Pierre Zaoui – L’arte della discrezione dipende da un gesto autenticamente metafisico. Fare filosofia oggi significa innanzitutto rinunciare all’apparizione e orientare i propri pensieri su ciò che è vivo, ben lontani dal circo mediatico.

Pierre Zaoui 01

 

Salvatore Bravo

Lo spirito del tempo (Zeitgeist) si rivela solo nella discrezione, nel sospendere l’attività meccanica ed automatica dello stimolo-risposta: il filosofo deve vivere la discrezione, deve essere la parola viva della discrezione che rompe la violenza del circo mediatico dei nuovi oratores.

 

 

La discrezione
La società dei bisogni senza comunità è il luogo dell’eccesso: ogni misura è negata, messa al bando. Il consumatore – come la merce – deve apparire, essere visibile: lo splendore del patibolo (il mercato) non può che essere atto di infinita potenza. La società pornografica deve esporre, vendere, apparire: nulla deve restare implicito, nulla deve sfuggire alle maglie del controllo mediatico. In tale maniera si ottiene un duplice effetto: il mercato, come sovrano assoluto, è sempiterno, si riproduce spinozianamente nei sudditi consumatori; nello stesso tempo il suddito è perennemente sottoposto alla vigilanza del consumo. Il modo di produzione capitalistico si autogenera nei sudditi. La democrazia liturgica, suo sgabello, forma il suddito imprenditore che vota per confermare la condizione di gettatezza di ciascuno. La formazione è minima e veloce come le relazioni umane: nulla deve interrompere il ciclo di produzione ed autoproduzione dell’angloglobalizzazione (Costanzo Preve). L’esporsi continuo al mondo e nel mondo è l’altro volto del declino di una virtù che permette lo spirito di scissione (Gramsci): la discrezione. Per discrezione si intende la virtù dello scomparire, del ritrarsi dal mondo e dai suoi stimoli, per pensare, per appartenersi mediante il concetto (Begriff). L’esperienza del pensare è paragonata da Platone all’esercizio della morte (Fedone, 64A-65A; 65B-E), perché attraverso di essa ci si sottrae al mondo, per pensare, per concettualizzare. Lo scomparire (discrezione) è dunque capacità non solo di pensare, ma è di ausilio al pensiero altrui: ogni comunità solidale ed autentica (Gemeinschaft) non può che apprezzare ed educare alla discrezione, poiché il ritrarsi è lasciare spazio all’altro perché possa elaborare un percorso maieutico. L’apparire continuo, la trasparenza, l’esposizione all’abbaglio mercantile ed all’essere tracciato è un modo per rendere nulla la possibilità del pensare, è la messa in atto, con l’esca del narcisismo, dei processi di alienazione (Entfremdung). L’essere umano estraneo a se stesso ed alla comunità è così più facilmente dominabile:

«La seconda, più profonda, perché l’idea stessa di una discrezione continua costituisce quasi una contraddizione in termini. Nel suo significato etimologico, infatti, discrezione viene dal latino discretio, che significa «discernimento, separazione, distinzione», cosa che si sente ancora nell’inglese discretion, e che ha stabilito il significato matematico di discontinuo. Non potremmo dunque essere costantemente discreti, dal momento che la discrezione stessa presuppone una dialettica più sottile dell’apparizione e della scomparsa, della mostrazione e del riserbo. In ogni caso, è in questo senso che l’arte della discrezione ci sembra dipendere da un gesto autenticamente metafisico, se non addirittura all’origine teologico, che mira a costituire il suo concetto differenziandolo da esperienze prossime ma distinte tra loro: quelle antiche e mondane del tatto, del pudore, del contegno, della cortesia, e quelle religiose dell’umiltà, del distacco o del ritiro dal mondo».[1]

 

Senza discrezione non vi è che la società dei bisogni (Gesellschaft), il regno animale dello spirito nel quale ogni atomo è in preda al desiderio compulsivo di apparire-accumulare per togliere spazio vitale all’altro.

 

Totalitarismi
I totalitarismi sono sistemi in cui alla politica, alla partecipazione, alla decisione da esplicarsi nei luoghi istituzionali si sostituisce l’ossessione del controllo: ogni cittadino è un potenziale oppositore, per cui è necessario individuare modalità con cui tracciare il pensiero, orientarlo verso un obiettivo, deviarlo dal soggetto per muoverlo verso obiettivi “graditi” ed “innocui”: microfisica del controllo, trionfo della tecnocrazia.
Il totalitarismo che stiamo vivendo, il capitalismo assoluto, quantifica ogni gesto, lo misura, lo archivia per studiarne le possibilità di sublimazione mercantile, pertanto invita a parlare, a mettersi continuamente sotto i riflettori, mette in campo la filologia delle espressioni per entrare nella mente ed impiantare il desiderio del sistema capitale (Gestell). Al soggetto non deve restare nulla, solo la liturgia, il velo di Maya della democrazia formale. Senza discrezione lo spazio pubblico, che si definisce tale rispetto alla discontinuità dell’apparire, non è più tale, e dunque non vi è politica, ma solo la violenza dell’atomismo sociale:

«I totalitarismi si sono spinti al punto di dare la caccia ai segreti di ciascuno fin dentro il suo organismo (con tutta una nuova farmacopea: siero della verità ecc.), fin nei suoi sogni (manipolandone il sonno). Certo, sono avvenute cose più terribili: le sevizie passate sotto silenzio, i massacri di massa, Auschwitz e Kolyma. Ma nell’ordine dell’infamia, può essere che questa impossibilità di nascondersi venga subito dopo questi orrori sconvolgenti. Perché una vita senza segreto, senza mistero, senza zone d’ombra, senza spazi interstiziali tra sé e gli altri, così come tra sé e sé, è una vita destinata al terrore assoluto e senza limiti, che alla fine distrugge in noi ogni residuo di umanità. Hannah Arendt l’aveva già capito molto bene sin dalla fine degli anni Quaranta: “Premendo gli uomini uno contro l’altro, il terrore totale distrugge lo spazio tra essi”. Ora, questo «spazio tra», questo Zweiraum, è lo spazio minimo della libertà, che permette di avvicinarsi e allontanarsi in modo alternato, di parlare e tacere, di farsi vedere e nascondersi, ed è uno spazio molto più vitale dell’immondo Lebensraum hitleriano. È in questo senso, d’altronde, che i sistemi totalitari si distinguono dalle semplici tirannie “ordinarie”: queste si accontentavano di eliminare gli oppositori politici palesi e la vita politica libera, ma lasciavano il resto della popolazione in una penombra più o meno tranquilla, mentre i sistemi totalitari fanno di ogni cittadino un potenziale oppositore o traditore, che va quindi sorvegliato e controllato costantemente. Le tirannie distruggevano ogni spazio e ogni tempo pubblico, i totalitarismi colonizzano e distruggono ogni spazio e ogni tempo, di tutti e di ciascuno. Le tirannie obbligano tutti alla discrezione, a ritirarsi dalla vita pubblica, ma i totalitarismi si spingono fino a distruggere la possibilità stessa della discrezione – quella che Hannah Arendt chiama desolazione (loneliness), ovvero una solitudine radicale e senza alcuna apertura possibile al di fuori di sé».[2]

I totalitarismi esigono che vi sia l’olocausto (hòlos, “tutto intero”, e kàiō, “brucio”) della discrezione, puntano sulla colonizzazione della mente, sulla separazione, sulla frammentazione. I processi di individualizzazione e soggettivizzazione sono finalizzati a rendere impossibile l’opposizione, a ridurla ad una presenza marginale e silenziosa, le luci del narcisismo di massa soverchiano lo spirito di scissione, lo rendono un’inutile variabile del sistema capitale.

 

Discrezione e filosofia
L’opposizione, il no concettualizzato, malgrado tutto esiste, perché se si crede nell’essenza della natura umana (Gattungswesen), non si può che agire e sperare, affinché la vita umiliata ed offesa possa riconoscere e razionalizzare lo stato presente. Il filosofo, per essere tale, deve sottrarsi al gioco dell’apparire per coltivare la discrezione, virtù del pubblico; la parola del filosofo e degli amici della conoscenza devono circolare, perché possa formarsi la consapevolezza pubblica, per la quale sono necessarie le contingenze storiche ed i concetti:

«Certo, Deleuze e Hegel sostengono filosofie antagoniste, ma è giocoforza constatare che sono d’accordo almeno su un punto, forse uno solo, però in concordanza assoluta: il grigio è il vero colore della vita dello spirito. Perché non bisogna lasciarsi imbrogliare dalla finta malinconia di Hegel: in verità, non rimpiange nulla degli ori e dei colori del passato, di un’arte del bello che non ha più nulla da dirci, ama il grigio, la secchezza del concetto, la riduzione di ciò che appare variopinto a ciò che scompare nella propria verità. E, altrettanto, non bisogna lasciarsi ingannare dall’apologia di Deleuze e Guattari in favore di tutti i desideri, di tutte le forme di vita: in verità, sono anch’essi sedotti quanto Hegel dall’asciuttezza e dalla spoliazione del pensiero, tanto da arrivare a sostenere, nell’Anti-Edipo, che non sopportano i marginali perché «danno troppo nell’occhio». Il punto è questo: dall’inizio del XIX all’alba del XXI secolo, i filosofi, anche i più distanti tra loro, hanno condiviso la passione per il discreto, l’impersonale, il non appariscente, vale a dire per il pensiero più che per il mostrato, e hanno anche mandato completamente in frantumi il modello antico e medievale che voleva che ogni non-apparizione, discrezione apparente, non lo fosse che in nome di un’apparizione più reale, in sé (ai propri occhi) o a venire (agli occhi di tutti, un giorno, nella posterità). La discrezione ha smesso di essere pensata e vissuta come l’attesa del suo contrario, è diventata affermazione di se stessa. Da un simile punto di accordo, si può trarre forse un unico insegnamento, ma di grande peso: fare filosofia oggi, quali che siano il suo livello e le sue pretese, significa innanzitutto rinunciare all’apparizione. Non tanto perché sarebbe un male in sé, ma perché vorrebbe dire rinunciare a pensare lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, che si trova appunto nella scomparsa, la discrezione. Da questo punto di vista, non bisogna dunque formalizzarsi troppo rispetto a tutti quelli che, ancora oggi, si lasciano reclutare nel circo mediatico o sociale: non sono colpevoli, stanno semplicemente dalla parte di uno spirito che è morto. Si tratta unicamente di orientare i propri pensieri su ciò che è vivo: tutto ciò che si vive, si crea, si pensa, si condivide oggi è ben lontano da un simile circo».[3]

 

Lo spirito del tempo (Zeitgeist) si rivela solo nella discrezione, nel sospendere l’attività meccanica ed automatica dello stimolo-risposta: il filosofo deve vivere la discrezione, deve essere la parola viva della discrezione che rompe la violenza del circo mediatico dei nuovi oratores.

Salvatore Bravo

[1] Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, il Saggiatore, Milano 2015, pag. 18.

[2] Ibidem, pag. 55.

[3] Ibidem, pag. 64.