Salvatore Bravo – Siamo nella rete della globalizzazione della chiacchiera, ma abbiamo l’illusione di essere liberi. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto.
Salvatore Bravo
Globalizzazione della chiacchiera
L’impero della chiacchera
La globalizzazione neoliberista non si può ridurre a mera espansione geografica, ad avanzamento bellicoso dell’occidentalizzazione anglosassone. La sua espansione imperiale avviene nell’invisibile, nella mente: le coscienze sono coartate dalla struttura economica, sono curvate all’avanzamento della globalizzazione neoliberista. Il capitalismo attuale è stato definito immateriale, non solo per l’uso del digitale e degli algoritmi, ma anche per il potere di incantare che ha assunto, di suscitare illimitati desideri.
Heidegger, in Essere e Tempo, ha ben interpretato il significato profondo dell’espressione modo di produzione capitalistico, il quale si connota per un movimento anonimo ed autonomo che ingloba le coscienze, le rende irrilevanti (Man). L’ambizione del modo di produzione capitalistico è svilupparsi, in modo meccanico, attraverso le coscienze sussunte all’impianto capitalistico (Gestel). Non a caso il linguaggio comune non solo ha adottato la lingua del vincitore, l’inglese commerciale, ma specialmente sostituisce il concetto (Begriff) con la chiacchiera (Gerede) o con la gestualità seduttiva.
La chiacchiera si diffonde nel discorso come nella scrittura, il nichilismo pervade il quotidiano nella forma della passività che la chiacchiera comporta. L’attività è nella scelta dell’offerta mercantile, sempre più individualizzata. Consumatori attenti ai propri desideri scrutano i prodotti, alla ricerca della merce a loro misura, l’incantatore sibila: «Ce n’è per tutti i gusti». L’individualizzazione estrema depoliticizza, per cui il pubblico è valutato in relazione ai bisogni del cliente-consumatore.
La chiacchiera è orientata al privato, il pubblico è solo un mezzo per esaudire narcisismi illimitati. Heidegger nel paragrafo trentacinque di Essere e Tempo, così descrive l’impero della chiacchiera:
«Il sentire e il comprendere sono ormai vincolati anticipatamente a ciò che è detto come tale. La comunicazione non “partecipa” il rapporto originario all’essere dell’ente di cui si discorre […]. Ciò che conta è che si discorra. L’esser-stato-detto, l’enunciato, la parola, si fanno garanti dell’esattezza e della conformità alle cose del discorso e della sua comprensione. E poiché il discorso ha perso, o non ha mai raggiunto, il rapporto originario con l’ente di cui si discorre, ciò che esso partecipa non è l’appropriazione originaria di questo ente, ma la diffusione e la ripetizione del discorso. Ciò-che-è-stato-detto si diffonde in cerchie sempre più larghe e ne trae autorità. Le cose stanno così perché così si dice. La chiacchiera si costituisce in questa diffusione e in questa ripetizione del discorso nelle quali l’incertezza iniziale in fatto di fondamento si aggrava fino a diventare infondatezza. Essa trascende il campo della semplice ripetizione verbale, per invadere quello della scrittura sotto forma di “scrivere pur di scrivere”. In questo caso la ripetizione del discorso non si fonda sul sentito dire, ma trae alimento da ciò che si è letto in modo superficiale. La capacità media di comprensione del lettore non sarà mai in grado di decidere se qualcosa è stato creato e conquistato con originalità o se è frutto di semplice ripetizione. La comprensione media non sentirà mai neppure il bisogno di una distinzione di questo genere, visto che essa comprende già tutto. La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica, ma un fattore determinante che la favorisce. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto».[1]
La chiacchiera è mortifera, le parole scorrono senza dire nulla, è il nichilismo nella forma compiuta, con l’irrilevanza linguistica dei significati: la merce non trova limiti, diviene il fondamento della vita sociale. La nuova rivoluzione copernicana ha al centro la merce, l’essere umano è complementare.
La chiacchiera, con la tracotanza nichilistica che la connota, con la fascinazione del nulla e della libertà dal logos, attacca con la testa d’ariete dell’edonismo ogni linguaggio altro, sostituisce il logos con il flatus vocis della propaganda, della quantità senza qualità.
Gli economisti all’assalto del logos
Il concetto è attività pensante soggettiva e comunitaria, capacità di astrarre la verità che si cela e si manifesta nei fenomeni; la chiacchiera è anonima, si parla di tutto per non cambiare nulla, per restare invischiati negli stimoli visivi. La comunità è sostituita dalla comunanza, ovvero dalla giustapposizione di individui che convivono nello stesso spazio, ma senza fondamento comune. Non a caso la comunanza è anche degli animali non umani.
La globalizzazione non si può denominare società dell’immagine, ma società dello stimolo visivo, poiché l’immagine presuppone l’astrazione, la consapevolezza della discrasia tra copia ed autentico, tra vero e falso. Lo stimolo visivo è acefalo, immediato, acquisito nella ripetizione. Ci troviamo dinanzi ad un fenomeno storico nuovo, complesso, anzi potremmo parafrasare Hegel ed affermare che il noto è sconosciuto. Se ci si limita allo stimolo visivo si cade nella caverna, ma se ci si astrae da essa, non è difficile rendersi conto che il messaggio che sottintende lo stimolo visivo è unico: il plusvalore-feticcio dell’Occidente.
Non a caso il feticcio è una metafora di derivazione religiosa utilizzata da Marx. Enrique Dussel, in Le metafore teologiche di Marx (a cura di A. Infranca, Inschibboleth, Roma 2018) ha mostrato che nel percorso di Marx dai compiti svolti alle scuole medie al Capitale, il feticismo è stato il fil rouge della sua opera. Il capitale, come Mammona nel Nuovo Testamento, si è reso autonomo: i creatori sono sudditi del creato, l’ascetismo mondano è realizzato. Senza metafisica, il cui piano logico precede il piano ontologico, la verità storica diventa misteriosa e distante: incombe, come Il Castello di Kafka, sui sudditi. Il modo di produzione capitalistico si è installato nelle coscienze, poiché ogni capacità razionale di mediazione, ogni processualità logica ed ontologica è stata sostituita dal risultato, dalla logica della quantità senza riflessione qualitativa.
In questo contesto la globalizzazione è sovrana, in quanto i sudditi sono stati privati della metafisica. Pur di affermare la logica dell’interesse personale, in nome del valore di scambio, gli economisti, novelli oratores dei potentati, i nuovi intellettuali, si lanciano in ipotesi metafisiche: la natura umana è improntata all’utile, allo scambio. Naturalmente si ipostatizza un dato storico in modo integralista. Ovvero, se l’essere umano non ha altra motivazione al suo agire che l’interesse personale, ogni gesto quotidiano si può decodificare alla luce del solo interesse personale:
«Recentemente, tuttavia, molti economisti si sono dati un progetto ancor più ambizioso. Ciò che l’economia offre, sostengono, non è semplicemente un insieme di intuizioni sulla produzione e sul consumo di beni materiali, ma anche una scienza del comportamento umano. Al centro di questa scienza vi è un’idea semplice ma di vasta portata: in tutte le sfere della vita il comportamento umano può essere spiegato assumendo che le persone decidono cosa fare soppesando i costi e i benefici delle opzioni che hanno di fronte e scegliendo quella che credono dia loro il massimo benessere o la massima utilità».[2]
“Incentivize”, incentivare”
La mano invisibile di Adam Smith è ora mano pesante, reca con sé la forza di gravità, separa, divide, ma non ridistribuisce nulla, anzi si giustifica la concentrazione delle ricchezze e si colpevolizza coloro che non sono all’altezza della natura umana. Le istituzioni sono giudicate per la capacità di astrarre da ciascuno la “naturale” tendenza alla valorizzazione: oscena e scandalosa diventa la motivazione ad agire per passione, per la collettività. Il criterio di giustizia che in Platone, nella Repubblica, era a ciascuno secondo la sua predisposizione, ora diventa a ciascuno secondo la sua rapacità:
«L’economista-tipo vive nell’incrollabile convinzione che l’umanità non sia ancora riuscita a inventarsi un problema che lui non saprebbe facilmente risolvere, se solo gli fosse data piena facoltà di varare un opportuno piano di incentivi. Un piano magari poco democratico, e non avulso da coercizioni, spropositate sanzioni, soppressione delle libertà pubbliche e altro ancora, ma statene pur certi, almeno il problema verrebbe risolto. L’incentivo è come un proiettile, o una piccola leva, o una chiave: un oggetto minuscolo eppure dotato dello strabiliante potere di cambiare la situazione una volta per tutte. Ciò è ben lontano dall’immagine del mercato come di una mano invisibile formulata da Adam Smith. Una volta che gli incentivi diventano “la pietra angolare della vita moderna”, il mercato appare come una mano pesante e manipolatoria. (Ricordate gli incentivi monetari per la sterilizzazione e per i bei voti). “Il grosso degli incentivi non piove dal cielo” osservano Levitt e Dubner. “Qualcuno – un economista o un politico o un genitore – deve inventarseli”. L’uso crescente di incentivi nella vita contemporanea, e il bisogno che hanno alcuni di inventarli deliberatamente, si riflette in un nuovo goffo verbo che è diventato moneta corrente di recente: “incentivize”, incentivare”».
Si vuole cambiare l’essenza umana comunitaria, per cui si introducono vocaboli che devono orientare verso l’utile personale, nessuno spazio dev’essere lasciato ai valori che conservano il senso del limite o l’agire in modo disinteressato. Non resta che un’umanità schiacciata sotto le rovine dell’utile: un intero pianeta brucia, ma non si vuole affrontare l’ideologia globale che, mentre si espande, distrugge. Ci si limita ad enumerare i successi immediati per tacere le conseguenze globali del nuovo integralismo.
Cartelloni cranici
Siamo nella rete, ma abbiamo l’illusione di essere liberi. Il corpo umano, la pelle se lasciata libera dallo spazio pubblicitario è uno spreco, è spazio vuoto, scandalo in quanto non usato dal mercato, ed ecco che la pelle frontale può essere estensione da utilizzare per la pubblicità, con il vantaggio che gli esseri umani camminano e portano ovunque il mercato, lo stimolo visivo è così sempre oggetto di un unico messaggio: comprare!
Si approfitta dell’indigenza come del precariato ontologizzato per usare gli esclusi come mezzi per il business dei vincitori:
«Pochi anni più tardi, un’agenzia pubblicitaria di Londra cominciò a vendere spazi pubblicitari sulla fronte delle persone. Diversamente dalla promozione di Casa Sanchez, i tatuaggi erano temporanei, non permanenti. Ma la posizione era più vistosa. L’agenzia reclutò studenti universitari disposti a indossare i loghi commerciali sulla propria fronte per 4,20 sterline (cinque euro circa) all’ora. Un potenziale sponsor elogiò l’idea, sostenendo che le pubblicità sulla fronte erano “un’estensione del cartello pubblicitario ‘sandwich’, solo un po’ più biologico”». [3]
Esseri umani trasformati in cartelloni cronici, svelano in modo lapalissiano la verità del capitalismo assoluto, ma l’oscurantismo ideologico, la logica della trasformazione di tutto in mezzo impedisce la lettura di tale palese evidenza:
«Altre agenzie pubblicitarie svilupparono varianti della pubblicità sul corpo. Air New Zealand assunse trenta persone in qualità di “cartelloni cranici”.[4] I partecipanti si rasarono le teste e portarono un tatuaggio temporaneo sulla nuca che recitava: “Hai bisogno di cambiare? Corri in Nuova Zelanda”. Il compenso per esporre la pubblicità commerciale cranica per due settimane: un biglietto di andata e ritorno per la Nuova Zelanda (del valore di 1200 dollari) o 777 dollari in contanti (che alludevano simbolicamente al Boeing 777 in uso presso la compagnia aerea)».[5]
Si incentiva la sterilizzazione dei soggetti deboli e dalle vite tormentate. Il tossicodipendente – che si incentiva a sterilizzarsi – è probabile che usi il denaro per la tossicodipendenza. Si circuiscono coloro che non hanno strumenti cognitivi e situazionali per potersi difendere. Se la legge del più forte è la legge di natura, non vi è crimine, anzi i deboli pagano una loro ontologica debolezza, la loro imperfezione rispetto a coloro che incarnano in modo ottimale la “vera” (per il capitale) natura umana:
«Chi critica il progetto lo definisce “moralmente riprovevole”, una “mazzetta per la sterilizzazione”, e sostiene che offrire alle tossicodipendenti un incentivo economico per rinunciare alla propria capacità riproduttiva equivalga a una coercizione, specialmente perché il programma si rivolge a donne vulnerabili dei quartieri poveri. Chi critica il programma deplora il fatto che, piuttosto che aiutare le beneficiarie a superare la propria dipendenza, il denaro la sovvenziona. Come afferma un volantino promozionale del programma: “Non lasciare che una gravidanza rovini la tua dipendenza dalla droga”». [6]
Privatizzazione del potere
La politica perisce sotto i colpi dell’interesse privato, al punto che negli Stati Uniti è possibile pagare un biglietto per assistere alle sedute dl Congresso; in questo modo i potentati politici possono essere informati in diretta delle decisioni politiche ed intervenire per evitare che ne vengano lesi gli interessi:
«Un’obiezione riguarda l’equità: è iniquo che i ricchi lobbisti possano monopolizzare il mercato delle sedute del Congresso, privando i cittadini comuni della possibilità di assistervi. Ma l’accesso iniquo non è l’unico aspetto problematico di tale pratica. Supponiamo che i lobbisti siano tassati quando ingaggiano le società di line-standing e che i ricavi siano utilizzati per servizi di line-standing alla portata dei cittadini comuni. I sussidi potrebbero prendere la forma, per esempio, di buoni convertibili in tariffe scontate delle compagnie di linestanding. Un tale schema potrebbe attenuare l’iniquità del sistema attuale. Rimarrebbe però un’ulteriore obiezione: trasformare l’accesso al Congresso in un prodotto in vendita lo sminuisce e lo degrada. Da un punto di vista economico, consentire il libero accesso alle sedute del Congresso “sottoprezza” il bene, dando origine alle code. L’industria del line-standing rimedia a questa inefficienza stabilendo un prezzo di mercato. Alloca posti nella sala delle sedute a chi è disposto a pagarli di più. Ma questo valuta il bene del governo rappresentativo nel modo sbagliato. Lo si può vedere più chiaramente se ci si chiede in primo luogo perché il Congresso “sottoprezzi” l’ammissione alle proprie deliberazioni. Supponiamo che il Congresso, fortemente intenzionato a ridurre il debito statale, decida di far pagare l’ingresso alle proprie sedute – 1000 dollari, per esempio, per un posto in prima fila all’Appropriations Committee. Molte persone avrebbero da obiettare non soltanto perché far pagare l’ingresso è iniquo nei confronti di quelli che non possono permetterselo, ma anche perché far pagare il pubblico per assistere a una seduta del Congresso è una forma di corruzione» [7].
La privatizzazione del pubblico comporta la legalizzazione della corruzione, pertanto la cultura della legalità e delle regole vale solo per i non appartenenti al mondo privilegiato del denaro. Di conseguenza il nichilismo, con la corruzione e la valorizzazione del capitale, sono i perversi dis-valori della globalizzazione.
Radicalità senza catastrofismo
Nessun dio verrà a salvarci: chiedere ai proprietari dei mezzi di produzione di autoriformarsi è un’ingenuità colpevole. La salvezza verrà dalla base, dalla riflessione sugli esiti esiziali di tale sistema, perché l’essenza umana è logos ed in quanto tale pensiero che calcola limiti e possibilità. I testi di critica al capitalismo circolano, mentre la storia accade, e dunque sono di ausilio a quei processi di consapevolezza comunitaria senza la quale non vi è presente, non vi è speranza, né futuro. Perché ci sia prassi è necessario, in primis, la consapevolezza teoretica che la razionalità attuale non è “naturale” ma è un modello storico e dunque “umano troppo umano”, al quale bisogna opporre il logos come calcolo, limite e giustizia: non vi può essere giustizia senza limite, senza il calcolo che fonda la comunità democratica e discerne l’edonismo dalla buona vita:
«Il calcolo (logos) era impiegato sia nella corrette costruzione della città (poleodomia), sia nel corretto calcolo dei rapporti di potere e di ricchezza, fra i cittadini. La politica era pensata sul modello dell’urbanistica, e viceversa. Prima di essere concepito come parola pubblica e come ragione universale, il logos era concepito come calcolo sociale della giustizia (dike) e delle misura (metron)». [8]
Alla prassi si deve giungere, non vi è prassi senza mediazione, né la prassi può essere un evento improvviso, ma necessita della mediazione del pensiero, della disseminazione della verità. La filosofia, l’eterno tafano, deve aprire all’ontologia della speranza, con la radicalità delle sue diagnosi. Radicalità senza catastrofismo. Quest’ultimo inibisce la prassi e favorisce lo strutturarsi della condizione attuale. Il concetto deve astrarre la verità per condividerla. Ogni analisi profonda rileva le possibilità occultate dall’ideologia dominante. Il catastrofismo chiude i giochi della storia a favore dello stato attuale, mentre il pensiero radicale e veritativo apre alla multilinearità della storia.
Salvatore Bravo
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[1] Martin Heidegger, Essere e tempo. L’essenza del fondamento, a cura di Pietro Chiodi, UTET, Torino 1978, pp. 270-271.
[2] Michael J. Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2015, p. 47.
[3] Ibidem, p. 86.
[4] La compagnia aerea della Nuova Zelanda vuole la tua testa, letteralmente. Il vettore dell’Oceania è alla ricerca di 50 persone calve da usare come “cartelloni cranici” per una campagna pubblicitaria. Ai 50 selezionati verrà tatuato sulla nuca uno spot con un inchiostro che resiste fino a 2 settimane, per far conoscere ai passeggeri il nuovo servizio di check in rapido. «Quale modo migliore di far conoscere i nostri prodotti sulla velocità se non quello di farveli leggere sulla testa della persona che avete davanti in fila al check in?», ha dichiarato entusiasta un responsabile della compagnia.
[5] Michael J. Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, op. cit., p. 183.
[6] Ibidem, pag. 42.
[7] Ibidem, pp. 33-34.
[8] Costanzo Preve, Marx lettore di Hegel … Hegel lettore di Marx, Petite Plaisance, Pistoia 2009, p. 7.