«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
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Vuoi sapere chi sono? cosa faccio? dove vado? Sono colui che ero e sarò sempre nella vita: non bestia, né albero, né schiavo, ma uomo! Ad aprire una strada non calcata da piedi, per focosi temerari sia in prosa sia in versi, ai cuori sensibili ed alla verità, io verso la paura e verso il carcere di IIimsk mi dirigo.
Il testo su Aleksandr Nikolaevič Radiščev, tradotto dal russo per la prima volta da Alessandro Niero (su «il manifesto» del 21-02-2006, p. 12), venne scritto dal grande critico letterario Jurij Michajlovič Lotmanper la Ucebnik po russkoj literature (Manuale di letteratura russa).
Logica conseguenza delle idee propagandate dall’illuminismo fu l’esigenza di libertà per tutti gli uomini, esigenza portata fino a riconoscere al popolo il diritto di conquistarsi questa libertà con la forza. Colui che, nella letteratura russa del XVIII secolo, formulò nel modo più completo e coerente questo pensiero fu Aleksandr Nikolaevič Radiščev. Di antica estrazione nobiliare, ancorché di una nobiltà non ricca, Radiščev studiò all’università di Upsia e nel 1790 pubblicò il libro Viaggio da Pietroburgo a Mosca, che gli costò la condanna alla decapitazione. La pena fu poi commutata nell’esilio in Siberia, dove visse fino al 1796, data della morte di Caterina II. Nel periodo in cui regnò Paolo, dal 1796 al 1801, Radiščev visse esiliato in un villaggio. Alessandro I nel 1801 lo restituì all’attività di Stato, affidandogli un alto incarico nella «Commissione per la stesura delle leggi». Tuttavia Radiščev nel 1802 si suicidò. Le cause del suo gesto non sono chiare: i contemporanei vi lessero una sfida al governo. Viaggio da Pietroburgo a Mosca è l’opera più importante di Radiščev: il libro è redatto in forma di note di viaggio dal punto di vista di un viaggiatore che percorre in carrozza postale il tragitto che separa le due capitali dell’impero russo. Gli amici chiamavano Radiščev «colui che non vedeva tutto rosa». Guardava in faccia alla realtà russa del suo tempo e con eccezionale coraggio sottopose a giudizio sia il dispotismo politico dominante in Russia – l’arbitrio delle autorità, la mancanza di diritti dei sudditi – sia la terribile condizione dei contadini. Radiščev riconosce il diritto del popolo alla rivolta, sebbene non rigetti anche la possibilità che un governo illuminato possa compiere trasformazioni pacifiche. La serie di questioni contemplate nel suo libro è straordinariamente ampia: oltre ad essere in possesso di una formazione specifica in campo giuridico, egli era anche un insigne economista, un filosofo e uno storico. Il suo libro è una vera e propria enciclopedia dell’illuminismo del XVIII secolo. Proprio con Radiščev ha inizio l’intreccio fra la letteratura russa e la lotta per la libertà e la felicità del popolo, che di quella letteratura divenne il tratto caratteristico. Riservando nella lotta di liberazione un posto speciale alla parola dello scrittore, Radiščev era persuaso che è efficace soltanto quella parola per cui lo scrittore è disposto a pagare con la propria vita. Lo scrittore può essere profeta di verità o essere al servizio della menzogna. Pagando con il sangue le proprie parole, egli si guadagna la fiducia dei lettori e la gratitudine dei posteri. Gli scrittori che aspiravano alla ricchezza e ai riconoscimenti, invece, erano chiamai da Radiščev «leccapiedi». Con Radiščev ha inizio nella letteratura russa la tradizione rivoluzionaria. Egli stesso in un breve componimento [riprodotto qui sopra] disse di avere «aperto la strada» per la Siberia. Quella strada fu percorsa in seguito dai decabristi, da Fëdor Dostoevskij, da Nikolaj Gavrilovič Černyševskije da molti altri scrittori russi.
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