Claudio Parmiggiani – Occorre proteggere, salvare tutto ciò che resta, tutto ciò che resiste del mondo spirituale. La memoria non significa passato, ma pensiero. Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore.
«Come non mai oggi occorre proteggere, salvare tutto ciò che resta, tutto ciò che resiste del mondo spirituale. Nell'infanzia del tempo l'arte fu preghiera. Poco è rimasto di quella infinita bellezza. Oggi non crediamo più in niente: questo è il nostro terribile oggi». C. Parmiggiani
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«Ho imparato a conoscere il colore del sangue prima che i colori a olio. Sono nato a Luzzara, in una casa di via Lino Soragna. Molta parte della mia infanzia è trascorsa nella lontananza della campagna, in una casa rossa, isolatissima. Una casa politica, una sorta di direzione strategica del Partito comunista dove, nell’immediato dopoguerra, al lume di lampade a petrolio, si organizzavano interminabili riunioni notturne. […] Da quel luogo ho ricevuto il miglior insegnamento in pittura. Di notte, lungo i canali stellati, l’acqua lenta, cullando la malinconica luna, alimentava il fuoco assoluto. [ … ] Conservo di quei luoghi il ricordo di lente e nere barche e uomini come ombre che trasportavano sabbia e nebbia. Quelle ombre sono il mio simbolo, gli spiriti fluttuanti che hanno assunto nella mente l’immutabile aspetto dell’anima. Ombre così lontane da trasmutarsi in tutto e in nulla. Altro
non ho fatto, nel corso degli anni, nel cercare di dare un senso e un’immagine a quel nulla. Tutto quello che in seguito è apparso nelle mie opere proviene da quelle prime, decisive, incancellabili immagini che sono poi, davvero, le sole che contino e che nascono dall’emozione, vera sorgente dell’arte».
C. Parmiggiani, Incipit, Umberto Allemandi & C., Torino 2008, pp. IX.X.
Quarta di copertina
Un percorso a ritroso nel tempo, fino ad arrivare agli anni cinquanta del Novecento, quando il fotografo Paul Strand giunge a Luzzara, dove Claudio Parmiggiani è nato, per scattare fotografie che documentano la vita del paese, gli scorci, i volti, i mestieri. Immagini apparse nel libro Un paese, con il commento di Cesare Zavattini, edito da Einaudi nel 1955. Nella Didascalia Parmiggiani racconta con prosa poetica ed evocativa i suoi ricordi e spiega: «unicamente in ragione di una loro autentica comunione, senza alcun ordine né cronologia, come materia fluente, ho così accostato immagini di mie opere nate nel tempo, ad altre di quel libro, osservandole controluce, in filigrana, fino ad intravedere riflessa nel fondo di ognuna la luce dell’altra»
«Prerisco il silenzio al suono, alle parole e ai suoni preferisco le immagini perché sono silenziose.
[…] Un’opera deve essere come un pugno nello stomaco. Silenziosa ma dura, dura ma silenziosa, come un fuoco sotto la cenere. […] Il silenzio per me è un materiale dell’opera, una materia. Il silenzio è una forma di eloquenza. Un’opera non vive di silenzio ma dentro il suo silenzio.
[…] Personalmente provo quel fastidio che si ha di fronte a un qualcosa di troppo ideologizzato e che sembra scambiare la vita per un processo logico. Una pratica dove è bandita una delle parole che danno senso all’arte: Pathos, vena sotterranea che non si estingue.
[…] La memoria non significa passato ma pensiero. Mettere a contatto forme lontane, nel tempo e nella mente, far incontrare un tempo con un altro tempo, creare dei cortocircuiti; un’altra idea di tempo
[…] L’alfabeto della pittura non appartiene né alla parola né al pensiero logico. L’arte non ha bisogno di alcuna risposta: è una domanda che vuol restare tale.
[…] Tutta l’arte è in relazione con il tragico, con la morte. Vita e morte. È dentro questa circolarità, dentro questa essenza, che si costituisce qualsia pensiero umano, qualsiasi opera. Il tragico è in sentimento, una presenza che non può, non dovrebbe mai venir meno in un’opera»
C. Parmiggiani, Stella sangue spirito,
Nuova Pratiche, Parma 1995, p. 38, 108, 170, 174, 192.
«Tutta l’arte vera è tragica e si nutre di questo sentimento. Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore».
C. Parmiggiani, Lettere a Luisa,
Magonza, Arezzo 2016, pp. 76.
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