Rudolf Steiner (1861–1925) – Se si vorrà realizzare un ordinamento economico comunitario, lo si potrà fare solo animandolo a partire da una vita culturale autonoma. Solo così sarà possibile creare un futuro fecondo.

Rudolf Steiner 01

 

Salatore Bravo
La cultura, la politica, l’economia di Rudolf Steiner
 

Il materialismo ateo della nostra epoca proclama la libertà, ne fa una bandiera con cui piegare ogni resistenza. Ogni dialettica è negata in nome della verità, dell’ateismo materialista che crede solo nell’empirismo produttivo. Il capitalismo assoluto – col suo materialismo ateo – inibisce ogni processo veritativo, censura gli autori che hanno fatto della verità il senso della loro ricerca. La censura non avviene nella forma tradizionale della proibizione disciplinare, ma si concretizza con la riduzione della visuale cognitiva ed emotiva degli esseri umani all’immediatezza dell’empirismo. L’assenza di verità, il relativismo tecnocratico, è il postulato con cui interdire ogni postura veritativa. Il capitalismo speculativo nega l’esistenza della verità, inibisce ogni ricerca della verità, previene la possibilità che l’essere umano possa ascoltare il vuoto ontologico che motiva la ricerca, l’elevazione dall’individuale all’universale. L’ateismo è adialettico, immobile, pur esaltando il movimento come semplice atto poietico; in realtà, la coazione a ripetere riproduce l’eternità nel movimento perenne della produzione del plusvalore.

Solitudine globale e cosmica
La mannaia della censura è caduta su Rudolf Steiner (Murakirály, 25 o 27 febbraio 1861 – Dornach, 30 marzo 1925) teosofo austriaco, la cui spiritualità libera e sperimentatrice non si concilia con l’ateismo del capitalismo assoluto. Pertanto il suo nome, la sua ricerca, le sue osservazioni critiche sono state spinte al margine dei grandi dibattiti fino a scomparire dall’orizzonte culturale. La superstizione materialista fonda il suo giudizio su postulati indiscussi, per cui autori come R. Steiner – che sfuggono alle categorie correnti – sono semplicemente esclusi dai programmi di studio delle accademie. Le loro opere sono di difficile reperibilità e specialmente le loro tesi sono rigettate senza dialettica. La censura opera secondo modalità nuove, lascia cadere un autore nel dimenticatoio, nell’oblio o lo si stigmatizza in modo da causare un rifiuto preconcetto che ne impedisce la conoscenza. La Filosofia è ricerca della verità, vive della tensione dialettica, pertanto argomenta, seleziona, corrobora in modo da trarre da ogni esperienza umana possibilità veritative. In Rudolph Steiner è forte la critica sociale al capitalismo, alla riduzione dell’essere umano ad astratto esecutore di ordini produttivi. Nei suoi scritti è notevole la presenza di plessi argomentativi che denunciano la riduzione dell’essere umano a semplice mezzo della produzione alienato dalla capacità di sentire fluire la vita dentro di lui, la comunità e l’ambiente. La solitudine dell’essere umano non è solo globale, ma cosmica: la meccanizzazione isola dalla vita. Il capitalismo ha reso l’essere umano astratto dalla vita, semplice pensiero calcolante. La devitalizzazione ha comportato lo svuotamento delle energie creative che gli consentono di vivere la presenza dell’altro come occasione di completamento della sua persona.

Meccanizzazione dell’essere umano
La meccanizzazione avvolge l’essere umano per separarlo dal mondo. In tal modo si depotenzia la persona delle sue energie spirituali, lo si disumanizza per poterlo controllare, ma specialmente lo si rende docile, perché avulso dal suo ambiente e da relazioni umane di senso:

 

«Dall’antico artigianato si sprigionava ciò che rispondeva alla domanda sul valore e la dignità dell’uomo. La macchina astratta non dà alcuna risposta in merito. L’industrialismo moderno è come una rete meccanica che viene tessuta attorno all’uomo, in cui l’uomo si trova irretito senza però avere in cambio la soddisfazione che provava di fronte al prodotto del lavoro artigianale. E così ha avuto origine la frattura nei confronti di coloro che lavoravano come classe operaia industriale dell’era moderna, quelli che stavano alle macchine, in fabbrica e che dal loro ambiente meccanizzato non potevano più trovare la fede nell’antica visione ancora piena di vita, che dovevano dar l’addio a tutto un patrimonio con cui non avevano più nulla a che fare, che accettavano la sola e unica spiritualità prodotta dalla cultura moderna, e cioè la concezione del mondo ad orientamento scientifico».[1]

Memoria e vita
La memoria del passato è forza plastica, implica la comparazione veritativa, realtà che nella loro differenza ci restituiscono elementi di giudizio sul presente. L’abolizione della memoria storica ha la sua ragione ideologica nella naturalizzazione del presente. Se il passato scompare, come il futuro, il presente è esente da raffronti critici. In tal modo lo si eternizza, lo si magnifica, lo si rende al di là del bene e del male, in quanto non lo si ritiene uno dei modelli possibili di vita, ma l’unico possibile:

«L’antica visione del mondo non voleva trasmettere solo pensieri, voleva dare all’uomo qualcosa che gli mostrasse che il suo spirito vive veramente in comunicazione con le entità spirituali del mondo. Le antiche concezioni di vita volevano dare allo spirito dell’uomo lo spirito, quella nuova invece gli dava “solo pensieri” e soprattutto nessuna risposta al quesito sulla vera natura dell’uomo. Perciò venne vissuta come un’ideologia». [2]

Sudditanza e paradigma del dominio
La meccanizzazione della vita ha prosciugato la vitalità critica. Straniero a se stesso, l’essere umano diviene parte di un immenso meccanismo produttivo che gli insegna la sudditanza, la passività dinanzi alla vita, anzi la vita gli è estranea. Si ritrova solo con se stesso. Il mondo non gli causa interesse, semplicemente lo riduce a materia da dominare. Il dominio è il paradigma esistenziale e collettivo a cui obbedisce. Domina perché è dominato. È giudicata negativamente “utopica” ogni teoria che vorrebbe strapparlo dallo stato di mortificazione in cui è caduto:

«E poiché le cose stanno così, poiché si è sviluppata una vita culturale che nell’ambito dell’economia è diventata, per esempio in campo universitario, un passivo osservare, un semplice rilevare i fatti non più in grado di generare le forze di un volere sociale – poiché si è giunti al punto che i migliori filantropi come Saint-Simon, Louis Blanc e Fourier hanno elaborato degli ideali sociali a cui nessuno crede, poiché ciò che proviene dallo spirito viene sentito come utopia, come pura e semplice ideologia, proprio perchè è una realtà storica il fatto che si è sviluppata una vita culturale che ha solo una funzione di sovrastruttura della vita economica, che non interviene nei fatti e che viene perciò vissuta come ideologia –, è proprio per tutto questo che la questione sociale va intesa in primo luogo come questione culturale-spirituale».[3]

 

Qualità e quantità
l punto nodale del problema è che tipo di comunità umana si progetta di costruire. Se la valutazione ha come fuoco la categoria della quantità, inevitabilmente la comunità sarà curvata sull’atomismo individualistico, sulla competizione, sull’accumulo e sul saccheggio delle risorse naturali. La domanda fondamentale è dunque se si vuole vivere da esseri umani. La comunità è a misura di persona: ma ciò avviene se le parti si integrano con il tutto non semplicemente in modo organicistico, ma mediante l’accoglienza delle parti, con la loro valorizzazione umana. Senza solidarietà non vi è che la solitudine di massa, la violenza legalizzata dell’economia e della giurisprudenza, della struttura e della sovrastruttura:

«Il primo consiste nel fatto che per contribuire in qualche modo alla comunità, al lavoro comune, alla creazione di valori e beni comuni – cosa assolutamente indispensabile nella società moderna per la salute di un ordinamento sociale –, l’uomo deve in primo luogo disporre dell’attitudine individuale, del talento individuale, della capacità individuale di far qualcosa. Il secondo è che l’uomo deve poter andare d’accordo con i suoi simili, deve poter collaborare in pace con loro. E il terzo è che deve trovare un posto da cui fare qualcosa per gli altri con il suo lavoro, con il suo operato, con le sue prestazioni. Per quanto concerne il primo punto, l’uomo ha bisogno che la società lo aiuti a formare le sue capacità e i suoi talenti, che guidi la sua mente, rendendola al contempo in grado di guidare il suo lavoro fisico. Per il secondo, l’uomo ha bisogno di potersi inserire in una struttura sociale tale per cui gli uomini vadano d’accordo tra loro così da lavorare insieme in pace. Il primo elemento ci porta nell’ambito della vita culturale. Nelle prossime conferenze vedremo come la cura della vita culturale sia in relazione con il primo punto. Il secondo ci porta nell’ambito della vita giuridica, che può formarsi secondo la propria natura solo se si trova in una struttura sociale tale per cui gli esseri umani collaborino in pace fra loro e in pace provvedano al sostentamento reciproco».[4]

Associazionismo come modello di integrazione delle parti
La rivoluzione è reale solo se parte dal basso, dal popolo: l’associazionismo è già esercizio di comunità e politica e quindi sospensione della passività. Con l’associazionismo i lavoratori si riappropriano – con l’attività produttiva – di se stessi, si scoprono motori della storia, della giustizia sociale e dunque riportano la creatività critica dove regnava la passività materialistica dell’economicismo:

«Nella seconda conferenza ho infatti mostrato come nel campo della vita economica dovranno sorgere associazioni tra i vari settori di produzione, associazioni fra i rami di produzione e i consumatori, di modo che coloro che commerciano e coloro che consumano a livello economico si debbano consociare fra loro. Le associazioni stipuleranno fra loro dei contratti. AΩlizzazione aspirano a una volontà collettiva, solo che spesso si immaginano la faccenda in un modo estremamente confuso, tutt’altro che sensato. Proprio come la volontà del singolo ha agito nella comunità in seno alla società di conquista, di potere, così nella società organica del futuro dovrà esserci una volontà concertata che diventi operante nel singolo individuo».[5]

 

Cultura è vita
La cultura è spirito che vivifica ed unisce. La cultura infrange il velo di Maya della meccanizzazione, fonda la comunità sulla partecipazione delle parti in vista di un comune obiettivo. La cultura – non più calcolo, non più fondo di investimento o mezzo per dominare – diventa forza vitale che garantisce la comunità dalle spinte individualistiche. La cultura è sguardo sull’infinito:

«Se quindi si vorrà realizzare un ordinamento economico comunitario, lo si potrà fare solo animandolo a partire da una vita culturale autonoma. Solo così sarà possibile creare un futuro fecondo, se dall’altra parte quanto viene pensato nella libera vita culturale si rifletterà nella vita economica. E questa vita culturale libera non si rivelerà impratica, al contrario, dimostrerà di essere molto pratica. Solo chi indugia in una vita culturale non libera si limita a speculare sul bene e sul male, sul giusto e sul vero, sul bello e sul brutto – che però vivono solo dentro la sua anima. Ma colui che, grazie alla scienza dello spirito, vede lo spirito come qualcosa di vivente, colui che lo osserva grazie a una conoscenza spirituale, diventa pratico in ogni sua azione, soprattutto per quanto concerne la vita umana. Ciò che accoglie in sé dalla visione spirituale si infonde immediatamente cultura politica economia nelle sue mani, si trasfonde in ogni faccenda pratica, si conforma in modo da inserirsi direttamente nella vita concreta. Solo una cultura avulsa dalla vita pratica perde il contatto con la realtà. Una cultura a cui è concesso di esercitare la propria influenza sulla vita pratica diventa prassi di vita. Direi che chi conosce davvero la vita culturale sa quanto è vicino alla vita pratica ogni elemento culturale lasciato libero di seguire il proprio impulso».[6]

Resistenza critica
La resistenza al capitalismo nella fase attuale necessita di un’azione multifocale all’interno della quale far emergere i pensatori che sono stati sommersi dalla censura operante e silente. È una modalità con cui dimostrare quanto la libertà – se intesa come fondamento ideologico dell’attuale sistema – è libertà del plusvalore, delle merci, dell’usorocrazia, ma non è libertà del pensiero. Senza confronto dialettico con le critiche al sistema, senza l’elaborazione attiva di un’alternativa che passi dalla riflessione di autori che hanno proposto percorsi altri rispetto al sistema capitalistico, non vi è libertà, ma conservazione ideologica e violenta, poiché alla dialettica si sostituisce l’ostracismo, la dimenticanza, la tolleranza senza dibattito. Rudolf Steiner è praticamente scomparso dalla scena culturale o ci si limita a citarlo per l’antroposofia. Ma i suoi scritti denotano una sedimentazione culturale molto complessa, una proposta di temi e problematiche da cui si può attingere per guardare il presente da un punto di vista altro. Limitarsi a guardare l’età contemporanea solo dal punto di vista della cultura liberale è la strategia con cui si vuole attuare il materialismo ateo e la fine della storia. Si dichiara il trionfo del prospettivismo, ma solo all’interno del positivismo meccanicistico. Pertanto confrontarsi con autori che esulano dal prospettivismo programmato ed ideologico è un modo per uscire dall’abbrutimento della caverna del plusvalore assoluto e relativo.

Salvatore Bravo

[1] Rudolf Steiner, Cultura, Politica, Economia. Verso una triarticolazione dell’organismo sociale, Pensarelibero, 2012, p. 32.

[2] Ibidem, p. 33.

[3] Ibidem, p. 35.

[4] Ibidem, p. 41.

[5] Ibidem, pp. 218-219.

[6] Ibidem, pp. 220-221.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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