Giordano Bruno (1548-1600) – Malamente potranno approvar questa filosofia color che, mercenari ingegni, poco e niente solleciti circa la verità, si contentano saper secondo che comunemente è stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere.

Giordano Bruno 001

Malamente, dico, potranno approvar questa filosofia color che o non hanno buona felicità d’ingegno naturale, o pur non sono esperti, almeno mediocremente, in diverse facultadi, e non son potenti sì fattamente nell’atto reflesso de l’intelletto che sappiano far differenza da quello ch’è fondato su la fede, a ciò che è stabilito su l’evidenza di veri principii; perché tal cosa comunmente s’ha per principio che, ben considerata, si trovarà conclusione impossibile e contra natura. Lascio quelli sordidi e mercenarii ingegni che, poco e niente solleciti circa la verità, si contentano saper secondo che comunemente è stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere. Malamente, dico, potrà eligere tra diverse opinioni e talvolta contradittorie sentenze chi non ha sodo e retto giudizio circa quelle. Difficilmente varrà giudicare chi non è potente a far comparazione tra queste e quelle, l’una e l’altra. A gran pena potrà comparar le diverse insieme chi non capisce la differenza che le distingue. Assai malagevole è comprendere in che differiscano e come siano altre queste da quelle, essendo occolta la sustanza di ciascuna e l’essere. Questo non potrà giamai essere evidente, se non è aperto per le sue cause e principii ne gli quali ha fondamento. Dopo, dunque, che arrete mirato con l’occhio de l’intelletto e considerato col regolato senso gli fondamenti, principii e cause, dove son piantate queste diverse e contrarie filosofie, veduto qual sia la natura, sustanza e proprietà di ciascuna, contrapesato con la lance intellettuale e visto qual differenza sia tra l’une e l’altre, fatta comparazion tra queste e quelle e rettamente giudicato, senza esitar punto farete elezion di consentire al vero.

Giordano Bruno, De l’Infinito, Universo e Mondi, Dialogo quinto, Harmakis Edizioni, 2018.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Harald Haarmann – Molte civiltà hanno lasciato una loro traccia modificando il corso della storia, ma sono state poi dimenticate perché le civiltà successive le hanno rimosse. Scrive Lucio Biasiori che il libro «ci invita a mettere in discussione questa rimozione e a immaginare un futuro diverso per il nostro passato, e quindi anche per il nostro presente».

Harald Haarmann 01

Vedremo come molte civiltà hanno lasciato una loro traccia
modificando il corso della storia,
ma sono state poi dimenticate
perché i vincitori o le civiltà successive le hanno rimosse,
tacendone, cancellandone o vietandone la memoria,
o semplicemente pqerché le loro conquiste sono state attribuite ad altre culture.

***

Harald Haarmann, Culture dimenticate. Venticinque sentieri smarriti dell’umanità, Bollati Boringhieri, Torino 2020, p. 12.


Il libro di H. Haarmann ci invita a mettere in discussione questa rimozione
e a immaginare un futuro diverso per il nostro passato,
e quindi anche per il nostro presente.

Lucio Biasiori, “Venticinque civiltà cancellate dalla storia”, «Alias», il manifesto, 27-12-2020, p. 5.


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«Un gioco di destrezza tra i saperi di varie discipline, che incoraggia il lettore a cambiare prospettiva sulla storia del mondo. Un saggio non potrebbe offrire di più»
Günther Wessel

«Culture dimenticate è un libro di grande valore che ci affascina e insegna a vedere la storia con occhi diversi»
Theodor Kissel, Spektrum der Wissenschaft

«L’autore prende in esame le scoperte più recenti dell’archeologia, della linguistica e della genetica umana, riassumendo in modo chiaro e conciso lo stato della nostra conoscenza ma, soprattutto, lo stato della nostra ignoranza»
Kathrin Meier-Rust, Neue Zürcher Zeitung

«Una panoramica molto intrigante sulle scoperte archeologiche più sensazionali al mondo»
Niklot Krohn, Archäologie in Deutschland

Quarta di copertina

Molte culture del passato sono rimaste avvolte dall’oblio, altre invece hanno lasciato tracce che, se percorse, dischiudono mondi inimmaginabili. Grazie a recenti ritrovamenti archeologici e a nuovi studi genetici e linguistici, Harald Haarmann ci fa scoprire venticinque culture dimenticate o trascurate dalla storiografia tradizionale. L’autore va alla ricerca di insediamenti preistorici sul Lago Bajkal, getta nuova luce sulle popolazioni pelasgiche e svela il mistero delle guerriere del Mar Nero. Dalle mummie bionde ritrovate a Xinjiang, nel deserto cinese, alla sofisticata civiltà della valle del Danubio, dotata di una scrittura fra le più antiche al mondo, fino agli abitanti dell’Isola di Pasqua, decimati da una crisi ecologica che essi stessi avevano provocato. Questa esplorazione alternativa nella storia dell’uomo ci introduce anche a sensazionali scoperte, come quella di antichi insediamenti urbani in una regione dell’Amazzonia da sempre creduta semi-spopolata. Percorrendo i possibili sviluppi dell’umanità e le sue strade scartate, Haarmann non solo restituisce voce a chi l’aveva persa, ma esorta anche a riflettere sulla nostra civiltà, perché soltanto il riconoscimento del diverso ne dispiega il vero potenziale


Harald Haarmann (nato nel 1946) è un linguista e scienziato culturale tedesco che vive e lavora in Finlandia . Haarmann ha studiato linguistica generale, varie discipline filologiche e preistoria presso le università di Amburgo , Bonn , Coimbra e Bangor . Ha conseguito il dottorato di ricerca a Bonn (1970) e l’ abilitazione (qualifica a livello di cattedra ) a Treviri (1979). Ha insegnato e condotto ricerche in numerose università tedesche e giapponesi ed è membro delCentro di ricerca sul multilinguismo a Bruxelles . È vicepresidente dell’Istituto di archeomitologia (con sede a Sebastopol, California ) e direttore della sua filiale europea (con sede a Luumäki , Finlandia).


Il sito archeologico di Gobekli Teper, a nord-est della città di Sanliurfa, in Turchia
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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J. W. Goethe (1749-1832) – Quando ci poniamo di fronte all’antichità e la contemppliamo con serietà nell’intento di formarci su di essa, abbiamo il senso come di essere solo allora diventati veramente uomini.

Johann Wolfgang Goethe11
«Giacché quando ci poniamo di fronte all’antichità
e la contemppliamo con serietà nell’intento di formarci su di essa,
abbiamo il senso come di essere solo allora diventati veramente uomini».

***

Johann Wolfgang von Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato,
traduzione di Anita Rho ed Emilio Castellani, con un saggio di Hermann Hesse, Adelphi, Milano 1976.


Wilhelm Meisters Lehrjahre, Le prime edizioni originali (1795-1796)

Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Non si può chiedere al fisico di essere filosofo; ma ci si può attendere da esso che abbia sufficiente formazione filosofica
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Qualunque sogno tu possa sognare, comincia ora.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questa è l’ultima conclusione della saggezza: la libertà come la vita si merita soltanto chi ogni giorno la dovrà conquistare.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ma le notti Amore mi vuole intento a opere diverse: vedo con occhio che sente, sento con mano che vede.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Nell’uomo vi è una scintilla più alta, la quale, se non riceve nutrimento, se non è ravvivata, viene coperta dalle ceneri della necessità e dell’indifferenza quotidiana.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ciascun momento, ciascun attimo è di un valore infinito. Noi esistiamo proprio per rendere eterno ciò che è passeggero.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Per non rinunciare alla nostra personalità, molte cose che sono in nostro sicuro possesso interiore non dobbiamo esteriorizzarle.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – La mente deve essere addestrata, calzata e stretta in stivali spagnoli, perché s’incammini con prudenza sulle vie del pensiero, e non sfavilli come un fuoco fatuo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questo cuore è sempre costante, turgido come il più giovanile fiore. Io non voglio perderti mai! L’amore rende l’amore più forte. La vita è l’amore, e lo spirito è la vita della vita.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Chi è nell’errore vuol supplire con violenza a ciò che gli manca in verità e forza.
J. W. Goethe (1749-1832) – Possiamo e dobbiamo godere delle vere forze attive della vita terrena. Quanto più siamo aperti a questi godimenti, tanto più ci sentiamo felici. Se non vi partecipiamo, si manifesta la più grande malattia: considerare la vita come un peso nauseante.
W. von Goethe (1749-1832) – Non c’è segno esteriore di cortesia che non abbia una profonda base morale. C’è una cortesia del cuore che è vicina all’amore.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Costanzo Preve (1943-2013) – Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. II Edizione.

Costanzo Preve - Il bombardamento etico
In copertina: Paul Klee, Maske der Furcht [Maschera di paura] (1932).
Costanzo Preve

Il Bombardamento Etico

Saggio sull’Interventismo Umanitario,
sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente.
II Edizione.

ISBN 978-88-7588-265-5, 2020, pp. 240, Euro 20

indicepresentazioneautoresintesi

Il titolo di questo saggio – ad un tempo storico, politico e filosofico – contiene quattro ossimori, espressamente concepiti per provocare intenzionalmente nel lettore quello “spaesamento” necessario per mettere in moto il suo autonomo processo di riflessione critica. I primi tre sono il Bombardamento Etico, l’Interventismo Umanitario e l’Embargo Terapeutico. Il quarto ossimoro rappresenta una sorta di denominatore unificante, il più corrotto e malvagio che esista, quello della Menzogna Evidente. Questo spaesamento è necessario per affrontare con animo libero gli enigmi dell’ideologia di legittimazione di questa inedita società capitalistica fondata sulla globalizzazione geografica coattivamente prescritta e sull’incessante innovazione culturale capillarmente imposta. Nel primo capitolo vengono richiamati i casi delle due scandalose guerre prevalentemente aeree e super-tecnologizzate contro l’Irak nel 1991 e contro la Jugoslavia nel 1999. In entrambi i casi i pretesti addotti dalle potenze imperiali, pretesti amplificati dal sistema giornalistico e culturale dominante, erano privi sia della legittimazione giuridica sia della plausibilità storica. In entrambi i casi però, come avviene nella favola del lupo e dell’agnello, la forza ha sostituito la ragione rispettiva. Nel secondo capitolo, che è a tutti gli effetti centrale, si ricerca il fondamento metafisico segreto di questo comportamento, che è il trattamento differenziato di Auschwitz e di Hiroshima ed il conseguente pentimento diseguale e manipolato che ne è seguito. In questo caso, la metafisica laica del Giudeocentrismo è servita per imporre una nuova lettura storico-religiosa del Novecento, non per contribuire ad una corretta comprensione delle cause che hanno portato al genocidio ebraico, una comprensione che dovrebbe impedire nel futuro il ripetersi di simili catastrofici eventi. Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, si individua in una cultura di resistenza il presupposto necessario per una futura costituzione di forze politiche e sociali, per il momento non ancora esistenti, in grado di sostenere il confronto che certamente verrà, e non soltanto di ripetere in modo esasperante le mosse politiche, sociali e culturali di confronti ormai esauriti e tramontati con il venir meno del Novecento.


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare
Costanzo Preve (1943-2013) – Teniamo la barra del timone diritta in una prospettiva di lunga durata. La “passione durevole” per il comunismo coincide certo con il percorso della nostra vita concreta fatalmente breve, ma essa è anche ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita.
Costanzo Preve (1943-2013) – Telling the truth about capitalism and about communism. The dialectic of limitlessness and the dialectic of corruption. Dire la verità sul capitalismo e sul comunismo. Dialettica dell’ illimitatezza, dialettica della corruzione.
Costanzo Preve (1943-2013) – Su laicismo, verità, relativismo e nichilismo
Costanzo Preve (1943-2013) – Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell’etica comunitaria come eteronomia.
Costanzo Preve (1943-2013) – Cultura non significa solo “alta cultura”, ma significa paideia, cioè educazione globale, accrescimento (e autoaccrescimento) della coscienza umana che dura tutta la vita.
Per non dimenticare Costanzo Preve (1943-2013) – Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo. Non indossate l’abito del «Politically correct». Serve a necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Herman Melville (1819-1891) – L’invidia è dunque un tale mostro? Siccome l’invidia alberga nel cuore, non nel cervello, nessun grado di intelligenza offre garanzia contro di essa.

Herman Melville, Billy Budd
Giotto, Invidia, Vappella degli Scrpvegni, Padova.

L’invidia è dunque un tale mostro? Sebbene molti uomini sotto accusa si siano dichiarati colpevoli di orribili azioni nella speranza di vedersi mitigare la pena, è mai accaduto che qualcuno confessasse seriamente di essere invidioso? Vi è in essa qualcosa che, a giudizio universale, viene percepito come più vergognoso perfino di un crimine efferato. E non soltanto tutti la sconfessano, ma le persone migliori sono inclini all’incredulità, quando viene imputata sul serio a un uomo intelligente. Ma siccome l’invidia alberga nel cuore, non nel cervello, nessun grado di intelligenza offre garanzia contro di essa. Ma l’invidia di Claggart non era una forma volgare di tale passione. E neppure, investendo Billy Budd, aveva quella vena di gelosia apprensiva che sconvolgeva il volto di Saul intento a rimuginare turbato sul bel giovane David. L’invidia di Claggart colpiva più a fondo. Se con occhio torvo guardava il bell’aspetto, la gioiosa salute, la schietta esuberanza della giovinezza di Billy Budd, era perché tali qualità si accompagnavano a una natura che, come percepiva magneticamente Claggart, nella sua semplicità non aveva mai voluto il male, né sperimentato il morso reattivo di quel serpente.

Herman Melville, Billy Budd, Einaudi, Torino 1965.

Vinicio Capossela, Billy Budd, da “La nave sta arrivando”, 2011
Pagina iniziale del manoscritto originale del libro, con note dell’autore
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Maura Del Serra – In voce. 55 poesie lette dall’autrice.

Maura Del Serra, In voc blog

Maura Del Serra

In voce

55 poesie lette dall’autrice

ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64,  Euro 12.

indicepresentazioneautoresintesi



Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.

Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.

 

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.

Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)


Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.
Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.
Maura Del Serra – «Lettera agli amici». Apocalissi di una civiltà ingiusta, predatoria, pervasa dalla ybris materialista ed ipertecnologica. Sarà insieme doloroso e salutare, quanto mi auguro inevitabile e consapevole, un mutamento di rotta. Ascoltiamo le voci di chi ci invita ad «aprire la porta che non abbiamo visto».
Maura Del Serra – Ma come ricambiare alla stella la sua luce danzante, all’albero il suo slancio fra due mondi, … alle stagioni i loro ritmici doni …? … Distruggiamo fuori o dentro di noi solamente per scrollare questo debito immenso da portare come Atlante il suo globo terrestre

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – La rete è simbolo effettuale di una pervasiva madre matrigna anaffettiva che ingloba l’umanità, la omogeneizza, privandola di ogni determinazione sino a renderla un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, inibibendo vera crescita e umanistica formazione.

panopticon e madre matrigna
Salvatore Bravo
La rete è simbolo effettuale di una pervasiva madre matrigna anaffettiva che ingloba l’umanità,
la omogeneizza, privandola di ogni determinazione sino a renderla un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, inibibendo vera crescita e umanistica formazione

Tecnologie e regressione
Il panopticon è la cifra dello sviluppo delle tecnologie, le quali nella propaganda sono presentate come servizio al cittadino, ma nella concretezza quotidiana sono i mezzi attraverso cui si attua il controllo globale. È da porsi il problema della motivazione del loro enorme successo, dell’accettazione fatale e dogmatica di esse. Ad una osservazione più attenta le tecnologie rispondono ad un bisogno profondo dell’umanità: la necessità di protezione. Le tecnologie divengono e sono il grande occhio che segue adolescenti ed adulti in ogni loro gesto: ogni ansia è calmierata dalla loro presenza, poiché difficoltà improvvise possono essere risolte mediante comunicazioni veloci. Il raggio d’azione di esperienze estreme si allarga, in quanto esse promettono contatti veloci in situazione di pericolo. Si pensi agli sport estremi per giovani alla ricerca di forti emozioni in mancanza di un senso etico profondo. Oppure il raggio d’azione si restringe, si vive in casa, in ambienti minimi, ma con un click si può comunicare e comprare merci al riparo dal mondo. Le tecnologie divengono, in quest’ultimo caso, delle feritoie virtuali da cui osservare il mondo. Contingenze opposte svelano in modo più immediato e chiaro il fine delle nuove tecnologie: rispondono ad un bisogno di sicurezza, sono paragonabili ad un cordone ombelicale invisibile, ciascuno reca con sé “una piacevole ed inconsapevole” regressione ad uno stato fetale.

 

La pancia globale
Ci si sente nella pancia del mondo globale. Nessuno osa smentire i magnifici successi dell’avanzare della grande madre virtuale e globale. La rete diviene il simbolo effettuale di un’infinita madre tecnologica razionale ed anaffettiva che ingloba l’umanità: madre matrigna che mentre protegge omogeneizza, priva l’esserci di ogni determinazione sino a renderlo “nulla”, ovvero un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, poiché inibisce la crescita e la formazione. La dipendenza dalla grande madre rete forma creature che dietro la soglia delle tecnologie non hanno avuto la possibilità di porre ordine al caos delle loro emozioni, non hanno potuto conoscere il loro carattere e la loro resistenza alle frustrazioni. Le tecnologie sono donative: mentre offrono servizi e controllo, ben distribuiti per censo, riducono la conoscenza di sé e la scoperta del telos comunitario dell’umanità. Sostituiscono la relazione con l’offerta di siti da cui scegliere – dal catalogo virtuale – la momentanea compagnia. Agiscono per impedire ogni ricerca reale, ogni dolore con il quale saggiare la propria forza ed autonomia. La loro presenza è simile ad una madre invadente che continuamente controlla il proprio pargolo, ne invade lo spazio pubblico e privato fino a renderlo dipendente e fragile. La grande madre è matrigna, poiché non vuole l’autonomia dei suoi sudditi, ma li vuole tenere al guinzaglio. Apparentemente li lascia liberi, ma ne estrae informazioni con cui irrobustire il suo intervento sulla psiche di ciascuno. Vuole conoscere ogni capello dei suoi clienti-figli, in quanto la loro dipendenza è la sua forza. È la nuova divinità nella forma antropomorfa del femminile proiettato nelle tecnologie e specialmente nel loro utilizzo collettivo. La rete si nutre della destabilizzazione emotiva e psichica dei suoi sudditi. La rete è la gran madre matrigna usata da multinazionali, finanzieri e capitalisti per dominare il mondo con l’indebolimento emotivo e razionale dei nuovi sudditi globali. Si usa l’archetipo della madre che scorre come acqua carsica nella rete per abbattere ogni resistenza e consolidare un imperium tragico. Gli adulti (genitori, docenti, educatori) ne favoriscono il puntellamento in nome del mito della sicurezza, rinchiudono le nuove generazioni in spazi virtuali nei quali sono “vetrinizzati”, esposti e già in vendita. Nelle istituzioni si tace sugli effetti e sugli usi nefasti, le voci dissenzienti sono tacitate gettando su di loro ombre di ridicolo. Si occultano gli aspetti perniciosi dell’uso massivo delle tecnologie in nome del “ progresso” acefalo.

 

Prometeo scatenato
Prometeo scatenato è tra di noi, ha l’aspetto della rete, di un immenso grembo in cui ricacciare l’umanità, che diviene la nuova caverna della contemporaneità: la più insidiosa di tutte, perché offre libertà di movimento, pulsioni in libertà, ma nel contempo sottrae autonomia, autodisciplina e consapevolezza, tutto avviene in modo automatico e lineare. La DAD è un esempio di questa logica dell’ipercontrollo che cresce, si dirama, invade ogni spazio: le comunicazioni tra docenti ed alunni sono continue, anche fuori l’orario di lezione, in questo modo agli alunni è sottratto il tempo per confrontarsi con le difficoltà didattiche, la soluzione è nel docente-mamma pronto a soccorrerlo. I genitori comunicano con i docenti quotidianamente; la rete si estende e si stringe intorno a tutti, è il “cappio” che tutto dissolve. Il flusso di informazioni non crea comunità, ma monadi parlanti che utilizzano le informazioni in funzione della competizione e della divisione mondiale. Gli spazi reali, gli unici nei quali si possono costruire luoghi di comunicazione comunitaria, sono sostituiti da incontri veloci e virtuali: la chiacchiera prende il posto del concetto. La rete è la madre infinita costituita da una miriade di punti materni-controllo. Il panopticon virtuale cela la sua verità: con il discredito mediatico e culturale sul maschile simbolico-valoriale e sul limite, il femminile si riproduce nelle tecnologie, la rete si estende e promette eterna protezione, il risultato ultimo è la dipendenza assoluta. Come si è arrivati a questo?

 

Senza padri
Ogni cultura è viva nel conflitto dialettico tra principi apparentemente opposti, ma in realtà l’uno equilibra l’altro, si pensi al polemos eracliteo. Il maschile ha il suo senso se si relaziona al femminile e viceversa. La distruzione del maschile, la perenne propaganda che lo rappresenta come omicida e pericoloso, inevitabilmente favorisce il trionfo del femminile, nel modello anglosassone, oggi massima espressione dell’asservimento alla società liquida. In assenza del limite, le tecnologie possono non solo essere usate e consumate senza che vi sia educazione al loro uso contestuale, ma specialmente il trionfo del femminile è l’affermarsi della cultura del controllo e dell’avversione ad ogni pericolo e frustrazione. Le tecnologie divengono l’estensione del femminile e l’espressione della sconfitta del maschile. Ovunque vi dev’essere omogeneità tra maschile e femminile, al maschile è concessa parola solo se ammette “la naturale superiorità e sensibilità del femminile”. Il maschile deve cedere il positivo e proficuo senso del limite in nome del principio femminile del controllo e del “dono” senza regole e razionalità. La violenza della maternità matrigna non è riconosciuta, per cui si plaude anche a sperimentazioni di nuove famiglie monosessuali che usano il grembo materno altrui per affermare il loro desiderio di paternità-maternità. Il centro deve tornare ad essere il concetto e non la rete, l’educazione deve avere come fine la formazione della persona e non l’uso meccanico delle tecnologie, l’antiumanesimo è la grande vittoria del Prometeo scatenato del capitale.

 

Nuovi pregiudizi
Una società sana vive della preziosa dialettica tra femminile e maschile, la diade è manifestazione di principi capaci di autolimitarsi per permettere la vita al plurale. Da abbattere sono i pregiudizi positivi e negativi: non esistono generi assolutamente negativi o positivi, ma bisogna imparare, in primis, che le persone in quanto unità complesse non possono essere ridotte all’unica variabile del genere. La diversità è la possibilità della convivenza fra prospettive diverse che si completano, e specialmente, palesano aspetti differenti della realtà, i quali colgono aspetti essenziali da relazionare. L’identità è possibile solo nella relazione con altre identità. Se prevale l’incultura del modello unico, maschile o femminile, non importa quale prevale, non può che esservi una regressione generale, le cui colpe cadranno sulle future generazioni che attraverseranno la storia nella cecità del pensiero unico e dei suoi perniciosi ed inaspettati effetti. Dovremmo avere il coraggio di rallentare o fermarci per capire cosa stiamo dando-donando e specialmente cosa stiamo togliendo alle nuove generazioni, ma anche a noi adulti. Non si tratta di rifiutare la contemporaneità per la conservazione, ma di disporci in modo critico ed intellettualmente onesto. I figli della rete non possono che essere il prologo per tempi inauditi. Dobbiamo armarci di coraggio civile per fermare l’inverno dello Spirito che avanza.

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Fernanda Mazzoli – Con ‘governance’ e ‘inclusione’ la colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.

Fernan Mazzoli, governance, inclusione
Colpe individuali e rimozione della politica

 

La colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.
Permette di istituire facili equivalenze immediatamente consumabili sul piano comunicativo: l’incauto camminatore che si è allontanato dalla propria casa oltre i metri stabiliti nei giorni proscritti (casomai per fare una salubre passeggiata solitaria in campagna) è additato alla pubblica riprovazione come novello untore, chi mette sbadatamente un contenitore in Tetra Pak nel bidone sbagliato della differenziata diventa un devastatore ambientale, il lavoratore che non segue l’ennesimo, ripetitivo e generico corso sulla sicurezza si configura come responsabile degli incidenti sul lavoro.
Il biasimo verso i trasgressori si abbevera alla retorica del piccolo gesto che fa la differenza. Tuttavia, la traiettoria del discorso piccola non è affatto, in quanto coglie con successo due bersagli che stanno al centro di un dominio che non si racconta più come tale.
Il primo è la rimozione del politico e del sociale, spazi per eccellenza della complessità, al fine di rigettare ogni responsabilità sul singolo: la peste del nuovo millennio corre veloce fra un aperitivo serale e un bacio ai nonni e non tra le programmate rovine della medicina territoriale, sacrificata sull’altare della progressiva privatizzazione del sistema sanitario; il saccheggio dell’ambiente non è la risultante necessaria ed inevitabile del modo di produzione capitalistico, ma la conseguenza dell’incuria del consumatore poco attento al riciclo dei materiali; gli infortuni che ogni anno mietono vittime nei cantieri e nelle fabbriche nascono dall’ignoranza e dalla distrazione dell’operaio piuttosto che dalla mancanza di adeguati dispositivi di protezione forniti dalle aziende.
Il secondo bersaglio è l’inclusione dell’ex-cittadino, ora imprenditore di se stesso, in uno spettacolo proiettato su scala globale, in cui è chiamato a giocare, in un copione scritto da altri, il ruolo di consumatore responsabile di merci ad alto contenuto simbolico ed emozionale dalla corretta fruizione delle quali dipenderebbe il buon andamento del pianeta.
In un periodo storico in cui la maggior parte della popolazione mondiale è totalmente esclusa dalle vere decisioni – al punto da ignorare spesso persino da dove provengano e in cui è preponderante il peso di organismi sovranazionali che nascondono dietro il volto algido di una tecnocrazia sorretta dall’oggettività di dati ed algoritmi, il viluppo bruciante di enormi interessi che a partire dall’economia si diramano in tutti i settori della vita associata –, non v’è politico, industriale, manager o amministratore che non agiti la bandiera dell’inclusione, divenuta il fulcro delle buone pratiche di goveranance.
Lungi dall’essere una semplice mistificazione costruita attorno ad un artificio linguistico, l’inclusione si declina piuttosto come la nuova virtù civica dell’attuale fase capitalistica, la forma ideologico-culturale in cui si traduce l’adattamento sociale.
Diversamente dal passato, questa virtù civica non si elabora nel corso di un processo di cittadinanza attiva in cui il soggetto si costruisce come soggetto politico e sociale, innanzitutto attraverso il conflitto e la messa in discussione collettiva di assetti istituzionali e di costellazioni culturali dominanti. Anzi, essa ne rappresenta la negazione, perché ignora, quando non esecra, il conflitto e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una costruzione abbozzata nei piani alti dei centri decisionali e da lì calata per una più puntuale mesa a punto nei livelli sottostanti del sistema mediatico onnipervasivo e del ceto accademico generalmente compiacente.
I destinatari del progetto inclusivo sono tenuti a collaborare, o perlomeno a non sottrarsi all’ecumenico abbraccio, e ad avanzare di tempo in tempo qualche educata riserva che attesti il loro grado di coinvolgimento e rafforzi il progetto stesso.
Chi, per svariati e anche contrastanti motivi, non prende il posto assegnato tra le fila dei soldatini del nuovo ordine mondiale confezionato con i ritagli del solidale, del sostenibile e del salutare o ne diserta provvisoriamente i ranghi, è il candidato ideale al ruolo di colpevole su cui scaricare i costi delle falle del sistema in fase di giudizioso riposizionamento dopo quarant’anni di predazione selvaggia all’insegna del neoliberismo.

 

Fernanda Mazzoli

 


Fernanda Mazzoli – Il problema non è chi taglia il traguardo: il problema è il traguardo. Nella Scuola  si vuole imporre come traguardo il passaggio dalla formazione della personalità umana alla formazione del capitale umano
Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli
Farnanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.
Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.
Fernanza Mazzoli, Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.
Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.
Fernanda Mazzoli – Leggendo il libro di Giancarlo Paciello «Elogio sì, ma di quale democrazia?».
Fernanda Mazzoli Attila József (1905-1937) – Con libera mente non recito la parte sciocca e volgare del servo. Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo.
Fernanda Mazzoli – René Char (1907-1988) – Résistance n’est qu’espérance. Speranza indomabile di un umanesimo cosciente dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia dei suoi soli, e deciso a pagarne il prezzo. Les mots qui vont surgir savent de nous de choses que nous ignorons d’eux.
Fernanda Mazzoli – Ripensare la scuola per mantenere aperta, all’interno dell’istituzione scolastica, quella dimensione “utopica” così intimamente legata all’idea stessa di educazione, idea che comporta una tensione intrinseca verso “un altrove” che nulla ha a che vedere con l’adattamento al presente.
Fernanda Mazzoli – Jules Vallès (1832-1885), Jules l’«insurgé», aveva scelto di essere un réfractaire e tale rimase per tutto il corso della sua vita. Prima, durante e dopo la Comune di Parigi.
Fernanda Mazzoli – Un libro per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo.
Fernanda Mazzoli – La poesia di Xu Lizhi nella fabbrica globale del capitalismo assoluto. La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo. Senza il tempo per esprimersi, il sentimento si sgretola in polvere.
Fernanda Mazzoli – Il romanzo di Georges Perec «Les choses» è di una attualità sconcertante. I libri, quando cercano con onestà intellettuale la verità, dicono molto di più di quel che dicono i loro autori.
Fernanda Mazzoli – Il libro di Antonio Fiocco «Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente». L’inesausta tensione progettuale per il bene comune, mai da considerarsi come acquisizione definitiva
Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
Fernanda Mazzoli – L’io minimo ai tempi dell’epidemia. Lo spiritello esangue e pervicace della mentalità di sopravvivenza. Sopravvivere diviene preferibile a vivere nella consapevolezza.
Fernanda Mazzoli – La speranza, nel libro di Arianna Fermani, forte della sua fragilità,  è apertura e rischio, si oppone alla paura, si accompagna alla fiducia e alla perseveranza, abita il campo della libertà, si confronta con la scelta, osa pensare il possibile (quando appare ancora impossibile) cercando di rendere realizzabile lo sperabile,  è slancio verso il futuro, immaginazione creatrice, fiducia in un avvenire migliore costruito con pazienza e talento. È scommessa educativa, paideia, «speranza di seminare semi e di veder nascere fiori».

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Luigi Zoja – Nella cerniera tra natura e cultura sta l’origine del padre. Il padre è costruzione. A differenza dall’essere madri, non basta generare un figlio, è necessaria anche una precisa volontà. Se ogni paternità è una decisione, ogni paternità richiede un’adozione, anche se il figlio già è stato generato da quel padre.

Luigi Zoja 002

È vero che viviamo in un’epoca di padre assente? Molti studi lanciano l’allarme e parlano della mancanza di padre come di un male senza precedenti.
Sarebbe un errore affrettarsi ad attribuire l’instabilità delle società moderne a quell’indebolimento del padre che potrebbe rivelarsi solo una delle sue manifestazioni. E sarebbe un grave limite spiegare la crisi del padre solo con il XX secolo, o addirittura con l’ultima generazione. Noteremo che l’immagine profonda del padre in Occidente è formata dal mito greco, dal diritto romano; anche se poi è modificata dalle vicende del Cristianesimo, dalla rivoluzione francese e da quella industriale. I cambiamenti degli anni Settanta, Ottanta o Novanta contano, sì, ma come increspature nello strato di schiuma che cavalca a sua volta l’onda immensa della storia.
Concentrarsi sull’attualità significa obbedire alla cultura dei mass media: a una cultura del soddisfacimento immediato, bulimico, che preferisce l’appetito momentaneo al progetto che si srotola con costanza nel tempo. Se a questo segretamente molti studi si ispirano, allora, mentre a parole piangono la lontananza di un padre buono, essi riportano in vigore quanto di più lontano c’è dalla responsabilità, stabilità, sobrietà che la tradizione – poco importa qui quanto oggettivamente – gli attribuisce. Vendere attualità è come vendere fast food: vendere molte calorie, di qualità scadente, a molti consumatori. Ma se è così – e temiamo che sia così – lo studio limitato all’attualità commette lo stesso delitto di impazienza della televisione che lentamente uccide il libro: anche quando materialmente quello studio ci viene venduto proprio in forma di libro.
[…] La comunicazione di massa, che vende sé stessa e dipende a sua volta dal mondo della vendita, tende ad accelerare i rinnovamenti di superficie. Si vende infatti di più ciò che è nuovo: come appunto sa la moda, che per vendere cambia ogni anno creando il bisogno di comprare. Questo non vuol dire che gli uomini cambino in profondità. […]
La nostra ricerca sul padre partirà quindi dalle origini più lontane che sarà possibile rintracciare. Diversi ottimi testi si sono già occupati della storia del padre; ma non della sua evoluzione psicologica attraverso i tempi. Per psicologia intendiamo, in sostanza, ciò di cui si occupa l’analista: non tanto le convinzioni e i codici del padre, che già sono sotto i nostri occhi, quanto le sue immagini e i suoi modelli più profondi, spesso inconsci o dimenticati ma ancora influenti e sorprendentemente attuali.
Questa intenzione dà al libro una struttura particolare. Non seguiremo la storia del padre secolo dopo secolo, ma ci concentreremo sui suoi passaggi psicologicamente decisivi. La preistoria del padre. Poi Grecia, Roma, avvento del Cristianesimo, rivoluzione francese e rivoluzione industriale. Infine, le guerre mondiali e la «rivoluzione della famiglia», che rendono visibile la separazione di padre e figli. Porteremo l’attenzione sul passato che non ha lasciato tracce storiche e sui miti e le norme dell’antichità, più che su religioni o codici almeno formalmente ancora in vigore. Va da sé che anche questi ultimi sono decisivi per capire il padre di oggi. Ma all’analista interessa soprattutto ciò che è meno evidente […]. A costo di affidarsi a congetture in un campo così incerto, la ricerca dell’immagine paterna ci porterà a sfondare le pareti della storia. Il primo capitolo del libro si occuperà della preistoria e della evoluzione zoologica verso il padre umano.
Nella cerniera tra natura e cultura sta infatti l’origine del padre. Lo è in quanto la famiglia monogamica patriarcale, prevalente nelle società storiche, è un prodotto della cultura e non sembra esistere in natura (ad esempio fra le scimmie antropomorfe). Lo è, poi, nel senso più ovvio: a differenza della madre, che dà vita al figlio in modo evidente, il maschio, per capire che anche lui partecipava al generare, e quindi per trasformarsi in padre, ha avuto prima bisogno di una certa capacità di ragionamento. Infine, lo è soprattutto nel senso inverso. Nel senso che non solo la cultura ci ha dato il padre, ma forse proprio la comparsa del padre (certo insieme ad altre novità, ad esempio innovazioni tecnologiche) ci ha dato la cultura: l’uscita definitiva dallo stato primordiale, dalla condizione animale. Il primo capitolo del libro ricostruirà questo processo.
Il padre è costruzione, il padre è artificio: diversamente dalla madre, che continua in campo umano una condizione consolidata e onnipresente ai livelli che contano della vita animale.
Il padre è programma – forse il primo programma –, è intenzionalità, è volontà (potrebbe corrispondere all’invenzione della volontà?) ed è, quindi, auto-imposizione. Questa sua artificialità e, data la nascita «recente», questa sua poca esperienza, portano con sé uno svantaggio inevitabile, come la mela il verme o la rosa la spina. Al di là delle apparenze imposte dalla cultura patriarcale, rispetto alla madre il padre è molto più insicuro della propria condizione. Anche se ci limitiamo agli animali comparsi per ultimi nell’evoluzione, i mammiferi, in zoologia femmine e madri sono sempre state la stessa cosa: la femmina sa come comportarsi da madre. I mammiferi maschi, invece, sono stati tali pressoché ininterrottamente senza essere padri: su centinaia di milioni di anni, solo nella specie umana e nelle ultime decine o centinaia di migliaia si può ipotizzare una condizione paterna, fabbricata senza l’aiuto di un istinto corrispondente.
In pratica, non l’evoluzione animale ma solo la storia (nel senso più vasto, che include la preistoria) e l’esistenza psichica hanno dato al maschio la qualità di padre: ed egli la stringe con più rigidità, diffidenza, aggressività e con meno spontaneità di come la madre stringe la condizione sua. Perché se solo la storia gliel’ha data, la storia se la può riprendere. Perché se non l’ha ricevuta dalla natura, ogni maschio la deve imparare nel corso della sua vita, e nel corso della vita può dimenticarla nuovamente. È proprio con questa dimenticanza che bisognerà confrontarsi.
Se il padre è più aggressivo e rigido della madre, con i figli e con il mondo, questo non corrisponde a una malattia personale di certi padri e neppure alla degenerazione di certe epoche – per esempio al sopraggiungere del patriarcato borghese – ma alla sua condizione vera, strutturale, originaria. Corrisponde alla sua natura, si potrebbe dire, se non fosse che la natura del padre è appunto il superamento di ciò che di solito intendiamo per natura. […]
Abbiamo così indicato un sentimento non confessabile di insicurezza, un’ambivalenza interna del padre. Essa corrisponde a quella esterna – alle aspettative ambivalenti dei figli verso di lui – che abbiamo chiamato «paradosso del padre».

Il secondo capitolo del libro discuterà del padre nella Grccia e nella Roma classiche. A quell’insicurezza originaria, i Greci reagiranno infatti rovesciando l’apparenza – l’apparenza, non l’insicurezza profonda – del problema, inventando la superiorità del padre sulla madre: ne faranno la base del mito e delle prime osservazioni che pretendono di essere scientifiche. Per i Greci antichi, unicamente il padre è genitore del figlio. La madre, anche durante la gravidanza, è solo una nutrice che lo alimenta: una falsa scienza che troverà seguaci fino all’epoca moderna. Non è un caso che i Greci rappresentino contemporaneamente sia l’origine della civiltà europea, sia la società che più innalza il padre rispetto alla madre. I Romani compiono un altro passo: mettono il padre al posto più alto rispetto al figlio. Ma la legge di Roma ci dice anche un’altra cosa, che ha valore per i padri di tutti i tempi: anche il padre legittimo deve compiere un atto pubblico con cui afferma la propria volontà di essere padre del figlio. Nata per distinguere i figli legittimi, questa norma inconsciamente diventa una metafora della condizione di ogni padre. Per essere padri – a differenza, non smettiamo di ripeterlo, dall’essere madri – non basta generare un figlio, è necessaria anche una precisa volontà. Ma se ogni paternità è una decisione, ogni paternità richiede un’adozione, anche se il figlio già è stato materialmente e legittimamente generato da quel padre.
Tutto questo corrisponde proprio a quanto stiamo affermando: la paternità è un fatto psicologico e culturale; la generazione fisica, a differenza della maternità, non basta ad assicurarla. Se oggi il rito del diritto romano manca e la paternità di un figlio legittimo si dà per sottintesa, ciò non esenta il padre dal compiere lo stesso processo: semplicemente, la paternità andrà espressa, costruita e scoperta non alla nascita, ma passo dopo passo nel tempo, nel rapporto padre-figlio.
[…] Che il padre, infatti, sia letteralmente adottivo o abbia anche generato il figlio non fa differenza dal punto di vista dell’incontro. Anche nel secondo caso, per la gestazione il padre lo ha affidato completamente alla madre, quindi quella che gli viene presentata è per lui una creatura nuova: per la madre il bambino è lo stesso che aveva nella pancia, per il padre lo sperma e il figlio sono due cose diverse.
Si è già capito, a questo punto, che vogliamo studiare il padre mettendo il punto di vista dalla parte del padre. Finora, questo è avvenuto raramente. Gli studi sulla madre, oltre a essere infinitamente più numerosi, sono meglio ripartiti in punto di vista della madre e punto di vista del figlio. Quelli sul padre soffrono invece anche di questo problema. […]
Il terzo capitolo del libro discuterà alcuni aspetti del padre influenzati dalla rivoluzione cristiana, dalla riforma protestante, dalle rivoluzioni americana e francese e dalle guerre mondiali […].
Chiudiamo con il peso di non avere suggerimenti. Di una cosa, però, queste pagine ci hanno convinto: la memoria non è inutile. Ci è parso che non solo il presente, ma la storia stessa del padre sia abbandonata a una tragica oscurità, e questo accende nei figli il sentimento di essere orfani da un tempo imprecisabile.
La rinuncia alla storia del padre sarebbe la rinuncia al senso della continuità che vince il tempo. Sin dall’inizio avevamo definito questa qualità come «paterna», e la nostra preoccupazione è che qualcuno ne sia il continuatore: oggi la madre, domani un figlio, dopodomani chiunque. La storia e la continuità sono, nella nostra memoria, paterne. Non possiamo rinunciarvi, proprio perché sempre più affidati al solo mondo degli oggetti di consumo, che è il mondo dell’eterno presente. […]
Noi siamo anche la nostra storia, e se non la conosciamo rinunciamo a conoscere una parte di noi stessi. Abbiamo un’identità, ma se siamo padri e non conosciamo la storia del padre avremo, come padri, un’identità anche più malsicura di quella che i tempi già ci riservano. Un padre che non conosce il passato del padre è come un americano che nulla sa dei nativi o di Washington, un francese dei Franchi o di Napoleone: può vivere, certo, ma non sa perché oggi appartiene a quella comunità e non a un’altra, non sa cos’è il popolo di cui è tuttavia parte. Così, anche un padre sarà un padre malsicuro se, pur essendone membro, non sa nulla del popolo dei padri. Certo, storia in questo caso non vorrà dire battaglie e trattati, ma atteggiamenti e consuetudini, immagini e miti. Una conoscenza di queste cose non è solo teorica, se permette al padre di guardare verso il figlio rivolgendo a sé stesso la domanda che la storia della paternità gli consegna: «Questo è mio figlio: lo è perché l’ho generato o perché l’ho scelto?».
Ma una storia psicologica dei padri è necessaria anche a molti dei figli. I quali, un giorno, vorranno uscire dal non-tempo per entrare nel tempo, e conoscere di chi sono i continuatori. Così, senza saperlo, essi aspettano di sentirla raccontare. Aspettano che qualcuno li svegli dal sonno delle azioni irriflesse, che tenda l’arco di Ulisse, e che la notte dei Proci abbia fine.

Luigi Zoja, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 17-24 e pp. 304-305.


Sommario

Luigi Zoja – Se oggi interroghiamo il nostro mondo interiore sul suo bisogno più assoluto e originario, la risposta sarà un bene in cui la giustizia non è separabile dalla bellezza.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Antonio De Curtis , Totò (1898-1967) – Il riso è l’indizio della libertà umana, è l’arboscello della gioia, ha un’importanza sociale: esso attacca, è contagioso. Il contagio del riso è spirituale: unisce gli uomini.

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Antonio De Curtis ha espresso la sua idea della comicità in una breve novella,  autobiografica, intitolata Due mamme e un comico. Il protagonista è un attore comico di nome Antonio:

«Portava sul volto, Antonio, quasi una maschera tragica: il viso scavato da rughe, l’occhio fermo e severo, il naso aquilino su una bocca a taglio netto, lo dicevano nato per i ruoli fortemente drammatici: invece era divenuto un comico, quasi avesse voluto scegliere la via più lunga e difficile per giungere al successo.
I primi anni erano stati duri: il pubblico, uso ad una comicità senza contenuto di pensiero, non sapeva assuefarsi al grottesco elaborato con il cuore e con l’intelligenza, alle pantomime che, se in superficie slargavano al riso, nel fondo compendiavano tutto l’amaro della vita. […]
Fare della comicità rappresentava per Antonio non l’esercizio di una professione più o meno lucrativa, quanto una necessità di distribuire alle platee quel dono che i Malesi chiamano “l’arboscello della gioia”, quell’arboscello che la credenza indigena vuole che cresca all’interno del corpo, con le radici che affondano nel ventre e la corona nella testa: il riso, indizio della libertà umana. Applicava nell’esplicazione della sua arte una filosofia corrente, ma senza alcun dubbio profondamente umana. Deposti gli abiti d’obbligo del pagliaccio la sua maschera tornava tragica, come se le tre ore di spettacolo avessero esaurito in lui la meravigliosa linfa, e necessitasse ogni volta di un lungo riposo, per ricaricare le pile da cui traeva il suo umorismo. E ad ogni spettacolo egli sapeva dare sempre qualcosa di nuovo, di suo: era un fisiologo della risata. “Il riso – egli aveva scritto un giorno in un articolo nel quale aveva tentato di definire la funzione del comico nella società moderna –, ha un’importanza sociale: esso attacca, è contagioso. Lo sbadiglio lo è ancora di più, ma la sua funzione è meramente corporale. Il contagio del riso è invece spirituale: esso unisce gli uomini, li livella, poiché nel momento culminante della barzelletta tutti gli uditori sono dominati dalla stessa impressione, nessuno può sottrarsi al riso. L’anima umana ha sempre il desiderio di equilibrio e di livellare i sentimenti che la agitano”. Teorie difficili da far capire a masse di diversi gusti e diverse sensibilità convenute solo per divertirsi senza prestare pensiero ad altro».

Antonio De Curtis, Totò, Due mamme e un comico, novella pubblicata su «La Domenica del Corriere», Anno 58, n. 41, 7 ottobre 1956.


Antonio De Curtis – Totò (1898-1967) – I caporali sono coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla sempre al posto di comando.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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