Alessandro Barile – Il verso della storia. Discutendo del libro di Sante Notarnicola, «La nostalgia e la memoria».
La nostalgia e la memoria
A Sante,
alla sua capacità di esser stato,
e di essere,
ad un tempo,
fragile e misteriosa
cristalide,
come gioventù
ricca di speranze,
di possibili metamorfosi,
matrice di trasformazioni
– condizione della realizzazione –
e farfalla
che col suo diafano
e lieve battito d’ali
punteggia
la trama
di Iride.
———————– C. F.
Scritte durante gli anni di detenzione, molti dei quali passati in carceri di massima sicurezza, queste poesie sono state composte in condizioni di prigionia particolarmente pesanti, dove è ancora più difficile coltivare un pensiero, un affetto. Attraverso questa forma letteraria, Notarnicola ha inteso coltivare tutto ciò che gli è stato sottratto: gli affetti e i sentimenti più intimi, come il ricordo dei compagni caduti. Le poesie sono anche il mezzo che ha per rompere l’isolamento, sono una voce, un grido, un urlo che spazza via il muro di cinta della prigione. Poesie che esprimono rabbia e delusione, ma anche tenacia e sicurezza delle proprie convinzioni politiche. Sono uno strumento che è stato un motivo di resistenza, sono la memoria di una vita che ha avuto il carcere come momento centrale, come terreno di lotta, di scontro e di maturazione.
Sante Notarnicola (Castellaneta, 1938), emigrato con la madre e i fratelli a Torino, trascorre l’infanzia in collegio. Il contatto con la realtà operaia torinese lo porta alla presa di coscienza politica e alle prime esperienze di militanza nella FGCI e poi nel PCI. Allontanatosi dal Partito, si avvicina alla banda Cavallero con cui nel 1959 inizia una serie di rapine. Il 25 settembre 1967 a Milano, durante l’ultimo colpo della banda, c’è un conflitto a fuoco con la polizia: Sante riesce a scappare, ma viene catturato alcuni giorni dopo. Condannato all’ergastolo, in carcere inizia a studiare e scrivere racconti e poesie, che confluiranno ne L’evasione impossibile (1972), primo di una serie di libri di grande successo.
Alessandro Barile
Il verso della storia
Discutendo del libro di Sante Notarnicola, «La nostalgia e la memoria».
«Imprigionati qui, noi viviamo, sapete … ».
Così Sante Notarnicola dal carcere di Palmi, settembre 1983. Eppure, nel paese venato di ecclesiastico perbenismo, c’è ancora chi non ha accesso all’ipocrisia del perdono. Gli «irriducibili» li chiamano. Ne abbiamo confermequotidiane. A Milano uno scontro tra tifosi porta all’arresto di alcuni di questi. Chi parla viene rilasciato, chi decide di non tradire rimane in carcere (stessi capi d’imputazione). Ancora: il giorno dopo gli allori nazional-popolari tributati a De Andrè, ecco la cattura di Battisti a rinfocolare il coro vendicativo: «È finita la pacchia» gridano gli stessi che, fino a poche ore prima, avevano «un solco lungo il viso come una specie di sorriso».
Ma se fino a qualche anno fa anche questi dannati potevano vedersi riconosciuto un incerto «diritto di parola», quantomeno autoprodotto, oggi gli spazi si assottigliano, e insieme alle narrazioni contrapposte viene meno la comprensione della storia italiana. A uscire dal coro, letteralmente, rimangono in pochi coraggiosi. Tra i quali la casa editrice Pgreco. Dopo aver ripubblicato e aggiornato la biografia di Pasquale Abatangelo (Correvo pensando ad Anna), ecco rieditare le poesie di Sante Notarnicola, La nostalgia e la memoria. Poesie scritte in carcere tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. Cosa si può dire di nuovo e di attuale oggi? Sono, queste di Sante, “storie del carcere”, luogo che oggi viene associato all’idea del «pentimento» e della «rieducazione», e che prima costituiva un fronte di lotta. Uno dei tanti. Dentro al carcere Sante e quelli come Sante trovarono una forma più alta di emancipazione, al tempo stesso individuale e collettiva.
Come ricorda nella prefazione lo stesso Sante, «il carcere, in pochi anni, si era trasformato in scuola per rivoluzionari». Erano, le carceri degli anni Settanta – e in particolare il circuito degli “speciali” – veri luoghi di tortura, certificata oggi da fior di sentenze. A dispetto dunque della narrazione edificante dello Stato che sconfisse il terrorismo con gli strumenti della democrazia.
Ma sarebbe un errore inseguire il filo di questi ragionamenti. Porterebbero comunque a un vicolo cieco, a criticare cioè lo Stato attraverso gli argomenti del potere. Quello che invece può essere colto di un’esperienza così particolare e, però, generale, è altro. Per dirne una: che la storia, per quanto tragica, non è solo patita, ma può essere affrontata senza remore reverenziali. Anche quelli come Sante possono divenirne protagonisti, e così fecero. Senza per questo sottacerne i limiti, le responsabilità: non si tratta, oggi, di essere tifosi, quanto saperne ricavare aspetti più prossimi alla verità. Come infatti coglie pienamente l’autore nella sua prefazione:
«Questa generazione, certamente la più generosa dalla Resistenza in poi, non ha conti da rendere. Agli opportunisti, ai parolai, questa generazione dice: noi ciabbiamo provato. E coloro che vorranno provarci ancora dovranno necessariamente ripartire da questa storia».
Non occorre essere comunisti, reduci o nostalgici per ammetterlo. Primo Levi, nel 1979, ne riconobbe il valore letterario e umano:
«Le tue poesie sono belle, quasi tutte: alcune bellissime, altre strazianti. Mi sembra che, nel loro insieme, costituiscano una specie di teorema, e ne siano anzi la dimostrazione: cioè, che è poeta solo chi ha sofferto o soffre, e che perciò la poesia costa cara. L’altra, quella non sofferta, di cui ho piene le tasche, è gratis».
Ancora, e per concludere: chi domani vorrà nuovamente salire la scala già salita dalla generazione di Sante Notarnicola, per questi problemi dovrà passare. Messi in forma lirica, in questo caso, e inevitabilmente: troppo l’orrore per farne freddo racconto (e pure sempre Sante ce ne ha lasciato testimonianza, nella sua Evasione impossibile). Come che sia, a leggere questi versi con quelli scritti in altre epoche e da altre generazioni di rivoluzionari, ne scopriremmo la notevole somiglianza. Un’affinità non solo di temi, ma anche di parole, di sensazioni e sentimenti. Segno che la storia lascia dietro di sé tracce che vanno raccolte e valorizzate più che rimosse. Non è cosa da potersi fare da soli però. È un processo collettivo, perciò possibile solo dentro nuovi cicli di lotte, nuove mobilitazioni. Nell’attesa, tramandiamo almeno il valore della memoria.
ALESSANDRO BARILE
Recensione già pubblicata su«Le Monde diplomatique. il manifesto», febbraio 2019, p. 23.
Sante Notarnicola
L’anima e il muro
Introduzione e cura
di Daniele Orlandi
disegni di Marco Perroni
pp.192 € 18,00
ISBN 978-88-96487-29-7
dalla quarta di copertina
Questa scelta antologica di poesie scritte durante un trentennio diventa l’occasione per una particolare scansione della storia d’Italia, perché questi versi oscillano, lenti o vorticosi, tra l’anima e il muro di tante prigioni. Corredato di un ampio saggio introduttivo e di note che ne inquadrano la mole di rimandi alla cronaca e alla cultura di quegli anni che l’autore riversa sulla pagina, L’anima e il muro, duellanti senza pace, ne raccoglie i momenti principali. Sante Notarnicola ha attraversato il Novecento italiano da ribelle: operaio, bandito, carcerato. I tre tempi della sua vicenda biografica sono scanditi dalla poesia, una vera e propria autobiografia in versi, contemporanea a quella generazione che ingaggiò una guerra senza esclusione di colpi con lo Stato lunga circa un ventennio. In disaccordo con la linea attendista del Pci negli anni Cinquanta, rompe con il Partito e seguendo un progetto di guerriglia diviene rapinatore con la famigerata Banda Cavallero. Arrestato nel 1967 e condannato all’ergastolo, prosegue e insieme inizia la sua vera attività politica. Da allora, la Storia d’Italia s’incaricherà di fargli visita nelle varie patrie galere del suo lungo soggiorno. Notarnicola la accoglierà a suo modo: animando il movimento per i diritti dei detenuti sul finire degli anni Sessanta; conoscendo e confrontandosi con lo stato maggiore della lotta armata, dalle Br ai Nap a Prima Linea, tentando l’evasione e sperimentando sulla pelle il regime di articolo 90 nelle carceri speciali. Dopo vent’anni, otto mesi e un giorno si riaffaccerà alla vita esterna fino alla lenta estinzione della pena. Poesie di lotta e inni rivoluzionari, gridi muti di rabbia e squarci di lirismo nati in un contesto, come la carcerazione politica, dove la speranza della libertà è una quotidiana collettiva eucarestia o non è.
Sante Notarnicola (Castellaneta 1938), «operaio, comunista, rapinatore di banche, carcerato, scrittore, poeta». Nel 1972 ha pubblicato con Feltrinelli la sua semibiografia L’evasione impossibile (ristampata da Odradek a partire dal 1997). È autore di tre raccolte poetiche: Con quest’anima inquieta (Senza Galere, 1979), La nostalgia e la memoria (Giuseppe Maj, 1986) e l’ibrido Materiale interessante (Edizioni della Battaglia, 1997). Alcuni suoi versi compaiono nel volume collettivo Mutenye. Un luogo dello spirito (Odradek, 2001).
L’evasione impossibile, Feltrinelli, 1972
Sante Notarnicola
L’EVASIONE IMPOSSIBILE
Con un’introduzione di Pio Baldelli e un’intervista all’autore
II edizione 2005 Con una prefazione di Erri de Luca
L’evasione impossibile
ha attraversato con grande forza il ciclo di movimenti tra il ’68 e il
’77. Libro di culto per la generazione degli anni ’70, ormai
introvabile, aggiunge all’interesse per le autobiografie esemplari
quello dell’analisi distaccata nei confronti di nodi impresentabili – e
quindi rimossi – per la sinistra; come la violenza e il carcere.
E’ il racconto della nascita e del percorso di quel gruppo che
attraversò i fugaci onori della cronaca alla fine degli anni ’60 come
“banda Cavallero” una banda di rapinatori di banche, nata per
autofinanziare un’improbabile rivoluzione, e che aveva mantenuto per
anni la propria salvaguardia evitando qualsiasi rapporto con la
malavita. Un’anomalia che ne fece allora una leggenda.
Piero Cavallero, Sante Notarnicola, Adriano Rovoletto, I’ex partigiano Danilo Crepaldi
sono invece fino in fondo figli del “popolo comunista” torinese, delle
“boite” e delle officine della ricostruzione industriale del dopoguerra.
La grande forza emotiva non fa velo alla capacità di comunicare con
lucidità e distacco il quadro storico-sociale che fa da sfondo alla
trasformazione del Pci, alla nascita della sinistra extraparlamentare e
poi delle organizzazioni guerrigliere.
Furono fortunati e abili nel riuscire a operare per tanti anni; furono
sfortunatissimi nell’essere arrestati proprio un attimo prima che il ’68
facesse la sua apparizione, dando nuova linfa e nuove idee alla
trasformazione radicale dell’esistente. Anche se c’è da dubitare che
questi uomini – esclusi ormai da anni dal confronto con le realtà di
base – sarebbero stati in grado di maturare un rapporto proficuo con un
movimento tanto diverso da quello che si potevano attendere o sperare.
La condizione di prigionieri, paradossalmente, favorì invece questo
incontro. E furono i gruppi extraparlamentari (non senza contraddizioni)
a riconoscere in questa banda dei “compagni di strada” provenienti
dalla generazione “perduta”: quella che era stata troppo giovane per fare la Resistenza, e troppo vecchia per attendere un nuovo ciclo radicale di lotte.
L’intervista
al Sante di oggi, in appendice, chiude il cerchio di una vita spesa
senza rimpianti alla ricerca di una rivoluzione che non ha vinto. Un
capitolo della lunga “guerra civile” italiana, visto dall’ interno dei
gruppi sociali che in modi diversi, ma più di tanti altri, hanno pagato
sulla propria pelle il prezzo della “normalizzazione” del conflitto: la
classe operaia torinese e i detenuti. In tempi di pensiero debole,
l’unica ricaduta positiva è probabilmente il rinnovato interesse per le
“vite”, per la memoria, per le testimonianze.
Quella di Sante Notarnicola è una coscienza estesa e possente, che
sviluppa ed elabora una minuziosa e basilare critica della politica e
della rappresentanza, perché il carcere, come luogo della
intensificazione delle espenenze, dell’elaborazione collettiva, risulta
un momento estremo di analisi della politica e di conoscenza dello
Stato.
Sante Notarnicola
La farfalla
Versi rubati
a cura di Daniele Orlandi.
In copertina: Marco Perroni, Prison, 2015.
indice – presentazione – autore – sintesi
Dalla Introduzione di Daniele Orlandi:
In un precedente libro di poesie che ebbi l’onore di curare, l’intento non era quello di raccontare in un’ottica cronistico-giudiziaria la storia di Sante Notarnicola (Castellaneta, 15 dicembre 1938) “bandito” o, in una dimensione politica, quella del rivoluzionario (ammesso che per il potere le due definizioni possano andare disgiunte). Non era nemmeno quello di fare critica letteraria. Rappresentava semmai il tentativo di scovare le maglie più larghe in cui i tre aspetti potessero collegarsi per fornire, in una prospettiva storica, un ritratto di Sante il più possibile vicino al vero. Per questa storia, quindi, che prima o poi il lettore ricercherà vanamente in queste pagine, non si può che rimandare a quella sintesi… [continua a leggere].
Daniele Orlandi, Introduzione
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