesia d’ogni tempo.
Antonia Pozzi, Lieve offerta. Poesie e prose, a cura di Silvio Raffo e Alessandra Cenni, Bietti, 2013
Saffo, Antologia lirica, a cura di Silvio Raffo, Nomos Edizioni, 2013
La pupilla della tigre, Robin, 2014
Consuelo Bannister, diciassettenne cieca dalla nascita, è la figlia del console inglese a San Sebastian. Nonostante viva nelle tenebre, la ragazza ha la possibilità di percepire il mondo grazie all’aiuto del fedele servitore Manolito. Alla morte dei genitori Consuelo viene affidata alla tutela di Iris Regueiro, amica della madre ed ex suora laica appartenente a una setta di fanatiche religiose che ha la sua sede segreta in un villaggio vicino a Glendalough, in Irlanda. Sfigurata in gioventù dall’artiglio di una tigre, Iris le propone un viaggio alla volta di una fontana miracolosa, dove le promette che potrà riacquistare la vista. La ragazza, colma di speranza, accetta l’invito; ma forse dietro quel gesto all’apparenza generoso si cela una sinistra macchinazione della setta… Il racconto si dirama in un’ambigua contraddanza tra realtà e visione; ambiguità che suggella inesorabilmente anche l’inatteso finale.
Lo schermo oscuro. Cinema noir e dintorni, Bietti, 2014
Il noir non è solamente un “genere” cinematografico, è anche e soprattutto uno stile, una dimensione psicologica, un modo di sentire la vita (oltre che il cinema): è il trionfo del chiaroscuro, dell’ambiguità, la percezione di un destino tanto crudele quanto ineluttabile. Silvio Raffo, cultore del giallo e del fantastico-visionario, propone in questo singolare libro una cronistoria “affettiva” ed estetica dell’universo noir, senza perdere mai di vista i riferimenti letterari e di costume, nella convinzione squisitamente “antimoderna” che un certo gusto e una certa bellezza abbiano davvero e definitivamente lasciato l’Olimpo.
La Milano dei poeti. Ventisette autori cantano Milano, La Vita Felice, 2015
O. Wilde, Tutti i racconti. Ediz. integrale, a cura di Silvio Raffo e Lucio Chiavarelli, Newton Copton Editori, 2015
Nei racconti Oscar Wilde si rivela grande narratore non meno che nel “Ritratto di Dorian Gray”. Autentici pezzi di bravura come “Il delitto di Lord Arthur Savile” o “Il fantasma di Canterville” – brillante canzonatura della “imperturbabile” classe dirigente inglese il primo, elegante parodia della letteratura gotica il secondo – hanno conosciuto innumerevoli adattamenti per il teatro, il cinema e la televisione. Le fiabe delle raccolte “Il Principe Felice” e “Una Casa di Melograni” racchiudono tutte, dal canto loro, un ammaestramento morale che non oscura mai la limpidezza e la raffinatezza dello stile. Le fantasticherie fiabesche non sono destinate soltanto all’infanzia giacché, come dichiarò lo stesso autore, esse sono state inventate “in parte per i bambini e in parte per coloro che hanno mantenuto la capacità fanciullesca della gioia e dello stupore”. Introduzione di Masolino d’Amico.
Patrick Branwell Brontë, Poesie. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice,2015
Il fratello minore delle celeberrime sorelle Brontë, Branwell, costituisce uno dei casi letterari più ingiustamente segnati da una assurda damnatio memoriae: autore, oltre che di pregevoli prose, di un cospicuo numero di liriche profondamente ispirate, intrise di sensibilità romantica, ma disciplinate da un gusto severo della forma, si è dovuto rassegnare a costituire anche dopo la morte una figura “in ombra” rispetto a un trio d’eccezione, perdipiù al femminile. È l’unico caso in cui, nell’Ottocento, un intellettuale viene sopraffatto da esponenti del gentil sesso. Le parole con cui il giovane, in punto di morte, riassume la sua vita sono: “Non ho fatto nulla di bello né di buono”, e del resto di lui si era sempre detto senza pietà: “Branwell is a failure”. Questo volume di Silvio Raffo, poeta legato alla “tradizione” più di ogni altro infaticabile traduttore di poetesse anglo-americane, da Emily Dickinson a Sara Teasdale, restituisce finalmente allo sfortunato ‘Brontë boy’ il credito che gli spetta: in Italia le sue opere non sono mai state tradotte, e questo libro viene a colmare una grave lacuna.
Maria Luisa Spaziani. La divina differenza, LietoColle, 2015
“Se è vero, come continuiamo a credere (forse in pochi) che la grande poesia si accompagna naturalmente a questo sentire ‘sublime’ e che almeno in arte esiste, deve esistere, la perfezione, perché la poesia delle ultime generazioni sembra aver perso la speranza e la voglia di scalare quelle vette? […] Maria Luisa Spaziani sembra testimoniare in modi convincenti e ‘moderni’ la sopravvivenza della musa lirica, la sua legittimità e autorità indiscutibili. La sua opera, di recente consacrata dal Meridiano Mondadori, è la prova più lampante della possibilità di coesistenza di registro alto e leggibilità, dunque di ‘tradizione’ e comunicazione.”
Le insidie celesti. Otto racconti neogotici italiani, Robin, 2015
Otto racconti fantastici in cui le categorie di spazio e di tempo travalicano i confini del reale per condurci nel regno del perturbante e nella dimensione della sincronicità junghiana.
Mio padre Renè, Robin, 2015
La vita irreale. Poesia su due toni, Robin, 2015
Silvio Raffo, cultore di una musa che coniuga modernità e lirismo in un felice binomio. Una poesia intensa, leggibile, comunicativa e insieme di “alto sentire”, in cui il sublime “melodico” e l’ironico quotidiano sono le voci – i toni – della duplicità di un sentire profondo. Vita vissuta e vita sognata si rispecchiano in un aereo gioco di canto e controcanto potenziandosi a vicenda nell’unica dimensione congenita all’autore, la dimensione estetica.
Veglia d’autunno, New Press, 2016
Corpo segreto, LietoColle, 2017
Emily Dickinson, Il giardino della mente. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice, 2017
“In Emily Dickinson, la più pura vestale della lirica metafisica d’Occidente, la vocazione alla poesia e la vocazione alla morte procedono su canali paralleli che spesso sembrano sovrapporsi e unificarsi coincidendo. Per intendere la vera e peculiare natura di tale connubio occorre partire da una premessa fondamentale di ordine biografico: un avvenimento, una situazione o una serie di situazioni dovette mettere Emily ‘in guardia’, o meglio dovette infonderle la precisa convinzione dell’Aldilà, che governa l’intero suo poema, anche se in un senso del tutto particolare e personale. È importante chiarire subito che in Emily Dickinson la poesia è appunto voce anteriore dell’Immortalità, vale a dire esercizio ascetico, preparazione al momento decisivo, finale-iniziale, all’ingresso umile e insieme sfarzoso dell’anima nel Reame del Cielo dopo il ‘soggiorno nel Possibile'” (dall’Introduzione di Silvio Raffo).
La voce della pietra, Elliot, 2018
Nella lugubre solitudine di un’antica dimora di campagna il giovane Jakob, che dalla morte della madre si rifiuta di parlare e affida a un diario i suoi tenebrosi pensieri, ascolta una voce ultraterrena che sussurra arcani messaggi dal grembo della pietra. Verena, l’indifesa infermiera sensitiva che arriva alla villa per prendersi cura di lui, orfana anch’essa e anch’essa priva di una sicura identità, cade vittima dello stesso incantesimo maligno. Che cosa vogliono i morti dai vivi? Qual è la vera misura del loro potere?
William Luce, La bella di Amherst. Il racconto della vita di Emily Dickinson, a cura di Silvio Raffo, La Vita Felice, 2018
Basata sulla vita della poetessa Emily Dickinson dal 1830 al 1886 e ambientata nella sua casa di Amherst, nel Massachusetts, l’opera si avvale del suo lavoro, dei diari e delle lettere per ricordare i suoi incontri con le persone significative della sua vita – famiglia, vicini, amici e conoscenti. Riequilibra l’agonia della sua reclusione con gli intensi luminosi momenti di una ispirazione estatica e trascendentale. Il libro spinge il lettore a varcare la soglia delle mura domestiche di Emily Dickinson, la “Bella di Amherst”, per addentrarsi nel nodo della sua vita familiare, nel quale individua una magmatica fonte della sua opera letteraria. La pièce di William Luce, tradotta da Silvio Raffo, ci racconta la storia di una figura femminile sensibile e innovativa nel suo modo di agire e pensare, un carattere umano che trovò nella poesia lo strumento più adeguato per esprimere il suo profondo sentire.
Alfred Douglas, L’ amore che non osa. Poesie per Oscar Wilde. Testo inglese a fronte, a cura di Silvio Raffo, Elliot, 2019
Pochi sanno, e pochissimi vogliono ricordare, che Lord Alfred Bruce Douglas, ovvero Bosie, il ragazzo «troppo amato» a cui Oscar Wilde dedicò la più straziante lettera d’amore di fine Ottocento – il De profundis -, fu poeta se non di eccelso livello sicuramente di apprezzabile talento e ispirazione autentica. La cortina d’oblio discesa sul suo nome dopo il clamoroso processo che decretò la rovina del mitico dandy generò anche la damnatio memoriae di una produzione poetica che non ha molto da invidiare a quella del maestro. Silvio Baffo ci offre con preziosa fedeltà una versione italiana in grado di colmare una grave lacuna e di fornire altresì singolari rivelazioni sull’ambigua natura di un rapporto che non fu solo sentimentale ma anche letterario, ricostruendone le fasi con filologica accuratezza e precisione di cronologia.
Il segreto di Marie-Belle. Diario di un’ombra, Elliot, 2019
Un nodo indissolubile lega l’istitutrice Aurelia e la sua pupilla Marie-Belle, la cui complicità quotidiana origina una spirituale quanto morbosa liaison dangereuse, costellata da una catena di morti apparentemente naturali. Un ricordo dietro l’altro, Aurelia ci rivela il susseguirsi degli eventi, talvolta drammatici, che hanno segnato le loro esistenze, ma le lacune del suo racconto ci portano a chiederci se possiamo credere davvero alle sue parole e se riusciremo infine a conoscere Il segreto di Marie-Belle.
Emilio Bortoluzzi. Il viaggio della vita, Macchione Editore, 2019
Questo libro non è semplicemente un omaggio alla memoria di un uomo esemplare, ma anche il doveroso tributo a un poeta di valore, che si è mantenuto con discrezione e coerenza ammirevoli sempre fuori dal coro, riluttante a qualsiasi appartenenza a conventicole letterarie o modaiole e immune dalle smanie di protagonismo tristemente in voga tra i poeti dei nostri tempi. L’esercizio della scrittura è stato per Emilio Bortoluzzi umile strumento di espressione del suo io più segreto e magico elisir apportatore di conforto spirituale, nella precisa consapevolezza che solo la poesia può tesaurizzare i momenti più preziosi di una vita e sottrarli alla nullificazione dell’oblio.
La ferita celeste 2017-2018, La Vita Felice, 2019
“Con ‘La ferita celeste’, Silvio Raffo rielabora alcuni motivi delle sue precedenti raccolte: la vanitatis vanitatum del biblico Qohelet e le mutazioni causate dal tempo (presto il mio volto non sarà più il mio) tema costante di molta poesia – ma con che tono? Spesso con la levità della sua amata Emily Dickinson, enunciando sconfitte e meraviglie come li possiamo cogliere in Annuncio di nozze della raccolta Stanchezza di Mnemosyne: «Io/ e Madamigella Poesia/ ci siamo sposati/ stasera/ alla Casina Valadier/ senza grandi cerimonie/ proprio all’ora del tè». Matrimonio ideale e senza testimoni, perché il poeta e la sua Damigella – a dispetto dei pronostici novalisiani – sono rimasti soli in un mondo spoetizzato. Come si vede, a preservarlo relativamente dai disagi della vita è la facoltà di rendere bello il dolore e la caducità attraverso la fiaba, la sublimazione e l’arabesco sonoro i cui versi, nella loro circolare bellezza, si snodano in base al principio di costanza tipico delle decorazioni. Proprio per questo il lettore non mancherà di notarne il flusso indefinito, sia per l’assenza di vere figure – noi abbiamo, semmai, delle parvenze – sia per la costante ripresa delle stigmate esistenziali venate da continui riflessi musicali.” (Dalla Postfazione di Silvio Aman: Le ondose malie del poeta-sirenide).
Oscar Wilde, Il principe felice e altri racconti. Ediz. italiana e inglese, a cura di Silvio Raffo, Jules Férat. Émile Bayard illustratori, La Vita Felice, 2019
«Accade non di rado che in opere cosiddette minori si esprimano, più o meno consciamente, velati da una sorta di discreto pudore o magari lasciati affiorare per stanchezza delle solite “maschere”, certi segreti umori della sensibilità di un autore, certe sfumature del suo essere che a un’analisi appena un po’ attenta si rivelano poi tutt’altro che casuali e irrilevanti, anzi al contrario essenziali per la comprensione di una poetica e, ancor di più, di un’anima. È il caso delle novelle di Oscar Wilde contenute nella raccolta Il Principe Felice, novelle che per molti aspetti possono essere considerate favole, anche se di un genere speciale: favole per adulti più che per bambini. È Wilde stesso a dichiarare – in una lettera a un amico, proprio come Dante a Cangrande della Scala a proposito della Divina Commedia – che scrive queste storie con un intento preciso, quello di proporre “uno specchio della vita moderna in forme lontane dalla realtà, di trattare problemi contemporanei in modi ideali, metaforici e non direttamente rappresentativi”: l’intento di comunicare delle verità, anche e soprattutto tristi, e di proporre degli “esempi” di comportamento morale.» (Dall’introduzione di Silvio Raffo)
Muse del disincanto. Poesia italiana del Novecento. Un’antologia critica, Castelvecchi, 2019
Nella storia della nostra poesia, il Novecento appare il secolo in cui sono state superate e infrante diverse frontiere; mai tante voci dispiegate in così evidente contrasto hanno fatto sentire il loro appello a Muse tanto inquietanti: progetti di destrutturazione e ricostruzione, accordi discordi, entusiastici fervori d’avanguardie e malinconiche nostalgie, proclami d’impegno e disimpegno, coscienza del vuoto esistenziale nell’«oblio dell’Essere» e più o meno consapevoli neoromanticismi. In quest’antologia, dove trovano spazio anche quei poeti ingiustamente considerati “minori” dalla critica, Silvio Raffo indaga tutte le aritmie del «pensiero poetante», tutte le correspondances e le dissonanze fra le varie tendenze. E lo fa con un’acribia filologica sempre accompagnata da un tono di affabile partecipazione: di poe-ta prima che di critico, convinto che sia necessaria la sopravvivenza di una poesia “alta”, equivalente a una scienza irrinunciabile di natura carsica, invisibile agli occhi dei poteri mondani eppure essenziale alla vita dell’anima; una poesia che possa ancora difendere nel «fuoco delle controversie» il valore di quella Bellezza che dovrebbe salvare il mondo.
Edna St. Vincent Millay, Poesie, a cura di Silvio Raffo, Crocetti, 2020
Edna St. Vincent Millay è stata l’eroina dell’Età del Jazz, la poetessa più amata e più letta nell’America degli anni venti. Di una bellezza inquietante, il suo sex appeal senza rivali aveva “l’effetto di una droga sulle persone”. Thomas Hardy disse che c’erano soltanto due grandi cose negli Stati Uniti: i grattacieli e la poesia di Edna. Tra i letterati anglofoni non c’era nessuno che non conoscesse i suoi versi, i suoi libri vendevano più di tre milioni di copie, e i suoi appassionati sonetti d’amore, grondanti lirismo e sentimento – ma anche ironia e rivalsa femminista -, erano ammirati e imitati da tutti gli aspiranti poeti. Interpretò una femminilità libera e spregiudicata e diede vita al mito dell’eterna giovinezza, all’amore romantico ma privo di illusioni, alla precarietà della vita e alla tristezza, ma senza rassegnazione. La scelta di poesie tradotte da Silvio Raffo ne dimostra la forza, che il tempo non ha scalfito.
Lo specchio attento, Elliot, 2020
Giorgino ricostruisce con lucidità spietata una malattia dello spirito vissuta nella stagione più delicata dell’esistenza: un’infanzia e un’adolescenza irrigidite nel cerchio magico di un incantesimo, stregate da una figura materna immateriale e impenetrabile. Per il ragazzo, l’unica possibilità di sopravvivenza è la creazione di un’altra vita, una favola dell’immaginario, in cui l’io ribaltato e riflesso nel suo doppio femminile sembra poter interpretare un ruolo finalmente attivo e dinamico. Presto però il gioco degli equilibri si incrina, e la vicenda dell’alter ego si complica nelle reti dell’ambiguità e del delitto. Postfazione di Sacha Piersanti.
Io sono nessuno. Tu chi sei? I’m nobody. Who are you? Silvio Raffo recita Emily Dickinson. Audiolibro. CD Audio formato MP3, Kipple Officina Libraria, 2020
Emily Dickinson, Pochi amano veramente. Aforismi e versi in prosa, a cura di Silvio Raffo, De Piante Editore, 2021
Una inedita raccolta di aforismi di Emily Dickinson, illuminano le profondità dell’animo umano e comunicano le gioie e i dolori dell’amore e della vita.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
Dobbiamo liberarci
della corsa folle che ci ha intrappolati e dal credere che il tempo
sia solamente denaro, dalla bramosia del superfluo;
dalla tirannia delle cose, che ci allontana dall’Uomo;
dalla illusione che il possesso sia sufficiente a renderci felici;
dall’indifferenza verso l’albero, il fiore la lucertola; dall’idea
che la terra madre sia una vacca da mungere fino allo sfinimento;
dalla manipolazione della natura;
[…]
dobbiamo liberarci dal tacere la morte, vissuta come indecenza;
dallo spregio per le mani ruvide e il sudore della fronte;
dallo snobbare chi in silenzio garantisce il nostro nutrimento;
[…]
dalla sottomissione al virtuale che occulta la vita e ruba la gioia del ritrovarsi;
dall’impazienza, nemica dell’ascolto e della tolleranza;
dal frastuono che stordisce gli uomini e uccide il silenzio
[…]
dal rifiuto della nostra fragilità e dei nostri limiti, la cui accettazione
è invece saggezza;
dal sottovalutare i piccoli gesti, che fanno la differenza;
dal credere che la felicità sia solo un diritto,
quando il sorriso è un nostro dovere verso il mondo.
Paolo Rumiz, Preghiera laica, pubblicata su Robinson, il settimanale culturale del quotidiano Repubblica, sabato 25 aprile 2020.
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Cade la pioggia triste senza posa a stilla a stilla esi dissolve. Trema la luce d’ogni cosa. Ed ogni cosa sembra che debba nell’ombra densa dileguare e quasi nebbia bianchiccia perdersi e morire mentre filtri voluttuosamente oltre i diafani fili di pioggia come lame d’acciaio vibranti.
Così l’anima mia si discolora e si dissolve indefinitamente che fra le tenui spire l’universo volle abbracciare.
Ahi! che svanita come nebbia bianca nell’ombra folta della notte eterna è la natura e l’anima smarrita palpita e soffre orribilmente sola sola e cerca l’oblio.
Carlo Michelstaedter,Poesie, a cura di Sergio Campalla, Adelphi, Milano 2021.
Risvolto di copertina
Le poesie di Michelstaedter ci fanno sentire, in un’altra forma, la stessa vibrazione estrema di La persuasione e la rettorica. Composte fra il 1900 e il 1910, risentono solo superficialmente del clima letterario italiano di quegli anni. Mentre subito vi affiorano quei temi ultimi a cui Michelstaedter dedicò la sua riflessione filosofica: i temi di chi è mosso da un’invincibile vocazione a spingersi al di là del bordo della vita, «amore e morte, l’universo e ’l nulla». All’inizio con timbro adolescenziale, e ancora tenuto alla sudditanza verso temi obbligati, poi con un piglio sempre più sicuro, e distaccandosi rapidamente da ogni dipendenza, Michelstaedter svela anche qui il suo dono specifico, quello dell’immediatezza nel pensiero, e ci guida «onda per onda» attraverso un mare sempre più aperto e pericoloso, il vero «mare dove l’onda non arriva», un mare assente, rispetto al quale si può dire che «tutta è la vita arida e deserta, / finché in un punto si raccolga in porto, / di sé stessa in un punto faccia fiamma».
Un saggio su Michelstaedter è un’impresa destinata inesorabilmente all’incompiutezza: scrivere di colui che con le parole volle fare guerra alle parole, alla ricerca di una pienezza di vita inattaccabile, da trovare, come fondamento stabile, socraticamente solo in se stessi – dando tutto e non chiedendo nulla per sé. Non si potrà mai dire compiutamente l’altezza vertiginosa raggiunta dal suo pensiero, che resta come una cifra inaudita dell’assolutezza dell’Essere e della giustizia da lui cercata. Eppure, col suo pensiero, questo giovane (ma saggio) solitario, che si richiama alla sapienza di Eraclito e di Parmenide e che troverà un’eco, e una parentela postuma, anche in Heidegger, vorrebbe unire il mondo in un unico afflato di fratellanza e d’amore, sull’esempio di Cristo e di Buddha: da lui presi come modello di vita persuasa, sul finire della sua breve esperienza terrena.
In Michelstaedter è risuonata la voce di qualcosa di sovrumano, così lontana dalla sua, e ancor più dalla nostra, epoca del compiuto nichilismo: del sapere scientifico ormai vittorioso e della tecnica dimentica dell’anima.
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Io sono un uomo all’antica, e credo solo nei Santi: e nemmeno in tutti […].
Per me Totò è un Santo: per l’altezza della sua arte, per la gioia da lui per decenni donata a milioni di persone: gente del popolo, piccola borghesia, poi persino alta, ma anche autentici reietti. Per esser riuscito, con la risata che suscitava, a far per un attimo dimenticare a tutti, non solo ai reietti, le loro tragedie. E, incredibile, per esser l’idolo dei ragazzi di ogni ceto, da molte generazioni. Affatto disgiunti dalla realtà storica e sociale che aiutò a generarne l’arte, vedono i suoi films e pronunciano le sue battute, entrate misteriosamente nel loro gergo.
Questo libro può apparir frutto di presunzione. Non sono un critico cinematografico né uno storico del cinema. In fondo, di films ne ho visti pochi, nella mia vita. Non sono un «cinefilo». Tuttavia credo di posseder ancora un po’ di esercizio del pensiero e della memoria. Non pretendo di mettermi in lizza cogli illustri Scrittori che ringrazio e cito in bibliografia. Peraltro, facile est inventis addere. Ma, siccome Totò e un argomento universale, che travalica la stessa Napoli e la stessa Italia, ritengo che chiunque abbia diritto – esito a parte – di pensar su di lui. Il fatto d’esser io napoletano, e di esser restato uno dei pochi che nel sermo cotidianus in napoletano – quello vero – si esprima, mi fornisce qualche arma in più.
Paolo Isotta, San Totò, Marsilio, Venezia 2021, Pp. VIII-IX.
Risvolto di copertina
«Chi non ha visto Totò a teatro non ha visto Totò», si è sempre sentito dire Paolo Isotta da suo padre. Noi ci troviamo tutti, ora, in questa situazione: di Totò abbiamo solo le interpretazioni cinematografiche, molte delle quali contengono spezzoni di Rivista, il che faceva indignare i critici puristi. L’autore la ritiene invece una fortuna, perché si può così tentare di ricostruire un’immagine intera del sommo attore.
Di Totò hanno scritto storici del cinema, del teatro, antropologi, studiosi della lingua italiana e latina, filologi classici e filosofi della politica … ma mai uno storico della musica come Paolo Isotta, che dichiara di aver affrontato l’impresa non da esperto ma in quanto innamorato di Totò. Nella prima parte del volume si tenta un ardito ritratto, completo e sintetico, del principe de Curtis. La seconda, che rappresenta a modo suo una novità, è costituita da «una scheda per film», raccontato ora analiticamente, ora brevemente.
Il talento di Totò emerge non solo e non tanto nella recitazione, ma nella creazione, attraverso battute memorabili «ai vertici della metafisica». Egli non temeva la competizione, comprendendo che, quanto meglio veniva accompagnato, tanto meglio il suo genio ne sarebbe emerso, in una sorta d’opera d’arte collettiva. Così, fra teatro e cinema, tra spalle e comprimari, sfilano sotto i nostri occhi grandi personaggi dello spettacolo come Aldo Fabrizi, Mario Castellani, Nino Taranto, Aroldo Tieri, Raimondo Vianello, Paolo Stoppa, Macario, Carlo Croccolo. E poi Peppino (la più naturale intesa e unico alla sua altezza»), Alberto Sordi e Titina De Filippo, Franca Valeri e Franca Faldini, che di Totò fu l’ultima compagna.
Un tributo raffinato e giocoso a colui che «affermava di ritenersi lieto di avere fatto per mestiere il comico perché la comicità aiuta la gente a prendere la vita come viene e gliela rende più accettabile. Che altro fanno, i Santi?».
Quale filo unisce Totò ad Aristofane, Plauto e Orazio fino alle maschere della Commedia dell’Arte e alla Rivista del Novecento? Com’è nato l’uomo-marionetta (una delle tante facce di Toto)? Perché nelle sue mani persino la lingua latina diventava strumento eversivo?
Da quali tare della cultura italiana deriva il disprezzo che gli intellettuali gli riserbarono dagli anni Quaranta alla morte?
Un superbo ritratto in cui rivivono il genio e le contraddizioni di un gigante.
PAOLO ISOTTA(Napoli, 1950-2021) è stato Professore Emerito del Conservatorio di Musica di Napoli. Dal 1974 ha esercitato la critica musicale: per trentacinque anni al «Corriere della Sera». A ottobre del 2015 ha abbandonato quest’attività per dedicarsi allo studio, alla lettura e a comporre libri che gli diano l’illusione di scrivere qualcosa di meno effimero di articoli giornalistici. Le sue opere principali sono: I diamanti della corona. Grammatica del Rossini napoletano (1974), Dixit Dominus Domino meo: struttura e semantica in Händel e Vivaldi (1980), Il ventriloquo di Dio. Thomas Mann: la musica nell’opera letteraria (1983), Victor De Sabata: un compositore (1992), La virtù dell’elefante: la musica, i libri, gli amici e San Gennaro (Marsilio 2014: premio Acqui Storia 2015), Altri canti di Marte (Marsilio 2015), Otello: Shakespeare, Napoli, Rossini (Napoli 2016), Paisiello e il mito di Fedra (Napoli 2016, premio Paisiello 2017), Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia (Marsilio 2017), De Parthenopes musices disciplina. L’educazione musicale a Napoli dal Medio Evo ai giorni nostri (Napoli 2018), «Non sipasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste». Il convito e la fame tra mito, musica, poesia e teatro napoletano (Ariano Irpino 2018), La dotta lira. Ovidio e la musica (Marsilio 2018), Verdi a Parigi (Marsilio 2020).
A settembre 2017 gli è stato assegnato, «per altissimi meriti culturali», il premio Isaiah Berlin.
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
L’abbaglio con cui si cerca di ingannarenoi tutti è un incanto illusorio. L’Occidente è senza Daimon e Genius loci e offre unicamente l’ametista ingannevole dei soli diritti individuali
Aspettando i barbari
Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza? Stanno per arrivare i Barbari oggi. Perché un tale marasma al Senato? Perché i Senatori restano senza legiferare?
È che i barbari arrivano oggi. Che leggi voterebbero i Senatori? Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall’aurora, siede su un baldacchino alle porte della città, solenne e con la corona in testa?
È che i Barbari arrivano oggi. L’Imperatore si appresta a ricevere il loro capo. Egli ha perfino fatto preparare una pergamena che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata? Perché si adornano di braccialetti d’ametista e di anelli scintillanti di brillanti? Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
È che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all’improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento? Come sono divenuti gravi i volti! Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta e perché rientrano tutti a casa con un’aria così triste?
È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano. E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari…
E ora, che sarà di noi senza Barbari? Loro erano comunque una soluzione.
K.P. Kavafis
La catastrofe globale a cui l’Occidente va incontro è spesso pensata nei soli termini di rovina ambientale irreversibile. Gli studiosi di filosofia al pari degli scienziati sciorinano dati sul clima, sullo scioglimento dei ghiacciai e sull’economicismo. L’esattezza di tali dati è indubitabile, ma dietro il declino, ormai prossimo alla catastrofe, vi è una verità che è necessario riportare alla luce. I dati scientifici con cui si profetizza la catastrofe sempre più vicina rischiano di occultare il senso di tali dati. Dietro la cortina di ferro della loro scientificità, vi è il declino vitale dell’Occidente incapace di progettare se stesso. L’Occidente – affetto da ipertrofia della razionalità strumentale – aspetta i nuovi barbari, affinché – come nella poesia di K. P. Kavafis – possano portare nuova linfa per evitare il suo tramonto. L’economicismo ha divorato il pensiero di ogni possibilità, per cui incapaci di promuovere vera politica e di praticare la ricerca della verità, li si attende cercando di affascinarli con i preziosi, ostentandoli, essi sono l’elemosina che l’Occidente usa per irretirli:
“Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata? Perché si adornano di braccialetti d’ametista e di anelli scintillanti di brillanti? Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
È che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari”.
Abbagli L’abbaglio con cui si cerca di ingannare i barbari è l’incanto illusorio, in cui si è sempre vissuto e che ci rifiutiamo di riconoscere. L’immigrato è il barbaro che deve salvare dal declino demografico e culturale: lo si invoca, e lo si sfrutta. Si cade nel caos ideologico, sintomo della decadenza razionale. Si frodano i barbari con lo stesso registro valoriale che ha esaurito le forze vitali e creative: l’economicismo. Senza pensiero divergente che si arrischi nella ricerca autonoma della verità non vi è soluzione alla catastrofe. Si attende la soluzione dall’esterno, ma non verranno i barbari a liberarci. Non vi sono soluzioni che vengano dall’esterno:
“È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano. E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari… E ora, che sarà di noi senza Barbari? Loro erano comunque una soluzione.”
Si attendono i barbari, si abdica ad ogni responsabilità politica e sociale. Non si ha la forza per deviare il cammino dall’abbaglio collettivo della crematistica e del narcisismo disperato. Non si “osa” invocare l’impegno alla lotta alle ingiustizie e dichiarare la verità del modello di sviluppo dell’attuale sistema. L’Occidente si nasconde tra le pieghe dei “barbari” che divengono il mezzo per sfuggire alla sua verità autorappresentandosi come il migliore dei mondi possibili.
Occidente senza Daimon e Genius loci La decadenza è iniziata con un processo di estraniazione dal proprio “demone”, ovvero con la messa a tacere di ogni vocazione individuale e collettiva. L’economicismo ha sepolto la capacità di ascoltare la propria vocazione profonda in nome del facile successo e della regressione ad un infantilismo di massa osannato con ogni mezzo. Il ciclo produttivo non saccheggia solo il pianeta, ma nella sua spirale svuota gli individui, che in nome del diritto a tutto hanno abdicato ai loro doveri, alla solidarietà umana, all’ascolto del Genius loci[1] che abita i paesaggi. Senza l’ascolto dell’invisibile racchiuso nella storia dei territori del pianeta ogni luogo è solo merce per un ultimo e letale scambio mercantile. L’architettura – costola dell’economia –insegue l’onnipotenza dell’economicismo, progetta il territorio secondo una pianificazione astratta che ne sfregia l’identità e la bellezza:
«Dunque, perfetta identità di vedute tra studiosi di così diversa estrazione culturale ed appartenenti a discipline così distanti: l’architettura moderna ha dimenticato o del tutto frainteso il concetto di Genius loci, scambiandolo, frequentemente, con la pura e semplice “genialità” del progressista o dell’artista che, di volta in volta, programma l’intervento trasformatore del territorio, o più prosaicamente, ignorandolo in supina adorazione dei più biechi interessi speculativi». [2]
Senza l’ascolto del Daimon personale e del Genius loci che costruiscono un’unità di senso sotterranea da tradurre in concetto, non resta che la pianificazione algoritmica della vita, la violenza che si estende sulla vita in un delirio attivistico che in realtà è solo onnipotenza nichilistica. Il risultato di tale prassi è l’essenza della vera vita, minacciata in ogni sua forma.
L’ametista dei soli diritti individuali I sussulti del sistema sono dinanzi a noi: ci si appella all’uguaglianza di genere, al voto ai sedicenni, al fine di ottenere una manciata di voti per sopravvivere senza doversi dare una vera prospettiva. La parità di genere è divenuto un espediente per evitare la critica alle istituzioni ed alle pratiche economiche dell’illimitato. Il voto ai sedicenni è un modo per affascinare gli adolescenti e manipolarli abilmente, ben sapendo che età e cultura non consentono loro un voto consapevole. Si cerca – con tattiche elettorali – di consolidare le fondamenta di istituzioni senza fondamento ideale. Si erode il dissenso trasportando in esso donne e sedicenni, in modo da tacitare ogni valenza critica. Il progresso illuministico è divenuto “rivoluzione passiva”; si teme la critica, perché la vista della verità, in cui siamo implicati, potrebbe far implodere il sistema. E in assenza di prospettive consegnarci alla nostra verità senza filtri: la violenza sregolata. I barbari sono all’interno delle nazioni ed erodono – in nome dell’ultimo letale boccone a cui non vogliono rinunciare – quel che resta dello spirito critico e vitale di un popolo. L’ametista dei diritti individuali senza i diritti sociali e i doveri trasforma i diritti sociali nella barbarie del consumo senza prospettiva, dell’egoismo divenuto modello per le plebi. I processi di autodistruzione sono in atto e palesi, ma i barbari che abitano nel ventre delle nazioni sono sfiniti dalle loro pratiche ed attendono liberatori che non verranno, mentre la catastrofe è sempre più vicina. Dinanzi a tale verità solo l’ascolto del Daimon e del Genius loci può essere l’inizio di un riorientamento gestaltico. Per ritrovare la via è necessaria una cesura, uno strappo senza compromesso. È tale la nostra condizione che necessitiamo di giovani animati dalla «passione durevole» di cui parlava György Lukács, e che riportino l’Umanesimo al centro del cammino della storia.
Salvatore Bravo
[1]Genius loci è, nella definizione di Christian Norbert-Schultz, il significato profondo del luogo che è iscritto nella sua essenza. Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Electa, Milano 1979; «Il carattere è determinato da come le cose sono, ed offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell'”opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare» (ibidem, p. 14).
[2] Francesco Bevilacqua, Genius Loci il dio dei luoghi perduti, Rubbettino, 2010 pag. 36
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