Carmine Fiorillo – Delicatezza è sostantivo femminile. Lascia l’impronta con lo stile del proprio sentire in una scrittura capace di esprimere l’essenziale con la forza della gentilezza.
Spirto gentil, che quelle membra reggi.
Francesco Petrarca
Lo stilo è una piccola verghetta (di osso, di avorio, di legno duro e anche di metallo, ad una estremità appuntita, piatta e maneggevole dall’altra) con cui gli antichi scrivevano su tavolette cerate, trasferendo il segno eidetico nell’impronta materica.
Così René Daumal (1908-1944), giungeva a scrivere a proposito dello stile (in La conoscenza di sé. Scritti e lettere, Adelphi, 1986): «Lo stile è l’impronta di ciò che si è in ciò che si fa».
In effetti, nell’antichità, le due forme verbali – stile e stilo – venivano usate indifferentemente.
Dante scrivevà «Qual di pennel fu maestro o di stile Che ritraesse …?»; a lui si accompagnava Boccaccio parlando di Giotto: «Niuna cosa dà la natura … che egli [Giotto] con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse». E ancora Dante: «Deporrò giù lo mio soave stile, Ch’i’ ho tenuto nel trattar d’amore», con il Petrarca a parlar d’amore: «dir d’amore in stili alti et ornati».
«Lo stile è l’uomo», scriveva Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788) in Histoire naturelle de l’homme.
«Lo stile è la donna», io preferisco dire qui, in questi brevi appunti di diario, dedicati proprio ad una donna, al suo stile, e alla delicatezza con cui sa esprimersi, perché, come scriveva appunto Arthur Schopenhauer (1788-1860) in un suo libro che qui non è “galeotto” (Sul mestiere dello scrittore e sullo stile, La Vita Felice, 2008): «Lo stile è la fisionomia dello spirito».
Con tale «fisionomia» la persona di stile si manifesta agli altri nella sua delicatezza. Stile e delicatezza si uniscono a definire la personalità di chi ricerca la finezza (l’esprit de finesse del pensoso Pascal) e lascia l’impronta del proprio sentire in una scrittura capace di esprimere l’essenziale con la forza della gentilezza, in uno stile privo di ostentazioni, per niente affettato, o inutilmente ricercato.
Delicatezza è appunto sostantivo femminile.
Anche il maschile delicato, delicatus, è direi solo un derivato del femminile deliciae, «delizia».
La delicatezza denota finezza interiore, gentilezza di modi, capacità di nobili sentimenti, sensibilità per le più impercettibili finezze di suoni, profumi, luci, della bellezza in generale. Lo stile della delicatezza si esprime nella levità della carezza, e nell’intensa sua capacità di ascolto della parola: la forza della delicatezza rende il proprio stile invincibile, ammaliatrice di api. Conosce la lotta del quotidiano impegno il cui stile si manifesta per la correttezza e l’affidabilità nei rapporti umani.
Ernest Hemingway (1899-1961) scriveva «Lo stile non è un concetto vano, è la giusta maniera di fare», e con Santiago, il suo personaggio di Il vecchio e il mare, ci dice ancora: «L’uomo [e la donna] non sono fatti per la sconfitta. Un uomo [e una donna] possono essere distrutti, ma non possono essere sconfitti. È stupido non sperare. E credo che sia peccato».
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