Adriano Prosperi – Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes. Scopriamo dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà … e la spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.

Adriano Prosperi 01

Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes «Leviatano».

Siamo la prima generazione umana che abbia fatto tutta insieme un’esperienza collettiva del paradigma di Hobbes: la paura della morte come causa della soggezione a un moderno Leviatano.

Della ragion di Stato, 1589

Un’opinione che fu anticipata dall’allievo dei gesuiti Giovanni Botero, il quale nella sua celebre e molto letta Ragion di Stato, scrisse: « Io sono di parere, che per la sicurezza de gli Stati, e de’ prencipi loro, miglior cosa sia la severità del governo, che la piacevolezza; e la paura, che l’amore; e la ragion si è, che il farti amare da tutto un popolo, non è in tua potestà; ma bene è in tua possanza il farti temere».

Aspettiamo di vedere le forme in cui prenderà corpo questa esperienza. Ma intanto è evidente che la percezione del nostro stato presente si è fatta strada in molti modi nelle menti: talvolta ideologizzata nelle fantasie di complotti e nell’evocazione di poteri pronti a cogliere l’occasione per impadronirsi del diritto di proclamare lo stato di eccezione, ma più spesso travestita da spontanea rinunzia alla libertà – a tante, diverse forme di libertà. In primo luogo alla libertà dei rapporti umani.
Ciò che è stato imposto dalla minaccia di morte, presenza impalpabile e invisibile veicolata dall’ambiente e da tutto quello che vi si muove, è diventato rapidamente un’abitudine, un istinto. La paura ha cancellato la fiducia, trasformando il rapporto con l’altro in una minaccia da evitare.
È vero in generale che nessun uomo è un’isola, ma per questo periodo tutti siamo diventati tante isole. Per approdare all’altra isola si è dovuto studiare come farlo, quali segnali mandare, quali garanzie esibire che non portavamo pericoli.
E mentre gli stati di emergenza si ripetono e si comincia a capire che con il Covid-19 siamo davanti alla prospettiva di una lunga convivenza, ci si viene accorgendo che qualcosa è passato dall’esterno all’interno di noi. Man mano che si tornava – o ci si illudeva di tornare – alla normalità, si scopriva da qualche parte dentro di noi una paura nuova: la paura della libertà. E questo perché nella libertà era presente il pericolo della morte.

Adriano Prosperi, Tremare è umano. Una breve storia della paura, Solferino, Milano 2021, pp. 146-147.


Risvolto di copertina

Avere paura è un grande destino umano. I tempi difficili in cui siamo immersi ne sono segnati e questo sentimento rischia di immobilizzarci, come animali di fronte a un pericolo. Ma forse è possibile guardarlo con altri occhi.
In queste pagine colte e appassionate, Adriano Prosperi ci accompagna a incontrare le paure dell’uomo, ci racconta le epoche di pestilenza e ci ricorda la potenza di un’iconografia del peccato e del Male che informa e percorre le costruzioni intellettuali attraverso cui comprendiamo la vita. E assieme al passato ci spiega il presente, mettendo a nudo il cuore antico della nostra modernità globalizzata, in un’analisi sferzante di ciò che davvero abbiamo da temere: un orizzonte di disparità economica, saccheggio ambientale e impoverimento culturale. Questo è il vero flagello, su questo orizzonte compariranno – o sono già comparsi – i nuovi cavalieri dell’Apocalisse. La pestilenza ha portato alla luce, come in ogni tempo, complottismi popolari e strategie dei potenti, attacchi ai medici e processioni penitenziali, pozioni miracolose e capri espiatori. Ma occorre guardare oltre. E riconoscere la paura nel suo aspetto più nascosto di forma di dominio, peste delle menti per cui esiste un solo rimedio, pietra filosofale ricercata nei secoli dalla scienza come dall’arte: la conoscenza. L’arma con cui possiamo affrontare un sentimento che ci appartiene e che, se riusciamo a dominarlo, può renderci più forti.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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