Josef Pieper (1904-1997) – La filosofia rinuncia a se stessa nello stesso momento in cui si considera una disciplina accademica. Il filosofo non si caratterizza per il fatto di interessarsi alla «filosofia» in quanto disciplina. A lui importa la totalità della realtà e la totalità della saggezza. La «dignità» della filosofia si fonda sul fatto che essa sola riesce ad evocare la necessaria inquietudine rispetto alla domanda: «in cosa consiste la vita autenticamente umana?».
«[…] Socrate, nel grande dialogo platonico sullo Stato, si pone il compito di “definire con esattezza ciò che effettivamente intendiamo per filosofo”. Sempre in effetti, si ha a che fare con un forte bisogno di totalità; infatti chi avesse fame davvero, costui non sarebbe per nulla schizzinoso, distinguendo tra ciò che desidera e quanto non gli è gradito. “Allo stesso modo chiameremo filosofo colui il quale anela alla saggezza intera, non già a questa parte sì e all’altra no”. “Sempre la sua anima è pronta al balzo per protendersi verso la totalità e l’interezza, verso il divino allo stesso modo dell’umano”.
[…] Ogni scienza si costituisce in quanto scienza particolare per il fatto che essa formula “un aspetto”, una certa domanda, la quale si interessa in modo precipuo ed esclusivo di questo e non dell’altro. Nessuna scienza pone la questione del proprio nesso con il mondo nella sua totalità. È però precisamente di questo ultimo fattore, della totalità così intesa, che si occupa la filosofia. […] Una sola preoccupazione inquieta il filosofo, ovvero che nulla del totum della realtà venga omesso, non preso in considerazione, oscurato, censurato, dimenticato. Tale preoccupazione è un tratto talmente distintivo, così differentia specifica da poter affermare che il filosofo serio ed autentico ne è connotato in maniera peculiare. Non sarebbe filosofico, cioè volere escludere in modo formale un qualsiasi dato che si possa ottenere sulla realtà. Su questo punto è necessario, tuttavia, essere più concreti. Chi volesse interrogarsi in modo speculativo sull’essenza dell’uomo, distruggerebbe il carattere filosofico del suo domandare se affermasse che i dati della medicina, della psicologia, della genetica non lo interessano poiché egli si interroga circa “l’essenza metafisica” dell’uomo. Smetterebbe altresì di fare filosofia chi dicesse che non gli importa se la tradizione religiosa insiste sul fatto che l’uomo, a causa di un certo avvenimento accaduto all’inizio dei tempi, non è come potrebbe e come dovrebbe essere. Il carattere filosofico dell’abbrivio della domanda verrebbe distrutto anche nel caso in cui si affermasse che solo quanto si può conoscere in modo “chiaro e distinto” interessa, solo ciò che può essere criticamente accertato, solamente ciò che l’evidenza costringe a fare e che è dimostrabile con esattezza. Una siffatta limitazione ad alcuni dati particolari contraddice del tutto il senso dell’interrogare filosofico.
La speculazione filosofica richiede l’assoluta imparzialità dello sguardo che non sopporta alcuna preclusione. La filosofia rinuncia a se stessa nello stesso momento in cui si considera una disciplina accademica. Il filosofo non si caratterizza per il fatto di interessarsi alla “filosofia” in quanto disciplina; a lui importa la totalità della realtà e la totalità della saggezza. […]
La scienza termina al confine del sapere, mentre la filosofia prende inizio da questa frontiera. […] La definizione di filosofia non può mai iniziare con una formula del genere: “La filosofia è la dottrina del …”. Per la stessa ragione non può esistere un sistema filosofico chiuso in se stesso […]. Cosa significa, però, l’autentico interrogare e il ricercare filosofico? […] Domandare ciò non costituisce quel trastullo intellettuale, ben noto al sofista. Si tratta invece della modalità, l’unica possibile, in cui lo spirito che conosce riesce a non perdere di vista il proprio insondabile oggetto, l’unica maniera per riuscire a restare vicino al segreto del mondo e, per così dire, a “stargli alle calcagna”. […]
Cominciamo così ad intravedere cosa […] si pretende dal filosofo e da cosa si riconosce “l’uomo filosofico”. Si tratta soprattutto di non distrarre l’energia dell’anima, di resistere in quell’interrogare che mira al reale nella sua profondità e nella sua totalità come un atto vivo dello spirito. Si tratta di quell’apertura che sempre si rigenera per ciò che desta stupore, il quale consiste nel fatto che, di per sé, qualcosa è. E tutto questo è legato alla pretesa decisiva di realizzare una grandissima precisione. […] Ciò significa, in effetti, che non si può fare propriamente alcunché prescindendo dalla disciplina e dalla precisione di un pensiero formalmente puro. Può accadere, tuttavia, che quel qualcosa non venga realizzato nonostante la tecnica di pensiero più precisa, perché all’anima manca la capacità di lasciarsi colpire e perché lo sguardo che interroga non possiede la semplicità, in forza della quale soltanto l’oggetto dell’ attività filosofica si palesa e resta visibile.
[…] Dopo quanto detto, sembra più imporrante interrogarsi circa il significato positivo da attribuire alla filosofia nel contesto della vita sociale umana, ossia a “coloro che esercitano la filosofia”. Con questo termine […] naturalmente non ci si riferisce ad un preciso gruppo di persone […]. Noi non ci interroghiamo, dunque, circa la prestazione di una certa istituzione o di un gruppo, ma sul valore che la speculazione filosofica, ovunque essa venga praticata, riveste per la società degli uomini.
[…] La «dignità» della filosofia e il rango che le compete all’interno della società, però, si fondano sul fatto che essa sola riesce ad evocare una necessaria inquietudine, ovvero, l’inquietudine rispetto alla seguente domanda.
Una volta che siamo riusciti nell’intento di compiere, con un sorprendente dispendio di lavoro e di intelligenza, quanto è necessario, ossia la soddisfazione del bisogno esistenziale, la disponibilità dei mezzi di sussistenza (in ogni senso), la sicurezza della possibilità-di-vita, ci chiediamo allora: in cosa consiste, insomma, questa vita resa in tal modo possibile, la vita autenticamente umana?
Porre questa domanda inquietante, in mezzo a tutte le perfezioni dell’uomo che dimora nel mondo, e tenerla desta attraverso lo sforzo del pensiero rigoroso ed incorruttibile, è questo l’effettivo compito della filosofia e il suo vero apporto al bene comune, per quanto non riesca da sé a fornire la risposta esaustiva.
Josef Pieper, Filosofia Contemplazione Saggezza, LAS, Roma 2016, pp. 23 ss.