G. Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Amare significa gioire della felicità dell’altro. Amare sive diligere est felicitatem alterius delectari.

Gottfried W. von Leibniz 04

«Amare significa gioire della felicità dell’altro».

«Amare sive diligere est felicitatem alterius delectari».

Gottfried Wilhelm Leibniz , Opera Omnia, a cura di L. Dutens, vol. IV,, 3,
Kessinger Publishing, Whitefish (Montana) 2010, p. 295


Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l’uomo possa fare ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza.
Gottfried W. von Leibniz (1646-1716) – La causa perché la mente agisca, ovvero il fine delle cose, è l’armonia. Il fine della mente è l’armonia massima
G. Wilhelm von Leibniz (1646-1716) – Tutti i possibili, ossia tutto ciò che esprime l’essenza o realtà possibile, tendono con egual diritto all’esistenza.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Slavoj Žižek – Come fa un concetto ad emergere dalla confusa rete di impressioni che abbiamo di un oggetto? Attraverso la potenza dell’“astrazione”. La potenza assoluta della nostra mente non è vedere di più ma di meno in modo corretto.

Slavoj Žižek06

«L’atto dell’astrazione, del separare, si può anche intendere come l’atto di una cecità auto-imposta, del rifiuto di “vedere tutto”. Ciò che Hegel chiama “negatività” si può mettere anche nei termini di visione e cecità, come la potenza “positiva” della “cecità”, dell’ignorare parti della realtà. Come fa un concetto ad emergere dalla confusa rete di impressioni che abbiamo di un oggetto? Attraverso la potenza dell’“astrazione”, del renderci ciechi davanti alla maggior parte delle caratteristiche dell’oggetto riducendolo alle sue caratteristiche costitutive di base. La potenza assoluta della nostra mente non è vedere di più ma di meno in modo corretto, per ridurre la realtà alle sue determinazioni concettuali; solo tale “cecità” genera la visione delle cose per come sono realmente».

Slavoj Žižek, Disparità. Verità, bellezza, bene: i vari aspetti della differenza e del negativo spiegati come lotta filosofica e politica, Ponte delle Grazie, Milano 2017, p. 69.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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François de La Rochefoucauld (1613-1680) – L’amour-propre, l’amore di sé e di ogni cosa in funzione di sé rende gli uomini idolatri di se stessi e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi.

La Rochefoucauld 01

«L’amour-propre è l’amore di sé e di ogni cosa in funzione di sé; rende gli uomini idolatri di se stessi e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi […]. Non si può sondare la profondità né penetrare le tenebre dei suoi abissi dove, al riparo dagli sguardi più penetranti, compie mille insensibili sotterfugi. Spesso è invisibile anche a se stesso, concepisce, nutre e alleva, senza saperlo, un gran numero di affetti e di odii, a volte cosÌ mostruosi che, quando vengono alla luce, li disconosce oppure non trova il coraggio di confessarli. Da questa notte che lo occulta nascono le ridicole convinzioni che ha di sé».

François de La Rochefoucauld, Massime [1664], Rizzoli, Milano 1978.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Stefano Zamagni – La cultura della modernità è intrisa di economicismo utilitarista. Così avanza la questione della “sospettabilità” del dono. Eppure non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano importanti per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro.

Zamagnio Stefano 01

«La cultura della modernità è talmente intrisa di economicismo utilitarista che ogniqualvolta sentiamo parlare di relazione biunivoca tra due soggetti siamo istintivamente portati a leggervi un sottostnte, sia pur indiretto, rapporto di scambio di equivalenti. E questa una delle pesanti eredità intellettuali della modernità. […] È la questione – centrale nel dibattito filosofico contemporaneo – della “sospettabilità” del dono quale gesto che pretenderebbe di essere gratuito e che tuttavia appare costantemente attraversato da elementi di interesse che ne inquinano la purezza. L’unico atto possibile sarebbe allora quello della filantropia, che è perfettamente compatibile con l’assunto antropologico individualistico. […] Due sono le categorie di beni di cui tutti avvertono la necessità: i beni di giustizia e i beni di gratuità. I primi – si pensi ai beni erogati dal welfare state – fissano un preciso dovere in capo a un soggetto (tipicamente l’ente pubblico) affinché i diritti dei cittadini su quei beni vengano soddisfatti. I beni di gratuità, invece – sono tali i beni relazionali –, fissano un’obbligazione che discende dal legame che ci unisce l’un l’altro. Infatti, è il riconoscimento di una mutua ligatio tra persone a fondare l’ob-ligatio. E dunque mentre per difendere un diritto si può, e si deve, ricorrere alla legge, si adempie a un’obbligazione per via di gratuità reciprocante. Mai nessuna legge potrà imporre ai cittadini di praticare la reciprocità e mai nessun incentivo economico potrà favorire comportamenti gratuiti. Eppure non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano importanti per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro».

 

Stefano Zamagni, Avarizia. La passione dell’avere, il Mulino, Milano 2009, pp. 128-130.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Elena Pulcini – La bellezza è tale solo se riflette la singolarità della persona e la sua prismatica complessità. Essa viene uccisa dalla mimesi e dalla serialità, e fiorisce invece laddove si sottrae al confronto narcisistico imponendosi con la regale dignità della bellezza senza specchio.

Elena Pulcini 01

«La bellezza è tale solo se riflette la singolarità della persona e la sua prismatica complessità. Come l’opera d’arte, essa viene uccisa dalla mimesi e dalla serialità, e fiorisce invece laddove si sottrae al confronto narcisistico e alla dinamica invidiosa, imponendosi, nella sua aura e nella sua unicità, con la regale dignità della bellezza senza specchio».

Elena Pulcini, «Specchio, specchio delle mie brame…». Bellezza e invidia, Orthotes, Nocera Inferiore (SA) 2017, p. 108.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Gilles Lipovetsky – La seduzione di oggi si rivolge all’individuo privato e ai suoi piaceri. Una forza di attrazione sostenuta non dall’immaginario di un futuro migliore per l’umanità, ma dalle promesse di godimenti immediati dell’individuo.

Gilles Lipovetsky 02

«La seduzione di oggi non dipende più né dalla politica, né dal sacro, né dall’ideologia, ma da un’offerta concreta, multiforme, continuamente cangiante, che si rivolge all’individuo privato e ai suoi piaceri: alla seduzione politico-ideologica è subentrata una seduzione privatizzata ed esperienziale centrata sul rapporto con se stesso. Una forza di attrazione sostenuta non dall’immaginario di un futuro migliore per l’umanità, ma dalle promesse di godimenti immediati dell’individuo».

Gilles Lipovetsky, Piacere e colpire. La società della seduzione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pp. 218-219.


Gilles Lipovetsky e la società della seduzione. Se il capitalismo immateriale avanza senza limiti, ciò è possibile perché mancano le narrazioni veritative. Se la Filosofia si limita ad una critica sociologica e non propone la verità come centro di un processo rivoluzionario, la sua critica è solo puro parlare senza effetti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Guy Debord (1931-1994) – Tutta la vita delle società nelle quali regnano moderne condizioni di produzione si rivela come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.

Guy Debord 05
«Tutta la vita delle società nelle quali regnano moderne condizioni di produzione si rivela come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.
Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale».

Guy Debord, La société du spectacle, PUF, Paris 1973, p. 7; trad. it.: Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, 2001-2002.


Guy Debord (1931-1994) – Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini. È l’altra faccia del denaro. È l’ideologia per eccellenza.
Guy Debord (1931-1994) – … andate in giro a piedi … e guardate ogni cosa come se fosse la prima volta … e percepite lo spazio come un insieme unitario … e lasciarvi attrarre dai particolari.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Arnold Gehlen (1904-1976) – Gli strumenti, già all’epoca paleolitica, possono essere considerati come “concetti di pietra”, essi collegano i bisogni e i pensieri degli uomini al livello di realtà delle cose.

Arnold Gehlen
«Gli strumenti, già all’epoca paleolitica,
possono essere considerati come “concetti di pietra”,
essi collegano i bisogni e i pensieri degli uomini al livello di realtà delle cose».

Arnold Gehlen, Urmensch und Spiitkultur. Philosophische Ergebnisse und Aussagen (1975); tr. it. Le origini dell’uomo e la tarda cultura, il Saggiatore, Milano 1994, pp. 17-18.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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José Ortega y Gasset (1883-1955) – Nel turbamento l’uomo perde la possibilità di meditare, di raccogliersi in se stesso e definire ciò che crede e ciò che non crede; quello che veramente stima e quello che veramente detesta. Il nervosismo lo obnubila, lo acceca, lo obbliga ad agire meccanicamente in un frenetico sonnambulismo.

J. Ortega Y Gasset03

«Quasi tutto il mondo è turbato e, nel turbamento, l’uomo perde la sua caratteristica essenziale: la possibilità di meditare, di raccogliersi in se stesso, per porsi d’accordo con se stesso e definire ciò che crede e ciò che non crede; quello che veramente stima e quello che veramente detesta. Il nervosismo lo obnubila, lo acceca, lo obbliga ad agire meccanicamente in un frenetico sonnambulismo. Da nessun’altra parte all’infuori del giardino zoologico, davanti alla gabbia dei nostri antenati, le scimmie, ci rendiamo meglio conto del fatto che la facoltà di meditare è in effetti la caratteristica essenziale dell’uomo. Il passero e il crostaceo sono forme di vita abbastanza distanti dalla nostra, perché, confrontandoci con essi, possiamo percepire qualcosa d’altro che grosse differenze, astratte, vaghe, puramente eccessive. La scimmia però assomiglia tanto a noi che ci invita ad esaminare il paragone, a scoprire differenze più concrete e produttive. Se siamo in grado di rimanere un momento quieti a contemplare passivamente la scena scimmiesca, subito risalterà, come spontaneamente, una caratteristica che giunge a noi come un raggio di luce. È che quelle diaboliche bestiole sono costantemente attente, in perpetua inquietudine, guardando, ascoltando tutti i segnali che arrivano da ciò che le circonda, attente senza sosta al contorno, come se temessero che da lì possa arrivare sempre un pericolo al quale è doveroso rispondere automaticamente o con la fuga o con un morso, nello scatto meccanico di un riflesso muscolare. La bestia, in effetti, vive in perpetua paura del mondo, e a volte nella perpetua brama delle cose che in esso ci sono e che in esso appaiono, una smania indomabile che si sprigiona anche senza freno, nè possibili inibizioni, lo stesso che il timore».

José Ortega y Gasset, Concentrazione e Alterazione, ousia, p. 4



José Ortega y Gasset (1883-1955) – La scienza necessita di un lavoro di ricostruzione. Ciò richiede uno sforzo di unificare, ogni volta più difficile, regioni più vaste del sapere totale.
José Ortega y Gasset (1883-1955) – La filosofia è un grande desiderio di trasparenza e una risoluta volontà di mezzogiorno. La filosofia è parola, scoprire nella più grande nudità e trasparenza della parola l’essere delle cose, dire l’essere.
Salvatore Bravo – José Ortega y Gasset ci aiuta a riscoprire la concentrazione, il «theoretikós bíos» dei greci, la theoría. Così l’uomo si sottrae alla pervasività dell’eccesso di stimoli, ritorna a vivere la pienezza del tempo del pensiero, ad immergersi nel mondo per agire in esso secondo un progetto.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Henri Bergson (1859-1941) – Quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso.

Henrì Berson 003

«[…] quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette […] non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso».

«La durata assolutamente pura è la forma che prende la successione dei nostri stati di coscienza quando il nostro io si lascia vivere, si astiene da stabilire una separazione tra lo stato presente e quelli anteriori. Non vi è bisogno, per far ciò, di assorbirsi interamente nella sensazione o nell’idea che passa! ché allora, al contrario, si cesserebbe di durare. Non occorre nemmeno obliare gli stati anteriori, basta che, ricordandosi di essi, non li si giustapponga allo stato attuale, come un punto ad un altro punto, ma li si organizzi con quest’ultimo; come succede quando ci ricordiamo, fuse, per così dire, insieme, le note di una melodia. Non si potrebbe dire che, se tali note si succedono, noi le avvertiamo, non di meno, le une nelle altre, e che il loro assieme è paragonabile ad un essere vivente, le cui parti anche se distinte, si compenetrano per effetto stesso della loro solidarietà? La prova è che, se rompiamo la misura insistendo piú di quanto è necessario su una nota della melodia, non è la sua lunghezza esagerata, in quanto lunghezza, che a avvertirà del nostro errore, ma il cangiamento qualitativo, apportato da ciò all’insieme della frase musicale. Si può dunque concepire la successione senza la distinzione, e come una compenetrazione mutua, una solidarietà, una organizzazione intima di elementi, di cui ciascuno, rappresentativo del tutto, non se ne distingue, e non se ne isola, che per un pensiero capace di astrarre. Tale è senza alcun dubbio la rappresentazione che si farebbe della durata un essere, che, allo stesso tempo identico e cangiante non avesse alcuna idea dello spazio. Ma familiarizzati con quest’ultima idea, ossessionati addirittura da essa, la introduciamo a nostra insaputa nella nostra rappresentazione della successione pura; e giustapponiamo i nostri stati di coscienza in modo da avvertirli simultaneamente, non piú l’uno nell’altro, ma l’uno a fianco all’altro. In breve: noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata in estensione, e la successione prende per noi la forma di una linea continua, di una catena, le cui parti si toccano senza compenetrarsi».

Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina, Milano 2002.


Henri Bergson (1859-1941) – La memoria non è la facoltà di disporre dei ricordi in un cassetto. E cos’è la coscienza? Coscienza significa in primo luogo memoria. Ogni coscienza è anticipazione del futuro, è il tramite tra ciò che è stato e ciò che sarà, un ponte gettato fra il passato e il futuro.
Henri Bergson (1859-1941) – Il nostro carattere se non la sintesi della storia che abbiamo vissuto fin dalla nascita. È con tutto il nostro passato che noi desideriamo, vogliamo ed agiamo.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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