Aristotele (384-322 a.C.) – L’individuo moralmente retto è in accordo con se stesso, impegnandosi per il bene. La sua mente è ricca di pensieri e piacevoli sono i ricordi delle azioni compiute e buone sono le speranze di ciò che accadrà nel futuro.
È amico colui che vuole e compie il bene altrui, che vuole che l’amico ci sia ed esista senza altri scopi.
L’individuo moralmente retto è in accordo con se stesso, impegnandosi per il bene.
Vuole vivere e conservare sia se stesso sia, soprattutto, la parte di sé con cui pensa.
Ciascuno è, o è soprattutto, l’intelletto. E la sua mente è ricca di pensieri.
Per l’individuo moralmente retto, è un bene esistere.
Sono piacevoli i ricordi delle azioni compiute e sono buone le speranze di ciò che accadrà nel futuro.
in effetti è uno che, per così dire, non si pente mai
Nessuno sceglie di avere tutto a condizione di diventare un altro.
Gli individui viziosi sono in disaccordo con se stessi, e fuggono se stessi.
Non avendo, poi, nulla per cui essere amati, non provano nessun affetto verso se stessi.
Le persone malvagie sono divorate dal pentimento.
I rapporti di amicizia che si hanno verso il prossimo, e cioè quelli in base ai quali si definiscono le amicizie, sembrano derivare da quelli che si hanno verso se stessi. Infatti si stabilisce che è amico colui che vuole e compie il bene altrui o quello che gli sembra che sia tale per l’altro, oppure colui che vuole che l’amico ci sia ed esista senza altri scopi, come fanno le madri nei confronti dei figli, e gli amici che hanno avuto delle incomprensioni; altri, invece, ritengono che sono amici coloro che vivono insieme e hanno gli stessi gusti, oppure che è amico colui che si addolora e si rallegra insieme all’amico, ma anche questo si dà soprattutto nel caso delle madri. L’amicizia si definisce sulla base di alcune di queste caratteristiche, e inoltre ciascuna di queste è anche tipica dell’individuo virtuoso nei confronti di se stesso (o degli altri in quanto assumono caratteri simili ad esso. A quanto pare, poi, come abbiamo già detto, misura di ogni cosa sono la virtù e l’individuo moralmente retto). Infatti costui è in accordo con se stesso e aspira alle stesse cose con tutta l’anima. E quindi vuole per se stesso i beni e quelli che gli appaiono tali, e agisce di conseguenza (infatti la caratteristica dell’individuo moralmente retto è proprio quella di impegnarsi per il bene) e lo fa per se stesso (infatti lo fa per l’elemento intellettivo che è considerato essere il vero “io” di ciascuno di noi). E vuole vivere e conservare sia se stesso sia, soprattutto, la parte di sé con cui pensa; infatti, per l’individuo moralmente retto, è un bene esistere.
Ciascuno, d’altro canto, vuole il bene per sé, ma nessuno sceglie di avere tutto a condizione di diventare un altro (infatti Dio anche ora possiede il bene), ma rimanendo ciò che era prima. E si ritiene che ciascuno è, o è soprattutto, l’intelletto. Un individuo di questo tipo vuole soprattutto vivere con se stesso; infatti lo fa con piacere. In effetti sono piacevoli i ricordi delle azioni compiute e sono buone le speranze di ciò che accadrà nel futuro; tutto ciò, poi, è piacevole. E la sua mente è ricca di pensieri. Inoltre si addolora e si rallegra soprattutto in relazione a se stesso; infatti, ogni volta, è la stessa cosa che gli procura dolore e piacere, e non cose diverse di volta in volta; in effetti è uno che, per così dire, non si pente mai.
Quindi, siccome ciascuna di queste caratteristiche è tipica dell’individuo virtuoso nei confronti di se stesso, dato che si comporta con l’amico come con se stesso (infatti l’amico è un altro se stesso), l’amicizia sembra configurarsi come qualcuno dei rapporti che abbiamo indicato precedentemente, e amici sembrano coloro a cui tali rapporti si riferiscono.
Tralasciamo per il momento la questione se si può essere o meno amici di se stessi. Sembrerebbe, poi, che vi sia amicizia in quanto si danno due o più delle caratteristiche ricordate, e che l’apice dell’amicizia sia simile a quella che si ha verso se stessi. D’altra parte è chiaro che le caratteristiche descritte si trovano anche nelle persone comuni, anche se tra di esse ci sono delle persone viziose. Ma forse partecipano di quelle caratteristiche in quanto si piacciono e credono di essere delle persone corrette? Infatti gli individui che sono irrimediabilmente viziosi ed empi non <solo non> hanno affatto queste caratteristiche, ma neppure sembrano averle.
E per gli individui viziosi vale quasi lo stesso discorso; infatti sono in disaccordo con se stessi, e i loro desideri tendono ad alcune cose e la volontà ad altre, come capita agli incontinenti; infatti scelgono cose piacevoli, anche se dannose, invece di quelle che loro stessi ritengono essere buone; altri, poi, per viltà e per pigrizia, si astengono da azioni che a loro stessi sembrano ottime; mentre altri ancora, che hanno compiuto molte azioni terribili, sono odiati per la loro nefandezza, fuggono via e si tolgono la vita. E i viziosi cercano qualcuno con cui trascorrere la giornata e fuggono se stessi; infatti se stanno da soli si ricordano di molte azioni terribili e ne progettano altre dello stesso tipo, mentre se stanno con altri se ne dimenticano. Non avendo, poi, nulla per cui essere amati, non provano nessun affetto verso se stessi; individui simili, poi, non provano gioie e dolori in accordo con se stessi; infatti la loro anima vive in stato di tumulto interiore e, di essa, un parte prova dolore a causa del suo vizio e si astiene da certe azioni, mentre una parte prova piacere per questo, e una parte tira da un lato, l’altra da un altro, come se volessero farlo a pezzi. Sebbene non si possa provare contemporaneamente dolore e piacere essi, tuttavia, dopo pochissimi istanti si rattristano del fatto di aver provato piacere e vorrebbero che tali cose piacevoli non fossero capitate loro; infatti le persone malvagie sono divorate dal pentimento. Quindi è chiaro che la persona malvagia non ha alcuna disposizione amichevole verso se stessa, perché non ha niente che meriti di essere amato. Se, quindi, questo stato è tremendamente penoso, bisogna fuggire la malvagità con tutte le proprie forze e sforzarsi di essere virtuosi. Infatti solo così si possono sia avere disposizioni amichevoli verso se stessi sia essere amici degli altri.
Aristotele, Etica Nicomachea, IX, 4, 1166 a 22 – 1166 3 34. In Aristotele, Le tre etiche e il Trattato sulle virtù e sui vizi, Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di Arianna Fermani; Presentazione di Maurizio Migliori, Bompiani, Il Pensiero occidentale, Bompiani, Milano 2018, pp. 851-855.