Salvatore Bravo – “Dentro-Fuori”– “Inclusione-Esclusione”. Un esempio del modo in cui avviene il controllo e l’espulsione ce lo offre quanto è accaduto al giornalista Manlio Dinucci. «il manifesto» ha espunto un suo articolo sulla guerra in Ucraina e ha eliminato la sua rubrica dal quotidiano.

Salvatore Bravo

«Dentro-Fuori» – «Inclusione-Esclusione»

Un esempio del modo in cui avviene il controllo e l’espulsione ce lo offre quanto è accaduto
al giornalista Manlio Dinucci.
il manifesto ha espunto un suo articolo sulla guerra in Ucraina e ha eliminato la sua rubrica dal quotidiano

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La società binaria del turbocapitalismo ha la sua linea di confine, coloro che sono oltre la linea dell’inclusione sono persi nel silenzio, sono cancellati dall’ordine del discorso. Coloro che sono sospinti oltre, perché non allineati, non hanno il diritto di proferire parola. Hanno peccato contro il sistema capitale, il quale ha divorato ogni differenza ed oggi questa è la nuova religione che chiede ai sudditi di inginocchiarsi e, specialmente, di diventare clero orante che esalta la nuova divinità e a cui tutto si può chiedere. Se si è disposti all’olocausto di sé sull’altare del capitale, si è ripagati in proporzione ai propri meriti. La religione atea ha il suo inferno e il suo paradiso, ma tutti sono egualmente dannati.
In questi giorni di guerra, in cui il vero protagonista è il capitalismo, possiamo verificare la verità dell’inclusione e dell’addomesticamento alla divisione dentro-fuori ottenuto con il green pass. L’inclusione nell’epoca del capitale è utilizzata in ogni istituzione come la sovrastruttura culturale per giustificare, a livello ideologico, la struttura economica. La parola “inclusione” fa parte del lessico che ammicca al gergo della sinistra, ora usato dalle oligarchie e dai sostenitori del capitale per ricoprire ciò che è immondo con il velo di Maya intessuto di belle parole, sullo stile del celeste impero. L’inclusione, se si segue la traccia della parola, è un atto di confinamento all’interno: si “deve stare dentro”. Il celeste impero favorisce lo stare dentro, esige che si faccia pubblica confessione della propria fede nella religione del capitale. Un esempio del modo in cui avviene il controllo e l’espulsione ce lo offre quanto è accaduto al giornalista Manlio Dinucci, che su il manifesto ha pubblicato un articolo in cui affermava che la Russia ha reagito ad un’implicita aggressione. Non solo l’articolo è stato espunto, ma è stata eliminata anche la rubrica personale del giornalista.1 La sua voce può apparire solo se è organica alla versione del ministero della verità. Il giornalista ha detto addio alla sua collaborazione con il giornale “notoriamente di sinistra e di opposizione”. Anche in questo caso il sistema inclusivo pone le condizioni per oltrepassare “liberamente” la linea di confine dell’inclusione nella speranza che si scompaia nell’indeterminato.
La violenza è la sostanza del regime capitale, violenza polimorfa, in quanto utilizza varie modalità per normalizzare il linguaggio e neutralizzare il logos, il quale notoriamente è plurale e dialettico. Si susseguono episodi di espulsione, quindi, al fine di normalizzare l’opinione pubblica, ed indurla a ragionare secondo le categorie dentro-fuori, inclusione-esclusione.


Normalizzazione del pensiero unico

Si giunge a tale depauperamento della democrazia dopo trent’anni di guerra del modo di produzione capitalistico contro ogni forma di opposizione al capitale di tipo politico, filosofico, letterario e spirituale. L’abitudine all’espulsione dei dissidenti, associata all’ipnosi di massa, conduce all’indifferenza verso le sorti di ogni cittadino oggetto di tale dinamica di dominio. Il momento massimo di tale perversa rieducazione dell’essere umano è stato ed è il green pass. Con la tessera verde i cittadini hanno imparato a ragionare secondo confini geografici binari: c’è chi è dentro ed usufruisce di diritti formali, c’è chi è fuori e non usufruisce di nessuno diritto, al punto che vengono tagliate le condizioni per la sopravvivenza. Il dominio ha il diritto di concedere a chi è dentro la momentanea sopravvivenza, a chi è fuori la morte. Coloro che sono dentro sentono il sibilare della spada di Damocle dell’espulsione, per cui la parola “inclusione” appare minacciosa, in quanto indica la possibile espulsione, se non si acconsente “liberamente” all’ordine del discorso. Il sistema include a punti, l’obbedienza è premiata con l’inclusione meritocratica, in quanto i più ligi alla virtù dell’obbedienza possono avere in cambio carriera e successo, coloro che tiepidamente dicono il loro “sì” fatale hanno la sopravvivenza assicurata. Tutto è precario, pertanto l’obbediente di oggi può essere espulso dal ministero della verità in qualsiasi momento.
Obbedire è diventata la virtù del sistema capitale, ma pur in questa condizione di successo assoluto, il modo di produzione capitalistico mostra le due fessurazioni e la sua interna corruzione storica e strutturale. Se il sistema necessita di atei devoti dogmaticamente obbedienti ciò è dovuto, si può ipotizzare, al fatto che è eroso da innumerevoli contraddizioni sociali e produttive. Il sistema è sempre sul punto di perdere consenso, propone modelli sociali impossibili, spinge all’atomismo competitivo impoverendo una larga parte della classe media. Il processo di animalizzazione dell’essere umano, l’homo novus che deve consumare la sua biografia tra consumi e desideri illimitati, non si concretizza in senso assoluto. Nicchie di resistenza si diffondono, mentre le nuove generazioni sono affette da depressioni diffuse, anche in età infantile. Il capitale vorrebbe curare i sintomi di questa generazione alienata e sofferente senza intaccare il sistema, vive di miti e di onnipotenza, non vede che se stesso, come affermava Costanzo Preve, per cui è incapace di autocorreggersi.
Abbiamo tutti, in questo momento di crisi, l’occasione di capire e di uscire dal torpore e dal fatalismo quotidiano. La prima disobbedienza con la quale dobbiamo riconquistare la dignità che ci è stata sottratta è nel mettere in epochè la versione ufficiale per verificare versioni, immagini e parole: aude sapere, kantianamente dobbiamo riprenderci il coraggio di pensare dialetticamente per riaprire il campo di possibilità della storia e trascendere il filo spinato del confine. Bisogna ricominciare dalla ragione critica per imparare la disobbedienza interiore la quale deve trasformarsi in uso pubblico della ragione nei luoghi di lavoro e nelle nostre comunità degli affetti. La forza della ragione critica e pubblica non è nell’apparire nei media, ma è specialmente nella prassi quotidiana:

 

«Un’ultima osservazione. La società contemporanea è basata sulla diversificazione simbolica dell’offerta religiosa. Gli adolescenti isolati di fronte allo schermo luminoso del loro computer sono la base sociale odierna del rapporto individuale con l’assoluto, e quindi anche con Dio. Non si tratta più del vecchio libero esame di Lutero, ma del nuovo isolamento informatico. Le adunate urlanti dei papa-boysnon sono lo strumento per la rottura di questo isolamento. Come disse a suo tempo Heidegger, il collettivismo è solo l’individualismo posto al livello della totalità. È necessaria una vera e propria rifondazione della ragione, che parta dall’individuo e dalla sua interiorità e poi risalga al livello della società, tenendo conto però che finché la società non diventa comunità tutto è destinato a ricadere in basso al punto di prima».2

 

Alla tetragona realtà del capitale, si deve opporre la disobbedienza della ragione etica, la quale non cerca il proprio interesse privato, ma la vitalità comunitaria senza la quale ogni esistenza è solo un atomo oggetto della forza di gravità del modo di produzione capitalistico.

Salvatore Bravo

 

L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo
indicepresentazioneautoresintesi


Note


1 “L’8 marzo – dopo averlo per breve tempo pubblicato online – il Manifesto ha fatto sparire nottetempo l’articolo di cui sotto anche dall’edizione cartacea, poiché mi ero rifiutato di uniformarmi alla direttiva del Ministero della Verità e avevo chiesto di aprire un dibattito sulla crisi ucraina. Termina così la mia lunga collaborazione con questo giornale, su cui per oltre dieci anni ho pubblicato la rubrica L’Arte della guerra” (Manlio Dinucci)


Qui a seguire l’articolo censurato.

Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp, di Manlio Dinucci

Il piano strategico degli Stati uniti contro la Russia è stato elaborato tre anni fa dalla Rand Corporation (il manifesto, Rand Corp: come abbattere la Russia, 21 maggio 2019). La Rand Corporation, il cui quartier generale ha sede a Washington, è «una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche»: ha un esercito di 1.800 ricercatori e altri specialisti reclutati da 50 paesi, che parlano 75 lingue, distribuiti in uffici e altre sedi in Nord America, Europa, Australia e Golfo Persico. Personale statunitense della Rand vive e lavora in oltre 25 paesi.
La Rand Corporation, che si autodefinisce «organizzazione non-profit e non-partisan», è ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale (Cia e altre), da agenzie di altri paesi e potenti organizzazioni non-governative.
La Rand Corp. si vanta di aver contribuito a elaborare la strategia che permise agli Stati uniti di uscire vincitori dalla guerra fredda, costringendo l’Unione Sovietica a consumare le proprie risorse nell’estenuante confronto militare. A questo modello si è ispirato il nuovo piano elaborato nel 2019: «Over-extending and Un-balancing Russia», ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo e abbatterlo.
Anzitutto – stabilisce il piano – si deve attaccare la Russia sul lato più vulnerabile, quello della sua economia fortemente dipendente dall’export di gas e petrolio: a tale scopo vanno usate le sanzioni commerciali e finanziarie e, allo stesso tempo, si deve far sì che l’Europa diminuisca l’importazione di gas naturale russo, sostituendolo con gas naturale liquefatto statunitense.
In campo ideologico e informativo, occorre incoraggiare le proteste interne e allo stesso tempo minare l’immagine della Russia all’esterno.
In campo militare si deve operare perché i paesi europei della Nato accrescano le proprie forze in funzione anti-Russia. Gli Usa possono avere alte probabilità di successo e alti benefici, con rischi moderati, investendo maggiormente in bombardieri strategici e missili da attacco a lungo raggio diretti contro la Russia. Schierare in Europa nuovi missili nucleari a raggio intermedio puntati sulla Russia assicura loro alte probabilità di successo, ma comporta anche alti rischi.
Calibrando ogni opzione per ottenere l’effetto desiderato – conclude la Rand – la Russia finirà col pagare il prezzo più alto nel confronto con gli Usa, ma questi e i loro alleati dovranno investire grosse risorse sottraendole ad altri scopi.
Nel quadro di tale strategia – prevedeva nel 2019 il piano della Rand Corporation – «fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia, ma qualsiasi aumento delle armi e della consulenza militare fornite dagli Usa all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi».
È proprio qui – in quello che la Rand Corporation definiva «il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia», sfruttabile armando l’Ucraina in modo «calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio» – che è avvenuta la rottura. Stretta nella morsa politica, economica e militare che Usa e Nato serravano sempre più, ignorando i ripetuti avvertimenti e le proposte di trattativa da parte di Mosca, la Russia ha reagito con l’operazione militare che ha distrutto in Ucraina oltre 2.000 strutture militari realizzate e controllate in realtà non dai governanti di Kiev ma dai comandi Usa-Nato.
L’articolo che tre anni fa riportava il piano della Rand Corporation terminava con queste parole: «Le opzioni previste dal piano sono in realtà solo varianti della stessa strategia di guerra, il cui prezzo in termini di sacrifici e rischi viene pagato da tutti noi». Lo stiamo pagando ora noi popoli europei, e lo pagheremo sempre più caro, se continueremo ad essere pedine sacrificabili nella strategia Usa.

 

2 Costanzo Preve, Considerazioni introduttive sugli attuali dibattiti fra laicismo, scienza, filosofia e religione, Petite Plaisance Pistoia, pag. 22

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Fernanda Mazzoli – Con ‘governance’ e ‘inclusione’ la colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.

Fernan Mazzoli, governance, inclusione
Colpe individuali e rimozione della politica

 

La colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.
Permette di istituire facili equivalenze immediatamente consumabili sul piano comunicativo: l’incauto camminatore che si è allontanato dalla propria casa oltre i metri stabiliti nei giorni proscritti (casomai per fare una salubre passeggiata solitaria in campagna) è additato alla pubblica riprovazione come novello untore, chi mette sbadatamente un contenitore in Tetra Pak nel bidone sbagliato della differenziata diventa un devastatore ambientale, il lavoratore che non segue l’ennesimo, ripetitivo e generico corso sulla sicurezza si configura come responsabile degli incidenti sul lavoro.
Il biasimo verso i trasgressori si abbevera alla retorica del piccolo gesto che fa la differenza. Tuttavia, la traiettoria del discorso piccola non è affatto, in quanto coglie con successo due bersagli che stanno al centro di un dominio che non si racconta più come tale.
Il primo è la rimozione del politico e del sociale, spazi per eccellenza della complessità, al fine di rigettare ogni responsabilità sul singolo: la peste del nuovo millennio corre veloce fra un aperitivo serale e un bacio ai nonni e non tra le programmate rovine della medicina territoriale, sacrificata sull’altare della progressiva privatizzazione del sistema sanitario; il saccheggio dell’ambiente non è la risultante necessaria ed inevitabile del modo di produzione capitalistico, ma la conseguenza dell’incuria del consumatore poco attento al riciclo dei materiali; gli infortuni che ogni anno mietono vittime nei cantieri e nelle fabbriche nascono dall’ignoranza e dalla distrazione dell’operaio piuttosto che dalla mancanza di adeguati dispositivi di protezione forniti dalle aziende.
Il secondo bersaglio è l’inclusione dell’ex-cittadino, ora imprenditore di se stesso, in uno spettacolo proiettato su scala globale, in cui è chiamato a giocare, in un copione scritto da altri, il ruolo di consumatore responsabile di merci ad alto contenuto simbolico ed emozionale dalla corretta fruizione delle quali dipenderebbe il buon andamento del pianeta.
In un periodo storico in cui la maggior parte della popolazione mondiale è totalmente esclusa dalle vere decisioni – al punto da ignorare spesso persino da dove provengano e in cui è preponderante il peso di organismi sovranazionali che nascondono dietro il volto algido di una tecnocrazia sorretta dall’oggettività di dati ed algoritmi, il viluppo bruciante di enormi interessi che a partire dall’economia si diramano in tutti i settori della vita associata –, non v’è politico, industriale, manager o amministratore che non agiti la bandiera dell’inclusione, divenuta il fulcro delle buone pratiche di goveranance.
Lungi dall’essere una semplice mistificazione costruita attorno ad un artificio linguistico, l’inclusione si declina piuttosto come la nuova virtù civica dell’attuale fase capitalistica, la forma ideologico-culturale in cui si traduce l’adattamento sociale.
Diversamente dal passato, questa virtù civica non si elabora nel corso di un processo di cittadinanza attiva in cui il soggetto si costruisce come soggetto politico e sociale, innanzitutto attraverso il conflitto e la messa in discussione collettiva di assetti istituzionali e di costellazioni culturali dominanti. Anzi, essa ne rappresenta la negazione, perché ignora, quando non esecra, il conflitto e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una costruzione abbozzata nei piani alti dei centri decisionali e da lì calata per una più puntuale mesa a punto nei livelli sottostanti del sistema mediatico onnipervasivo e del ceto accademico generalmente compiacente.
I destinatari del progetto inclusivo sono tenuti a collaborare, o perlomeno a non sottrarsi all’ecumenico abbraccio, e ad avanzare di tempo in tempo qualche educata riserva che attesti il loro grado di coinvolgimento e rafforzi il progetto stesso.
Chi, per svariati e anche contrastanti motivi, non prende il posto assegnato tra le fila dei soldatini del nuovo ordine mondiale confezionato con i ritagli del solidale, del sostenibile e del salutare o ne diserta provvisoriamente i ranghi, è il candidato ideale al ruolo di colpevole su cui scaricare i costi delle falle del sistema in fase di giudizioso riposizionamento dopo quarant’anni di predazione selvaggia all’insegna del neoliberismo.

 

Fernanda Mazzoli

 


Fernanda Mazzoli – Il problema non è chi taglia il traguardo: il problema è il traguardo. Nella Scuola  si vuole imporre come traguardo il passaggio dalla formazione della personalità umana alla formazione del capitale umano
Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli
Farnanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.
Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.
Fernanza Mazzoli, Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.
Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.
Fernanda Mazzoli – Leggendo il libro di Giancarlo Paciello «Elogio sì, ma di quale democrazia?».
Fernanda Mazzoli Attila József (1905-1937) – Con libera mente non recito la parte sciocca e volgare del servo. Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo.
Fernanda Mazzoli – René Char (1907-1988) – Résistance n’est qu’espérance. Speranza indomabile di un umanesimo cosciente dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia dei suoi soli, e deciso a pagarne il prezzo. Les mots qui vont surgir savent de nous de choses que nous ignorons d’eux.
Fernanda Mazzoli – Ripensare la scuola per mantenere aperta, all’interno dell’istituzione scolastica, quella dimensione “utopica” così intimamente legata all’idea stessa di educazione, idea che comporta una tensione intrinseca verso “un altrove” che nulla ha a che vedere con l’adattamento al presente.
Fernanda Mazzoli – Jules Vallès (1832-1885), Jules l’«insurgé», aveva scelto di essere un réfractaire e tale rimase per tutto il corso della sua vita. Prima, durante e dopo la Comune di Parigi.
Fernanda Mazzoli – Un libro per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo.
Fernanda Mazzoli – La poesia di Xu Lizhi nella fabbrica globale del capitalismo assoluto. La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo. Senza il tempo per esprimersi, il sentimento si sgretola in polvere.
Fernanda Mazzoli – Il romanzo di Georges Perec «Les choses» è di una attualità sconcertante. I libri, quando cercano con onestà intellettuale la verità, dicono molto di più di quel che dicono i loro autori.
Fernanda Mazzoli – Il libro di Antonio Fiocco «Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente». L’inesausta tensione progettuale per il bene comune, mai da considerarsi come acquisizione definitiva
Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
Fernanda Mazzoli – L’io minimo ai tempi dell’epidemia. Lo spiritello esangue e pervicace della mentalità di sopravvivenza. Sopravvivere diviene preferibile a vivere nella consapevolezza.
Fernanda Mazzoli – La speranza, nel libro di Arianna Fermani, forte della sua fragilità,  è apertura e rischio, si oppone alla paura, si accompagna alla fiducia e alla perseveranza, abita il campo della libertà, si confronta con la scelta, osa pensare il possibile (quando appare ancora impossibile) cercando di rendere realizzabile lo sperabile,  è slancio verso il futuro, immaginazione creatrice, fiducia in un avvenire migliore costruito con pazienza e talento. È scommessa educativa, paideia, «speranza di seminare semi e di veder nascere fiori».

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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