P. Picasso, Il pasto del cieco, 1903.
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Enrico Berti
Nichilismo moderno e postmoderno
Per “cifra” si può intendere sia la connotazione essenziale, sia l’esito necessario e quindi la conseguenza. In entrambi questi sensi il “nichilismo” è stato inteso come cifra del moderno da parte di alcune filosofie postmoderne, che pertanto si presentano come la denuncia del nichilismo moderno e al tempo stesso come forma più compiuta del nichilismo. Tali sono le filosofie che si richiamano alla genealogia formata da Nietzsche, da un certo Heidegger, dal poststrutturalismo francese e dal “pensiero debole” italiano.
- Il “nichilismo” moderno secondo l’interpretazione post-moderna
L’interpretazione della filosofia moderna come nichilista a causa della centralità da essa assegnata al sovrasensibile (Nietzsche), o alla tecnica (Heidegger), o alla metafisica del soggetto (Vattimo), fa propria, in realtà, l’interpretazione dell’intera storia della filosofia elaborata da Hegel e diffusa dalla storiografia hegelianizzante (Zeller, Fischer, Gentile), così come fa propria la periodizzazione su cui essa si fonda. Questa, però, non ha un valore cronologico, bensì assiologico, perché trae dalla successione temporale un giudizio di irreversibilità ed assume la storia come suo argomento (l’unico, in verità).
L’esistenza, pertanto, di tradizioni moderne alternative a quella interpretabile come nichilismo può costituire una vera e propria confutazione di tale interpretazione. Se si ammette ad esempio, come ha osservato Del Noce, che l’ateismo debba essere il risultato finale del processo, fa difficoltà il riconoscimento di filosofie ateistiche all’inizio o nel corso di esso (cfr. il libertinismo), come fa difficoltà il riconoscimento di una tradizione teistica all’interno della filosofia specificamente moderna (cfr. la tradizione platonizzante che va da Descartes a Pascal, a Malebranche, a Vico, a Kant ed a Rosmini).
Emblematico è, al riguardo, il modo di intendere il rapporto fra teoria e prassi. Questo, nella linea specificamente moderna, cioè antitradizionale, comporta la riduzione della teoria (filosofia) alla scienza (matematica) e la concezione della prassi o come non razionalizzabile affatto (Descartes) o come suscettibile di razionalizzazione rigorosamente scientifica (Spinoza per l’etica, Hobbes per la politica, Petty per l’economia, Pufendorf per il diritto). Conseguenza di ciò è la separazione fra descrizione e prescrizione (Hume), la negazione di qualsiasi capacità conoscitiva alla «ragione pratica» (Kant), la concezione delle Geisteswissenschaften come scienze descrittive (neocriticismo) e la dichiarazione della loro “avalutatività” (Weber).
Da ciò l’incapacità della conoscenza ad orientare la prassi, l’impossibilità per la ragione di affrontare i problemi di senso, l’estraneità della scienza «al mondo della vita» (Husserl), e quindi il nichilismo.
- Le tradizioni alternative in età moderna
Si potrebbe facilmente mostrare, ed è stato fatto recentemente da Paolo Rossi, che la filosofia moderna non è tutta, in realtà, quale la presenta l’odierno nichilismo, ma è almeno in parte essa stessa alternativa alla sua immagine. Oppure si potrebbe segnalare l’esistenza, all’interno di essa, di una tradizione platonizzante alternativa a quella dominante, come ha fatto Del Noce. Ma nessuna di queste due alternative è sufficientemente radicale per costituire una confutazione dell’interpretazione dominante. La tradizione, invece, più radicalmente alternativa alla filosofia specificamente moderna, quella a cui quest’ultima soprattutto si oppone, è l’aristotelismo. Ebbene, proprio questo sopravvive nei primi tre secoli dell’età moderna, sia nella sua versione “laica” sia in quella “scolastica” .
Nei secoli XVI e XVII l’aristotelismo laico si diffonde, ad opera di Zabarella e di Melantone, nell’Europa protestante ed eretica, influenzando sia la logica, sia l’etica e la politica (sino a giungere poi, attraverso Priestley e Jefferson, negli Stati Uniti). L’aristotelismo scolastico si diffonde, invece, ad opera dei Gesuiti, nell’Europa cattolica, alimentando filosofie politiche alternative alle teorie dello Stato sovrano.
Entrambi mantengono viva, specialmente nelle università, la tradizione della philosophia practica, la quale, sempre a proposito del rapporto fra teoria e prassi, evita sia la razionalizzazione matematistica della prassi, sia la sua completa separazione dalla teoria. Questa tradizione dà luogo all’economia cameralistica, alla concezione della politica come «dottrina dell’amministrazione» o scienza del «buon ordinamento» (Polizey) ed alla teoria della «prudenza» come virtù del principe.
Essa viene tuttavia progressivamente logorata, nel secolo XVIII, dal giusnaturalismo, che si insinua nella stessa filosofia pratica (con Thomasius e soprattutto con Wolff), e viene definitivamente spazzata via da Kant (che non a caso critica violentemente la stessa prudenza). Malgrado il breve tentativo di restaurazione dell’aristotelismo compiuto da Hegel con la filosofia dello Spirito oggettivo, tentativo reso vano dalla scissione tra Stato e società civile, la tradizione in questione scompare quasi totalmente sia dalle università che dagli stessi seminari ecclesiastici lungo tutto il secolo XIX, il quale vede invece il trionfo della linea innovatrice ad opera del positivismo e del neocriticismo. Solo un aspetto alquanto parziale, cioè il tomismo, sarà oggetto di un tentativo di restaurazione, peraltro effimero, alla fine del secolo, ad opera del papa Leone XIII.
- Il nichilismo postmodermo e le sue alternative attuali
Il nichilismo postmoderno, ponendosi come legittimo erede del nichilismo moderno, nella forma di un nichilismo “compiuto”, non è, in realtà, diverso dal suo genitore, perché continua ad usare come unico argomento la storia, sia pure non più intesa come progresso o superamento, bensì soltanto come Verwindung o “congedo”. Esso mantiene infatti la categoria dell’“ora” (modo), che è mera funzione temporale (C.A. Viano), come criterio assiologico d’irreversibilità («ora non è più possibile … »). Al mito giovanilistico del progresso esso sostituisce l’ossessione del declino, che è in realtà l’angoscia dell’invecchiamento: espressioni entrambi di un sentimento del tipo biologico. Anch’esso viene confutato dall’esistenza di posizioni alternative, nate tutte dopo la crisi della “modernità”, ma non derivanti da quest’ultima.
Basti menzionare sommariamente, sempre in riferimento al modo di concepire il rapporto fra teoria e prassi: la nuova «filosofia politica» di Strauss, di Voegelin e della Arendt o quella di Maritain, di Simon e del “gruppo di Chicago”, sviluppatesi entrambe in America intorno alla metà del secolo XX; la «teoria dell’ argomentazione» come logica delle discipline non formalizzabili (Perelman); «l’urbanizzazione» di Heidegger compiuta da Gadamer con la riproposta della filosofia pratica di Aristotele (ripresa da Hennis, Bubner, Höffe); l’uso in senso cognitivistico della filosofia pratica kantiana inaugurato da Apel e l’«etica discorsiva» o «comunicativa» di Habermas (da quest’ultimo proposta esplicitamente come alternativa al «discorso filosofico della modernità»); i recenti sviluppi della filosofia analitica nella direzione di un’«etica pubblica» (Rawls, MacIntyre); più in generale la nuova domanda di etica, prodotta dalle nuove tecnologie, e di filosofia politica, suscitata dal declino dello Stato moderno.
Al di là del rapporto fra teoria e prassi, si potrebbero menzionare gli sviluppi della filosofia analitica nella direzione ontologica (Strawson, Kripke, Wiggins), ed altre posizioni ancora (la nuova epistemologia, ecc.).
Quasi tutte queste posizioni sono ancora eccessivamente “deboli”, e perciò forse insufficienti come autentiche alternative al nichilismo, a causa del persistente sospetto, che esse condividono col nichilismo stesso, verso la metafisica.
Enrico Berti
Articolo già pubblicato su Avvenire, 6 novembre 1988, e ripubblicato su Grande Enciclopedia Epistemologica, n. 108, Edizioni Romane di Cultura, 1997, pp. 53-56.
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