Epitaffi Greci. La «Spoon river» ellenica di W. Peek – Nulla è proprietà privata tra gli uomini: solo un segno di onore si procurò colui che, ancora vivo, costruì il sepolcro egli stesso per se stesso: infatti l’oblio del padre defunto prende i figli.
Nulla è proprietà privata tra gli uomini: solo un segno di onore si procurò colui che, ancora vivo, costruì il sepolcro egli stesso per se stesso: infatti l’oblio del padre defunto prende i figli.
Epitaffi greci, 255, p. 103.
vene che a tanto fuoco han dato umore,
midollo che è gloriosamente arso,
anche in cenere, avranno un sentimento;
saran cenere, ma cenere innamorata.
«Questo libro è un viaggio attraverso gli itinerari del dolore, del lutto, della separazione, e attraverso le forme con cui gli antichi sentivano la morte e concepivano il rapporto tra chi c’è e chi non c’è più. È la storia, che scavalca il tempo e arriva sino a noi, di migliaia di esseri umani posti di fronte alla barriera alzata dalla morte tra il defunto e chi gli sopravvive piangendolo e trova le parole per dire l’indicibile: l’angoscia davanti alla scomparsa di chi si ama, e perciò alla perdita irrimediabile di una parte di sé. Un pulviscolo di vite che si sarebbero annullate, se qualcuno non avesse scritto i loro nomi e talvolta raccontato qualcosa della loro storia. Nell’epigramma sepolcrale greco la parola appare infatti come la sola forma di opposizione alla morte, e anzi a qualcosa che terrorizza la mente umana forse ancora di più della morte, cioè l’assoluto nulla: perché se dopo questa breve vita sotto i raggi del sole un essere umano sprofonda nel buio da cui è venuto senza lasciare la minima traccia di sé, né un fatto che possa essere ricordato e neppure un nome o una traccia del suo passaggio nella vita, allora è come se quest’essere neppure fosse vissuto.
Questa visione della morte e del ricordo è un aspetto fondamentale dell’antropologia religiosa degli antichi, e, potremmo dire, della loro cultura. Parlare della morte infatti significa contemporaneamente parlare anche della vita e del suo senso. Quando si alza una tomba e si scrive un epitaffio, lo si fa perché resti almeno il nome di chi non esiste più e anche un’ombra dell’affetto di chi lo piange. A volte, solo il nome; come dice la più antica iscrizione funebre di cui si abbia notizia, graffita attorno al 700 a.C. su una roccia della città di Egìale, nell’isola di Amorgol […].
Talvolta, la cosa è resa esplicita; si chiede allo sconosciuto che passerà accanto al sepolcro un momento di attenzione, perché il nome del morto e il suo ricordo arrivino sino a lui e chi legge li possa portare almeno per qualche istante nella sua memoria. A ricordare il defunto è la parola incisa sulla pietra, molto di più che la statua o la stele tombale, perché solo la parola trasmette qualche segno della memoria del morto. […] Un epitaffio può essere considerato un discorso che si oppone al correre del tempo, anche se lo fa come un sassolino potrebbe opporsi a una cascata.
Giulio Guidorizzi, Prefazione, in Epitaffi Greci. La «Spoon river» ellenica di W. Peek, Traduzione di Franco Mosino. A cura di Emanuele Lelli. Prefazione di Giulio Guidorizzi. Testo greco a fronte. Bompiani, Milano 2019, pp. VII, X.
Risvolto di copertina
Franco Mosino (1932-2015) è stato grecista e linguista, candidato Premio Nobel per la Letteratura nel 2013 grazie alle sue tesi sull’autore del poema epico noto come Odissea. Ha studiato i poemi omerici (L’Odissea scritta a Reggio, Reggio Calabria 2007) e la poesia arcaica greca; si è occupato di linguistica greca antica e di dialettologia dell’area grecanica. Ha dedicato particolare interesse alla storia, alla cultura e agli aspetti linguistici della Calabria (Storia linguistica della Calabria, Reggio Calabria 1989). Ha animato numerosi circoli culturali, riviste e iniziative.
Giulio Guidorizzi è grecista e antropologo del mondo antico. Ha studiato i percorsi del mito in Grecia antica e la tragedia greca; gli aspetti nascosti dell’interiorità dell’uomo greco (la follia, il sogno, le passioni) e la magia nel mondo antico. Ha ripercorso la tradizione culturale e iconografica antica e modema dell’Iliade (Il grande racconto della guerra di Troia, Bologna 2018) e ha “riletto” le vicende dei due protagonisti dei poemi omerici, Agamennone e Odisseo (Io, Agamennone, Torino 2016; Ulisse, Torino 2018).
Emanuele Lelli è studioso di poesia ellenistica e di letteratura scientifica e tecnica antica, dei proverbi e della cultura popolare antica e moderna (Folklore antico e moderno, Pisa-Roma 2014; Sud antico, Milano 2016; Pastori antichi e moderni, Hildesheim 2017). Coordina da anni gruppi di giovani studiosi in iniziative editoriali sul mondo antico (per Bompiani: Quinto di Smirne, Il seguito dell’Iliade; Ditti di Creta, L’altra Iliade; Erasmo da Rotterdam, Adagi; Plutarco, Tutti i Moralia). Sta coordinando, sempre per Bompiani, un Dizionario della cultura popolare degli antichi.
Werner Peek (1904-1994), filologo tedesco.
Amore costante al di là della morte
ombra che a me verrà col bianco giorno;
e l’anima slegar dal suo soggiorno
un’ora, dei miei affanni più sollecita;
lascerà la memoria dove ardeva:
nuotar sa la mia fiamma in gelida onda
e andar contro la legge più severa.
vene che a tanto fuoco han dato umore,
midollo che è gloriosamente arso,
anche in cenere, avranno un sentimento;
saran cenere, ma cenere innamorata.
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Amor constante más allá de la muerte
Sobra que me llevare el blanco día,
y podrá desatar esta alma mía hora
a su afán ansioso lisonjera;
dejará la memoria, en donde ardía:
nadar sabe mi llama la agua fría,
y perder el respeto a ley severa.
venas que humor a tanto fuego han dado,
medullas que han gloriosamente ardito,
serán ceniza, mas tendrá sentido;
polvo serán, mas polvo enamorado.
Francisco De Quevedo, Sonetti amorosi e morali, Einaudi, Torino 1971.