Paul Claudel – «La filosofia del libro». Le parole hanno un’anima. La scrittura ha questo di misterioso: «Parla!». Con una nota di Ilaria Rabatti: «Lo scrignio di carta: voce, parola, scrittura».

Paul Claudel, La filosofia del libro e Le parole hanno un’anima [La philosophie du livre e Les mots ont une âme]. Testo francese a fronte, traduzione e cura di Ilaria Rabatti. ISBN 978-88-7588-417-8, 2023, pp. 96, formato 130×170 mm., Euro 13 – Collana “au milieu des livres” [2]. In copertina: Kubo Shunman, Horned Owl on Flowering Branch, Museum of Fine Arts, Minneapolis.



Ilaria Rabatti

Lo scrigno di carta: voce, parola, scrittura

 

 

«La scrittura ha questo di misterioso: parla».
Paul Claudel

 

 

Le papier blanc comme un flocon de neige a absorbé le sens.
Il reste l’écriture.
Paul Claudel

 

 

 

«Grand lecteur», «dévoreur de papier imprimé», per sua stessa definizione,1 Claudel nutrì nell’arco di tutta la sua vita una visione nobile, mai strumentale, del libro. Non semplice oggetto d’uso quotidiano, il libro si presenta a Claudel come una forza dinamica, «scrigno» e veicolo delle più alte aspirazioni dell’umanità. Questa concezione alta del libro come «strumento di conoscenza», «ricettacolo del pensiero», «laboratorio dell’immaginazione» è sicuramente connessa ai due maggiori influssi formativi della sua poetica: la Bibbia (il “Libro dei Libri”)2 e Mallarmé – vero maître à penser per Claudel – che considerava il Libro espressione suprema del significato dell’universo.3 Questa esperienza biblico-simbolista della parola e del linguaggio si riplasma in Claudel – grazie ai suoi lunghi soggiorni in Cina e in Giappone4 –, nella scoperta della filosofia cinese (soprattutto del Tao tê ching) e nella rivelazione di quel «culto del segno», di quella «religion scripturale» che caratterizza la cultura orientale e da cui egli rimarrà profondamente influenzato. L’eccezionale ricchezza delle “arti” del libro e della scrittura ideo-grafica aprirà infatti al poeta nuovi orizzonti formali5 spingendolo a considerare in una diversa prospettiva il segno grafico e ravvivando la sua riflessione intorno ad una realtà – quella della parola parlata e scritta – su cui sempre tornerà in tutta la sua opera.

Pur non considerandosi affatto un bibliofilo,6 Claudel mostrerà però sempre una profonda sensibilità per le qualità “fisiche” dell’oggetto-libro e per il valore grafico della parola, partecipando attivamente alla preparazione materiale delle sue opere, collaborando (e spesso confliggendo) con gli editori, a cui non risparmierà dettagliatissime istruzioni su ogni aspetto della realizzazione.7 È per questo che Claudel, quando nel 1925 fu invitato a Firenze a tenere una conferenza alla Fiera del Libro (il primo dei due testi raccolti in questa plaquette), offrì alle persone venute ad ascoltarlo una suggestiva riflessione sulla «filosofia» e/o sulla  «fisiologia» del libro (antenata della bibliologia) – se, come spesso è stato notato, nel titolo della conferenza andata in stampa vi è un refuso. Indeterminazione o misteriosa convergenza in un titolo che, comunque sia, mette ancor più in evidenza la stretta connessione, nel pensiero di Claudel, tra la forma, la funzione ed il significato più profondo del libro, inteso al tempo stesso sia come oggetto (e supporto scrittorio di segni incisi, dipinti, scritti o impressi) che simbolo.8

Lungi da ogni ortodossia bibliofila – come, forse, avrebbe richiesto il contesto in cui era chiamato a parlare – Claudel sembra infatti guardare il libro più come autore che come lettore, scegliendo di valorizzare nella sua conferenza, tra gli elementi che compongono il libro, proprio quello più fragile e mobile: la pagina. Per farlo restringe la sua analisi alla poesia, dove, ai suoi occhi, compiutamente si rivela l’armonia tra il contenuto e lo spazio che lo contiene, tra il pieno ed il vuoto, tra il nero della parola ed il bianco del carta,9 insistendo proprio sul ruolo capitale dello spazio bianco nella disposizione dei versi.10 Chiamando a testimone Un coup de dés di Mallarmé («ce grand poème typographique»), Claudel afferma che è proprio il disporsi degli spazi nella pagina a dare forma sensibile al pensiero poetico, a rendere l’atto della lettura un viaggio di esplorazione creativa e non una progressione meccanica e lineare lungo un «étroit rail d’encre»:11 «le poëme n’est point fait de ces lettres que je plante comme des clous, mais du blanc qui reste sur le papier».12

In questo senso, anche l’invenzione della stampa ed il passaggio dalla pagina manoscritta (qualcosa di vivo, fragile e «vibrante») alla pagina tipografica – con il suo carattere impersonale, stereotipato, monotono – segna per Claudel l’inizio di una decadenza e di un progressivo conformismo culturale – a cui corrisponde nel testo anche un uso differenziato della maiuscola (L) o minuscola (l) di “libro”.

Dopo Gutenberg infatti – salvo gli esordi mitici dell’arte tipografica in cui il libro acquista ad opera di alcuni straordinari stampatori una nuova preziosità – la storia del libro mostra secondo Claudel un progressivo degradarsi che è proporzionale al violento, fagocitante, avanzamento della tecnica tipografica ed alla trasformazione del libro in bene di lusso o in oggetto commerciale. Ed infatti, nell’amaro finale della conferenza, ironizzando sulla bruttezza carica di orpelli della tipografia novecentesca, alimentata dal fatuo gusto dell’esibizione, Claudel lascia intendere una certezza ben più amara: il libro, trasformato in un oggetto qualunque, «fatto per essere preso, ripreso, gettato, spiegazzato, strappato», svuotato della sua dimensione spirituale, certo sopravvive nel tempo, ma “cristallizzato” nell’oggettistica dei soprammobili per “uomini-consumatori” che, avendo «più sensibile l’occhio che l’intelligenza» non avranno più alcun interesse a leggerlo.

L’indissolubile connessione logica tra libro e scrittura, che egli pone a fondamento della Filosofia del libro, andrà (idealmente) proseguendo in quella tra parola e lettera nel secondo e più tardo testo qui raccolto, Le parole hanno un’anima, dove è esemplificata (giocosamente) una delle più importanti idee motrici della poetica claudeliana. Come per il Platone del Cratilo anche per Claudel «i nomi appartengono naturalmente alle cose»,13 cioè vi è un rapporto diretto, oggettivo, fra la cosa e la forma della parola (il suo segno), tra il nome e la realtà. Ma alla sostanza e alla forma sensibile delle parole si aggiunge – suggerito dal loro «tracé expressif» – anche un elemento «dinamico» ,14 una forza magica, viva di per sé, che le fa muovere, «camminare» («notre mot marche»).15

Così, l’appassionato interrogare la parola che Claudel eredita da Baudelaire e Mallarmé – non solo intorno al senso, ma anche intorno al segno grafico in cui essa si manifesta, che, in sintonia con le culture orientali, gli appare a tutti gli effetti un “essere vivente”, una voce che «l’occhio ascolta»16 – apre ad un uso inedito, non ordinario delle parole, un uso poetico, che ha appunto come sua finalità quella di “significare”.17 Ma se per Claudel la parola deve significare, essa deve anche, forse soprattutto, sedurre con il suo «colore», il suo «odore» e i suoi «fantômes sonores». Ed ecco che i suggestivi calembours sfoggiati nel testo – una piccola, ma significativa collezione di trouvailles di non facile traduzione – assurgono, con le loro notazioni, aneddotiche, pittoresche e (pseudo)etimologiche, a veri e propri gioielli dell’uso metaforico e fantastico delle parole di cui Claudel è insuperabile maestro.

 

1 P. Claudel, Mémoires improvisés, Paris, Gallimard, 2001, p. 37.

2 A partire dalla tradizione biblica la creazione e la coscienza dell’essere umano, oltre che la Scrittura, sono concepite come libro. Bibbia è infatti un termine antonomastico di derivazione greca che significa “Libri”. Tale etimologia spiega anche la ragione per cui, fino al Medioevo, la Bibbia spesso venisse chiamata anche “Bibliotheca”.

3 Cfr. S. Mallarmé, Le livre, instrument spirituel: «Tout, au mond, existe pour aboutir à un livre», in Poesie e prose, con testo a fronte, introduzione e note di V. Ramacciotti, Milano, Garzanti, 1992, p. 324.

4 Claudel soggiornò come console per circa quindici anni, dal 1894 al 1909, nella Cina meridionale e successivamente, dal 1921 al 1927, come ambasciatore in Giappone.

5 Questa influenza orientale si manifesta già a partire da Connaissance de l’Est (l’edizione del 1914 realizzata da Victor Segalen nella sua pregiata “collezione coreana”) per poi rafforzarsi nelle successive pubblicazioni “giapponesi” – La muraille intérieure de Tokyo(1923), Le vieillard sur le Mont Omi (1925), dove l’impiego di carte pregiate e ricercate legature mira a creare una sottile corrispondenza tra i testi poetici e la loro forma concreta – per arrivare in Cent phrases pour éventails (1927) alla sostituzione dei caratteri occidentali con gli ideogrammi giapponesi e con la calligrafia della propria mano.

6 Cfr. la lettera a Gide del 27 marzo 1911 in P. Claudel e A. Gide, Correspondance, Paris, Gallimard, 1949, p. 169.

7 Per una dettagliata descrizione delle vicende editoriali e dell’impegno “tecnico” di Claudel nella pubblicazione delle sue opere a partire dalle Cinq grandes Odes si veda il saggio di M. Lioure, L’amateur de livres, in “Bulletin de la Société Paul Claudel”, n. 224 (2018), pp. 11-22.

8 Fin dall’inizio della conferenza infatti è suggerito, come in filigrana, anche l’uso biblico-metaforico della parola “libro” quando Claudel, ripercorrendo brevemente le tappe della sua carriera diplomatica, scrive (p. 15): «La mia vita! Se tento di compulsare quel libro inconsistente che è l’esistenza di un viaggiatore». Come non pensare ad un’eco della visione giovannea nell’Apocalisse (20, 12): «Furono aperti i libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. E i morti vennero giudicati secondo le opere loro che vi erano scritte».

9 Cfr. P. Claudel, Sur le vers français, in Œuvres en prose, cit. p. 7: «La parole humaine […] est une sommation du silence, elle appelle, elle provoque quelque chose d’égal ou de comparable à elle-même. Quand le poète a proféré le vers pareil à une formule incantatoire, il répond quelque chose dans le blanc».

10 Cfr. P. Claudel, La filosofia del libro: «Il bianco non è infatti per la poesia solo una necessità materiale imposta dall’esterno. È la condizione stessa della sua esistenza, della sua vita, del suo respiro» (vedi supra, p. 43). Per la metafora del bianco che infonde la vita nel testo attraverso il principio della respirazione, si veda anche il cit. saggio di Claudel Sur le vers français in Œuvres en prose, cit., p. 32: «Le vers composé d’un ligne et d’un blanc est cette action double, cette respiration par la quelle l’homme absorbe la vie et restitue une parole intelligible».

11 P. Claudel, Le Poète et le Shamisen, in Œuvres en prose, cit., p. 821.

12 P. Claudel, Cinq grandes Odes, in Œuvre poetique, cit., p. 224.

13 P. Claude Journal I, cit., p. 245.

14 Cfr. P. Claudel, Journal I, cit., p. 493: «Les mots n’ont pas seulement un timbre, une couleur, une odeur, ils ont aussi certain potential, une tension, une valeur dynamique. C’est même l’element le plus important». È qui evidente l’ascendenza rimbaudiana del Sonnet des voyelles.

15 Le parole hanno un’anima, vedi supra, p. 68.

16 L’œil écoute è il titolo di una raccolta di saggi sull’arte pubblicati da Claudel nel 1946. Claudel guarda alle parole – che talvolta «constituent de vrais petits paysages» come a dei quadri (“tableaux”). Ho sempre trovato suggestivo il fatto che “voce”, in linguistica, sia sinonimo di parola, vocabolo o lemma.

17 Cfr. P. Claudel, Sur l’inspiration poétique, in Œuvres en prose, cit. p. 47-48: «L’habitude est, comme on dit, une seconde nature. Cela veut dire que nous employons dans la vie ordinaire les mots non pas proprement en tant qu’ils signifient les objets, mais en tant qu’ils les désignent […] ils nous en donnent une espèce de reduction portative et grossière, une valeur, banale, comme la monnaie. Mais le poète ne se sert pas des mots de la même manière. Il s’en sert non pas pour l’utilité, mais pour constituer de tous ces fantômes sonores que le mot met à sa disposition, un tableau à la fois intelligible et délectable».

 



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Lukáš Houdek – «Filosofia dal naso rosso. Il travaglio di un clown, la nascita di un trickster». «Philosophy with a red nose. Clown labour, trickster birth». Prelude di Rodrigo Morganti: «Il Clown è l’emanazione della gioia, della condivisione … il suo linguaggio è il gioco … è la celebrazione della meraviglosa perfezione dell’inperfezione umana». «Clowning the of joy, sharing, of being allowed to show one’s vulnarability while staying open to the point of accepting that people laugh with us. Its language consists of playing games … It’s the celebration of the wonderful perfection of human imperfection».

Lukáš Houdek,
Filosofia dal naso rosso. Il travaglio di un clown, la nascita di un trickster.
Clown Labour – Trickster Birth.
Preludio di Rodrigo Morganti.
Traduzione di Alessandra Filannino Indelicato.

ISBN 978-88-7588-337-9, 2023, pp. 120, formato 130×170 mm., Euro 15 – Collana “coralli di vita” [3].

In copertina: Autore ignoto, Disegno di un Court Jester, probabilmente di epoca medievale.


AUTHOR’S NOTE

I finished writing in Piran – a Slovenian town on the border with Italy and Croatia. A peninsula surrounded by the sea, yet another border, this time between the land and the air. I steadily grew weary of the sentences that have until now accompanied us, as they kept washing me up against a very different but always familiar shore. I realise what I have attempted and, inadvertently, failed at. I tried to describe an experience, to incarnate thought, to touch by conjuring up ghosts of words. I made a leap and bounced back, much like a fly that is ignorant of the concept of transparency. Thresholds are impossible to inhabit and even paradox itself will eventually have to invite its opposite if it seeks a meaningful conversation. I will now go out and look for you, my reader, despite all I had said in the beginning. We will meet in the old town, in the filled-up harbour, by the long-since demolished drawbridge, in the dry scent of the sea to utter the afterword together.

Lukáš Houdek

Praha-Padova-Piran, summer 2023

NOTA DELL’AUTORE

Ho finito di scrivere a Piran – una città slovena sul confine tra Italia e Croazia. Una piccola penisola circondata dal mare, l’ennesimo confine, questa volta quello tra terra e cielo. Ho sentito molto fortemente che mi sono venute a noia le parole che ci hanno finora accompagnato, mentre continuavano a farmi rilavare su una costa davvero differente dalla mia, e tuttavia in qualche modo familiare. Mi rendo conto solo ora del mio tentativo, involontariamente fallito. Ho provato a descrivere un’esperienza, a incarnare un pensiero, di allenare il tocco mentre evocavo fantasmi di parole. Ho fatto un salto e poi sono tornato indietro, più o meno come una mosca che ignora il concetto di invisibilità. Le soglie sono dimensioni impossibili da abitare e anche i paradossi, alla fine, richiamano sempre il loro opposto, se si cerca una conversazione di senso. Ora, caro lettore, esco di casa, e andrò cercandoti, nonostante tutto quello che ti ho detto finora. Ci incontreremo in centro storico, in un porto affollatissimo, al ponte levatoio – quello che hanno demolito da tempo –, nel profumo secco e salato del vento di mare. Pronunceremo insieme la postfazione.

Lukáš Houdek

Praga, Padova, Piran; estate 2023



Preludio di Rodrigo Morganti

Clowning is the emanation of joy, sharing, of being allowed to show one’s vulnerability while staying open to the point of accepting that people laugh with us.

Its language consists of playing games.

It’s everything and its opposite.

It’s the celebration of the wonderful perfection of human imperfection.

It’s a difficult subject for a book: difficult but not impossible. And Lukáš, aware of that, succeeded in this task, breaking the fourth wall, and esta-blishing a direct relationship with the reader.

I hope that you will enjoy this book as I did.

 

Il Clown è l’emanazione della gioia, della condivisione, del poter mostrare la propria vulnerabilità in un’apertura tale da accettare che la gente rida con noi senza chiuderci.

Il suo linguaggio è il gioco.

È il tutto e il contrario di tutto.

È la celebrazione della meravigliosa perfezione dell’imperfezione umana.

Difficile farci un libro, e proprio perché è difficile non è impossibile, e Lukáš lo sapeva e ci è riuscito, rompendo la quarta parete e istituendo una relazione diretta col lettore.

Spero che ve lo godiate come me lo sono goduto io.

(Rodrigo Morganti, clown, clown-dottore e formatore. É stato il primo in Italia (1995) a portare il naso rosso in ospedale, ha girato l’Italia e il mondo formando nuovi health-care clowns, e facendo aggiornamento e formazione continua per clown, personale medico, scuola, aziende e privati. Attualmente è direttore artistico della “Fondazione Dottor Sorriso” e dell’ Ong libanese “Ibtissama”.)




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Giovanni Casertano – «Morte (e Vita). Viaggio dal concetto all’incantesimo, ovvero dai Presocratici a Platone». Pensare ed agire con bellezza e con amore, con eccellenza e verità. È questa la mortale immortalità degli uomini.

Giovanni Casertano, Morte (e Vita). Viaggio dal concetto all’incantesimo, ovvero dai Presocratici a Platone.

ISBN 978-88-7588-419-2, 2023, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il giogo” [179].

In copertina: La Tomba del Tuffatore a Paestum (480-470 a.C.), Museo Archeologico Nazionale di Paestum.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Paola Manuli – «Medicina, medico, malattia. L’antropologia medica nella tradizione antica». In memoriam.


Paola Manuli, Medicina, medico, malattia. L’antropologia medica nella tradizione antica.

ISBN 978-88-7588-306-5, 2023, pp. 104, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il giogo” [176].

In copertina: Mosaico raffigurante Ippocrate (a sinistra)
ed Asclepio (al centro, nell’atto di discendere dalla nave). II-III sec. d.C., Cos, Museo Archeologico.





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Arianna Fermani – Economia e felicità. Del buon uso della ricchezza in Aristotele.

 

Arianna Fermani, Economia e felicità. Del buon uso della ricchezza in Aristotele.

ISBN 978-88-7588-310-2, 2023, pp. 104, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il giogo” [178].

In copertina: Al centro: Locri Epizephyrii, Statere corinzio, Testa di Atena con elmo corinzio; in alto a dx: Statere corinzio, Pegaso in volo. In quarta: Busto di Aristotele.

 

indicepresentazioneautoresintesi



Sommario

 

Nota preliminare

 

La χρηματιστική nella Politica di Aristotele:

articolazioni concettuali e ricadute etico-antropologiche

  1. Riflessioni introduttive
  2. Esame dei rapporti tra chrematistiké e oikonomia
  3. Crematistica naturale e crematistica innaturale
  4. Ricchezza e virtù
  5. Riflessioni conclusive

 

 

 

Ricchezza, economia e vita buona in Aristotele

  1. Esame dei rapporti tra chrematistiké e oikonomia
  2. Qual è la differenza fra l’arricchirsi in modo “naturale” e in modo “innaturale”?
  3. Che cosa fa della ricchezza, una ricchezza “vera” e “virtuosa”
  4. Riflessioni conclusive: come la ricchezza può renderci felici

 

 

 

At the Origin of the Art of Money-Making.

Conversation With Aristotle About Wealth and the Good Life

  1. Introductory Remarks
  2. Natural and Unnatural Arts of Money-Making
  3. The Art of Money Making Inside the Horizon of the Good Life
  4. “True Wealth” and Virtue
  5. Arts of Money-Making and Psychological Attitudes
  6. Richness and Happiness: Final Remarks on the “Good Pursuit” of Wealth



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Il fine della «Metafisica umanistica» è rispondere ai processi di disumanizzazione, è intenzionalità veritativa che si storicizza nella difficile pratica del bene e della cura, è la risposta filosofica all’indifferenza del nichilismo crematistico.

V. Van Gogh, “Un paio di scarpe”.


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Gli scritti di Foucault testimoniano un’attenzione rara alla vita che scorre ai margini: folli, mendicanti, prostitute, omosessuali, oziosi popolano molti dei suoi saggi, in particolare Storia della follia e Sorvegliare e punire.

Vi è uno spostamento della prospettiva attraverso cui leggere il potere; tradizionalmente il potere risiede in una figura (ad es. il sovrano), una classe, un’istituzione. L’analisi tradizionale del potere individua il soggetto attivo depositario del potere, si pensi al Principe di Macchiavelli, ed un soggetto che ne subisce l’azione: il suddito.

Il potere è studiato mediante la ‘posizione della rana’, affermazione del filosofo. Il potere è analizzato da Foucault nel suo costituirsi, non dal vertice ma dalle forze interagenti dal basso il cui effetto è il potere.

 


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Il modello di razionalità è parte integrante della prassi di una comunità, la riflessione su di esso è necessaria per un’operazione “archeologica” di consapevolezza, ovvero le strutture cognitive sono segnate nella lingua come nei modelli di comprensione. La pastorale dell’incontro, tanto in voga riesce solo parzialmente a portare nuova vita nell’atto del pensare, tale operazione dev’essere completata con un’analisi-riflessione dei fondamenti del pensiero. L’interrogativo a cui dovremmo rispondere è il perché tanto sapere critico abbia prodotto risultati tanto parziali, finanche a volte reazionari.

 


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La fame dei desideri, l’assenza continua di una pienezza ontologica, spinge in modo compensativo molti alla fame di cose, di un tempo vuoto, ripetitivo e riproduttivo da colmare con spazi ingombri di materia. La fame denuncia un’assenza, è la perversione di una fame di giustizia ed autenticità resa perversa dall’impazzimento razionale della crematistica. Il compito che spetta alla filosofia, come afferma Ernst Bloch, è ridare speranza, reintrodurre con la speranza l’utopia e dunque trasformare la fame delle cose in una spinta trasformatrice collettiva della storia.

La storia non è terminata e l’impensabile è nel presente, sbiluccica nei malesseri dell’umanità ricca come in quella deprivata di tutto: il futuro non è fatalità, ma sistema aperto che attende tutti.

L’impegno è restituire dinamicità alla storia e con essa reintrodurre la categoria della speranza non come attesa messianica ma come attività progettante radicata nell’attualità:

 

“Lì dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti. Dove invece si ha costantemente di mira anche l’orizzonte prospettico, il reale si manifesta come ciò che esso è in concreto: come intreccio di processi dialettici, che si svolgono in un mondo incompiuto, in un mondo che non sarebbe assolutamente mutabile senza il gigantesco futuro della possibilità reale in esso” (E. Block Il principio speranza, Garzanti, 2005, p. 262).


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Il depotenziamento del linguaggio è attuato dalla globalizzazione capitalistica, nel suo allontanamento dalla persona e dalla comunità. L’epoca attuale destina ricchezza materiale ai pochi e povertà linguistica ai molti: povertà lessicale, manomissione dei significati delle parole, riduzione della parola a funzione calcolante, aggressione culturale imperialistica alle lingue nazionali. La povertà lessicale non è semplicemente una forma di regressione culturale legittimata dalla cultura del fare, della didattica breve, del problem solving, ma trova la sua ragion d’essere nel liberismo globale, per il quale ogni riflessione eccedente i bisogni dell’economia è già un limite per le logiche mercantili. La lingua deve tracciare il suo senso nella sola produttività, nell’immediatezza della sua spendibilità, dev’essere funzione dell’illimitatezza della valorizzazione. Ogni linguaggio non immediatamente spendibile è stigmatizzato come inutile. Diviene così funzione, calcolo per previsioni consumistiche, diventa la pietra di confine conficcata nella terra dei consumi oltre la quale vi è il nulla. Novello Crono, il capitale divora – con i figli – le parole, al fine di colonizzare ogni comunità e renderle atomizzate e dominabili. La comunità politica è sostituita dal modello azienda, ed ha il suo centro nella competizione.

La neolingua si struttura nell’atomizzazione dei pensieri, delle frasi, che si articolano in modo da perdersi nell’emozione dell’immediato della compravendita delle pseudo relazioni virtuali. Il nichilismo di massa è alimentato e vive attraverso l’incompetenza linguistica che derealizza la realtà in monconi fonetici. Il riduzionismo politico filosofico si sostanzializza attraverso un linguaggio la cui articolazione logica arretra per lasciare spazio unicamente alla naturalizzazione del solo presente.

 


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Il cacciatore globalizzato nel capitalismo assoluto è onnivoro, ha smarrito la strada del bene e del male, è solo interno al visibile, alla merce ed alle sue immagini che ne colonizzano la carne privandola della sensibilità della comunicazione. Vive nell’immediatezza, consuma ogni prodotto nell’irrilevanza critica ed etica: ha fatto dell’attimo consumante l’ontologia della consolazione. Il mercato è il fondamento ontologico che si rispecchia nel suo pensiero. È l’automa cartesiano realizzato, privo di anima ma pronto all’azione imitativa. Vive l’imperio del caos, insegue i flussi dell’economia diventandone parte fino ad esserne parte indifferenziata, non pensa il suo tempo, lo insegue, lo annusa in cerca di selvaggina: la merce.

La vita allora si disfa in una temporalità segnata dal tempo liturgico del consumo senza limiti, e la chiamata al consumo non conosce soste. Vive l’incontro solo come occasione per soddisfare i suoi biologici interessi, divora l’altro.

Con questo saggio l’autore vuole contribuire a pensare l’epoca presente, a porre delle domande sul dominio del nulla sull’essere, sempre più incombente, sull’avanzare del deserto spirituale, nel dolore silenzioso dei tanti senza voce, senza destino. E chiama in causa la necessità di elaborare una filosofia capace di progettualità sociale e comunitaria.

 


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La metafora assume una polisemia di significati formativi: è l’immagine che porta al concetto; è configurazione di tensioni concettuali dal forte contenuto emozionale, non estranee alla razionalità nella sua processualità radicata in piani differenti. È totalità umana: fantasia, sentimento e razionalità sono un trittico imprescindibile per l’uomo teoretico. La metafora “trasporta” il concetto, è libertà antitetica alla riduzione dell’essere umano ad ente senza autentica progettualità, è l’affacciarsi dell’essere umano fuori dal corpo. La metafora educa al possibile. La metafora è bussola concettuale per guardare oltre l’orizzonte dell’angusto presente. Creare e ripensare concetti con la metafora rompe la successione sempre eguale della linea del tempo. «Noi apprendiamo soprattutto dalle metafore», in quanto esse hanno il ruolo fondamentale di «portare l’oggetto sotto gli occhi» (Aristotele,  Retorica, III, 10, 1411a).

 


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L’ospite inquietante, il nichilismo, è fra di noi.

Perché possa esserci vita degna d’essere vissuta è necessario riportare il fondamento veritativo nella vita degli esseri umani. Costanzo Preve ha fatto dell’esodo dal nichilismo economicistico il telos del suo filosofare. Dalla periferia in cui si è posto ha guardato la complessità del problema e il suo volto meduseo, senza distogliere lo sguardo. Ha testimoniato con la vita e le opere che il nichilismo non è un destino, ma una condizione trasmutabile. Sentiamo l’assenza di uomini dalla passione durevole.

Questo testo è dedicato a Costanzo Preve e a coloro che vogliono accostarsi al problema avendo deciso di non distogliere lo sguardo, di non voler più vivere nell’indifferenza, in un mondo di sole merci.


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Massimo Bontempelli, professore di liceo, è stato filosofo olistico: l’originalità della sua teoretica è nel tenere assieme filosofia, storia e pedagogia, al fine di orientare la paideia sul fondamento veritativo che coniuga l’asse ontologico-assiologico all’azione educativa. Ha avvertito l’incombere plumbeo del nichilismo sul destino dell’Occidente, guardando con gli occhi della mente il dramma in cui è impigliata la cultura occidentale ormai planetaria. Trascendere il nichilismo ha significato per lui interpretarlo, inseguirlo nei meandri della sua genealogia, per sfidarlo, e quindi, ricostruire il percorso verso la verità. La sofferenza teoretica per lo stato presente, si è sublimata in pensiero e pratica educativa. Filosofo dalla passione intellettuale per il presente, con l’impegno rivolto fortemente al futuro, ha teorizzato l’alternativa al nichilismo consumistico dei nostri giorni. Ha rielaborato il pensiero teoretico e po­litico di Hegel mediandolo col pensiero di Marx. Con Hegel ha condiviso l’urgenza della metafisica, senza la quale il soggetto è lasciato alla sua accidentalità e dissolto nel pulviscolo del conflitto economico. Il suo stile filosofico ed educativo ha un significato simbolico e sostanziale: l’essenziale è la parola, veicolo della qualità contro la quantità. Ci ha lasciati eredi non solo della sua attività teoretica, ma della sua esperienza umana vissuta fuori dalla caverna della società dell’immagine e della pornografia mediatica spacciata per trasparenza.

 Questi i temi discussi

Prologo / L’uroboro / Nichilismi / La tirannia del presente: l’isola di Pasqua / Il verme nel nocciolo / Il pensiero debole / Massimo Bontempelli / L’olismo come paradigma irrinunciabile / La bicicletta di Bontempelli / La metafora della caffettiera / Concreto ed astratto / Lo sguardo contro il nichilismo / Destra-Sinistra / Pedagogia della passività / Le categorie della quantità e della qualità / La categoria della quantità e la morte / Modelli metafisici / Il regno dei lupi / La libertà / La derealizzazione / La sussunzione / Il bene / Il narcisismo-derealizzazione / Perché educare? / A scuola di nichilismo / Filosofia e Storia / La storia come necessità / Tempo e memoria / Masssimo Bontempelli / Costanzo Preve / Narcisismo, concretismo e arbitrarismo / Le miserie dell’abbondanza / La metafora della valle / Verità e libertà / “Ex ducere” / Mutazione antropologica / La Storia come asse culturale / Il Gesù di Bontempelli / La società del disprezzo di sé / Bontempelli interprete di Marx / Marx ed Hegel / L’esperienza della decrescita / Umanesimo integrale.

 


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I filosofi ci accompagnano nel tempo della nostra vita, e imprimono svolte creatrici ai concetti che noi stessi formuliamo. Il presente testo è il risultato del tempo trascorso assieme agli scritti di Costanzo Preve, della sua presenza nelle mie riflessioni, del confronto dialettico e dello scontro vivo, alimento continuo e condizione sine qua non, perché emergessero i temi, le problematiche, le riflessioni sull’ordito del mondo storico. L’indugiare assieme con lo sguardo dialettico è la cifra del pensiero vivo, mai schematico o prefabbricato, e questo è realmente comunità. Mi piace ricordare la metafora dello sguardo della civetta con la sua profondità orizzontale e verticale, che tematizza il noto, e consente al reale di diventare razionale. Se tutto ciò manca, il pensiero resta spoglio, e l’essere umano animalizzato, involuto nel suo abbandono etico. Ciò che, invero, può consentire di trascendere tale tragica condizione è una maturazione del pensiero, di quello che si configura, prende forma, in maniera solare, dal caos latente che nutre le nostre azioni.

 

Prologo / Introduzione / Il tempo del gregge / La perversione di Spinoza / Il regno dello spazio-materia uniforme / La religione abramitica della merce / Empatia negativa / Il Sessantotto / Solo materia… / Il “no” che non fu detto / Pedagogismo senza pedagogia / La pedagogia della resistenza contro l’antiumanesimo del pedagogismo / La glebalizzazione della scuola / La scuola aptica / “Sinistra” di governo e globalizzazione / Pensiero cerimoniale e pensiero critico / Linguaggio e globalizzazione / Verstand – Vernunft / Verità – esattezza / La società del niente / PCTO / Formare alla plebe / Organico orientamento / Pensare come una macchina / Coding: la definizione degli esperti / Populismo pedagogico / Formazione alla complessità-difficoltà / Democrazia e formazione / La sussunzione linguistica / Emancipazione / Preside manager / A scuola di politicamente corretto / A scuola di Ponzio Pilato / Automatismi / Dignità del docente / Che cos’è la scuola? / Esodo / Educazione filosofica e filosofia dell’educazione / La scuola come presidio contro l’alienazione / Scuola “senza classi” / L’ontologia dell’essere sociale / Disumanizzare donne e uomini / Post-modernismo nichilista / Esemplificazione e dominio / Femminismo di tradizione / Femminismi / Inclusione / Post-femminismo / Maschile femminile / La compiuta peccaminosità / Capitalismo logofobico / Metafisica e politica / Il tempo includente / Che fare?


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Rileggere Pinocchio è come trovarsi palesate, senza per questo cadere nella disperazione e nel pessimismo, le armi più efficaci che il potere usa per dominare. Le avventure di Pinocchio sono le nostre avventure, sono l’inquietudine che non si rassegna ad una vita anonima, sono l’incessante tensione per uscire dalla “caverna platonica degli inganni”. Pinocchio, sintomo di un mondo disumanizzato, è altresì la vitalità di colui che cerca la guarigione. I processi di identificazione con il burattino favoriscono il riattivarsi di energie critiche, per cui rileggere Pinocchio può significare l’inizio di un processo di emancipazione dalla “banalità del male” in cui siamo immersi, e che spesso rimuoviamo per cedere agli automatismi senza concetto. Il testo di Collodi ci invoca al dialogo, ci sollecita ad affinare lo sguardo nella profondità del buio delle “caverne in cui siamo inconsapevoli prigionieri”. All’antiumanesimo del pessimismo è necessario contrapporre la forza storica della vita, la quale non si lascia prosciugare dal sole nero del potere, ma sa leggere il presente utilizzando le categorie del pensiero, generatrici di possibilità. Solo la parola libera: ne è testimonianza la storia di Pinocchio. Il burattino insegna a bambini e adulti che l’avventura della vita esige partecipazione, che la salvezza è sempre possibile, se si rinuncia ad un individualismo senza storia e bellezza. La maieutica filosofica necessita di simboli che favoriscano il logos. L’opera di Collodi, quindi, si presta ad esse­re un insospettato veicolo di consapevolezza comunitaria.


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La filosofia è una pratica ermeneutica. La ricostruzione genetica della particolare postura filosofica di Costanzo Preve è un’operazione complessa, e certamente esercizio quanto mai laborioso, a causa della copiosa produzione di scritti e dell’ordito di mezzi da lui scelti per portarla a noi. Malgrado tali difficoltà, può senz’altro affermarsi che la filosofia di Costanzo Preve è stata costantemente dialogica, aliena all’innalzamento di sterili palizzate ideologiche, poiché al contrario mirava – facendo leva sulla forza del concetto – a scanalare brecce nelle cinte fortificate di purismi e ideologie rinchiuse in se stesse. È questa una capacità che gli ha consentito di elaborare una sintesi tra tradizioni e filosofi differenti, divergenti, allo scopo di ritrovare un sentiero che conducesse fuori dalla palude del nichilismo. Tale genesi composita fa sì che l’addentrarsi nel suo pensiero sia un’esperienza di “straniamento”, perché egli sa mettere proficuamente in crisi le facili e sterili dicotomie su cui reggono quei poteri sclerotizzati nell’abitudine, assieme a quei pregiudizi ideologici che favoriscono il consolidamento dei totalitarismi ideali, siano questi confessi e riconosciuti o meno.


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La comunità è linguaggio, e senza lingua viva non vi è politica. Il conflitto politico è in tal senso dialettica generativa, crea nuovi linguaggi e struttura significati condivisi. Identità e saperi sono a loro volta codici, che si commisurano, integrano e completano l’un l’altro. Infine, l’Umanesimo è il filo d’Arianna linguistico dell’ingegno, sulla scorta del quale l’umanità dà forma alle pratiche della vita. Il regredire dei linguaggi e l’agorafobia per tale generatività connotano la fase apicale del capitalismo: la parola si ritrae, e da momento aurorale dello spirito degrada a semplice trasmissione dati. Il linguaggio è storia, poiché presenta concetti che rompono l’ossificazione dei saperi.

Al contrario la trasmissione dati è la negazione stessa della storia, poiché il dato economico è mera conferma del sistema e rifugge l’autentico, in una fobia della generazione di senso. Il dispositivo del potere lavora a neutralizzare la volontà veritativa dei saperi, per sostituirla con una coazione a ripetere dati. Svanendo una riflessione condivisa sul “ben vivere”, l’essere umano regredisce, e diventa più simile ad animali di altre specie, dotati della voce ma non del logos. Per emanciparsi dall’oblio della parola, occorre sottrarsi alla negazione del linguaggio, tallonando il dispositivo di dominio nella sua opposizione quotidiana ai linguaggi e contrastando la microfisica della guerra mossa al logos.


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Perché la Metafisica, e con essa la filosofia, sembrano scomparse dall’ordine del discorso? È questo il sintomo di una patologia cha attraversa il corpo sociale. La Metafisica pone al centro l’essere umano e la complessità concettuale e ambientale da cui emerge. Resecare la Metafisica significa porre la merce al centro e con essa lo scientismo con il quale l’economicismo trionfa. L’essere umano, addestrato al mero specialismo, non sa più porre in relazione le parti: la realtà così diviene irrazionale. La Metafisica strappa l’essere umano dalla passività: lo emancipa dal giogo delle passioni tristi. Insegna a correlare: solo dalla relazione può emergere il senso delle parti. La tempesta dell’irrazionale non lo abbatte, poiché media con il logos la realtà sociale e storica, ne scorge le contraddizioni, condizione prima per poter ridiventare attore della storia. La Metafisica insegna a guardare ciò che la quantificazione occulta, ricostruisce genea-logie e genetiche. L’irrazionale non è subìto, ma è riconfigurato con la categoria della totalità. Dove regna la separazione, il dominio trionfa. La Metafisica svela e rileva i processi di ipostatizzazione dell’economia e dello scientismo.


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Il nichilismo è crisi dell’immaginazione e della fantasia etica. Auschwitz non era solo un luogo di concentramento di assassini e di assassinati, ma un’immensa macchina atta a lavorare e a trasformare la materia. Anders descrive tale crisi scorrendo in parallelo le biografie contrapposte di A. Eichmann e C. Eatherly. Il primo rinuncia all’immaginazione etica, diviene adattivo con convinzione, abdica alla relazione con l’altro e con la storia. Come l’ultimo uomo descritto da Nietzsche, è manager dello sterminio, ed è l’emblema del modo in cui la tecnocrazia plasmi uomini deprivati di una grammatica interiore. Il secondo, invece, è testimonianza viva, per un verso, della capacità della mega-macchina tecnocratica di manipolare corpi, di calare una cortina di ignoranza presentandola come la verità, ma per un altro anche del fatto che l’essere umano conserva sempre un nucleo metafisico indistruttibile: il lògos. Il pensiero è immaginazione razionale, rottura della foschia opprimente del politicamente corretto, e consente un accesso a una rielaborazione della storia e una riapertura dei suoi chiavistelli. Eatherly trasforma la propria partecipazione al bombardamento atomico di Hiroshima in prassi politica ed etica: uomo dotato di immaginazione e fantasia etica, costui palesa la capacità umana di fuoriuscire dalla tagliola del sistema, di rischiare un nuovo inizio. La crisi nichilistica dell’immaginazione induce Anders ad elaborare vie di fuga dalla crisi metafisica che attanaglia l’Occidente, attestandosi su un livello etico all’altezza della crisi storica in cui siamo situati. A questo autore non è mai stato perdonato l’aver alzato il velo dell’ignoranza sul bombardamento atomico: chi ha l’immaginazione cui si accennava non dispone su variegate gerarchie le diverse vittime dei diversi totalitarismi, perché ogni essere umano incenerito dalla violenza totalitaria non può che indurci a una prassi di indignazione, conditio sine qua non per qualsiasi progettualità comunitaria.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mario Vegetti – «L’io, l’anima, il soggetto». Se la crisi del soggetto moderno non sembra aver scalfito più che tanto un senso comune depositato e robustamente consolidato nella teoria aristotelica, l’uno e l’altra tornano a evocare, per contrasto, il vecchio e a più riprese sconfitto avversario platonico.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Maurizio Migliori – «L’interiorità in Platone». Prefazione di G. Capasso, F. Eustacchi, A. Fermani, L. Palpacelli, F. Piangerelli: «Al nostro maestro. Reciprocità di un dono: vivere una vita degna di un essere umano».

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Arianna Fermani – «Equità e giustizia dal volto umano. Aristotele tra nomos e phronesis». La radice ontologica della philia è anche la radice ontologica della giustizia. Chi ha bisogno di giustizia è anche capace di philia, e chi vive di philia non tollera l’ingiustizia. Giustizia e philia rappresentano ciascuno la misura dell’altro: la giustizia è infatti la misura della philia, e la philia è la pietra angolare della libera comunità umana.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Massimo Bontempelli – «Tempo e memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro». Per ricordare Massimo Bontempelli e la sua passione durevole per la filosofia.




Luca Grecchi, Ricordo filosofico di Massimo BontempelliScarica


Libri di Massimo Bontempelli


Storia:

  • Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1978.
  • Antiche strutture sociali mediterranee. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1979.
  • Storia e coscienza storica (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1983.
  • Storia (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984. [Per il triennio]
  • Civiltà e strutture sociali dall’antichità al medioevo (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984.
  • Antiche civiltà e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1993.
  • Civiltà storiche e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1994
  • Storia e coscienza storica. (nuova edizione, 3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1998. [Per il triennio]

Filosofia:

  • Il senso dell’essere nelle culture occidentali (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Milano, Trevisini, 1992.
  • Il tempo della filosofia (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011. [riedito nel 2016 in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum]

Saggi e monografie:

  • Eraclito e noi, Milazzo, Spes, 1989.
  • Percorsi di verità della dialettica antica, con Fabio Bentivoglio, Milazzo, Spes, 1996.
  • Nichilismo, verità, storia, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT, 1998.
  • La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT, 1998.
  • Tempo e memoria, Pistoia, CRT, 1999.
  • Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, con prefazione di Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 2000. [ristampato nel 2020 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • L’agonia della scuola italiana, Pistoia, CRT, 2000.
  • Per conoscere Hegel. Un sentiero attraverso la foresta del pensiero hegeliano, Pistoia, CRT, 2000.
  • Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, 2000.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n.6, Pistoia, CRT, 2000.
  • Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, 2001.
  • Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia 2001.
  • L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, 2001.
  • Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush, con Carmine Fiorillo, Pistoia, CRT, 2001 [ristampato nel 2017 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • Diciamoci la verità, CRT, Pistoia 2001.
  • Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo. 1914-1945, Pistoia, CRT, 2002.
  • Il mistero della sinistra, con Marino Badiale, Genova, Graphos, 2005.
  • La Resistenza Italiana. Dall’8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, 2006.
  • La sinistra rivelata, con Marino Badiale, Bolsena, Massari, 2007.
  • Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC, 2008. [ristampato nel 2018]
  • Civiltà occidentale, con Marino Badiale, prefazione di Franco Cardini, Genova, Il Canneto, 2010.
  • Marx e la decrescita, con Marino Badiale, Trieste, Abiblio, 2011.
  • Platone e i preplatonici. Morale e paideia in Grecia, con Fabio Bentivoglio, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011.
  • Un pensiero presente. 1999-2010: scritti di Massimo Bontempelli su Indipendenza, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • Capitalismo globalizzato e scuola, con Fabio Bentivoglio, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • La sfida politica della decrescita, con Marino Badiale, prefazione di Serge Latouche, Roma, Aracne, 2014.
  • Gesù di Nazareth, con prefazione di Marco Vannini, Pistoia, Petite Plaisance, 2017.

Saggi in opere collettanee:

  • Il respiro del Novecento, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 1999
  • Metamorfosi della scuola italiana, “Koiné” n. 4, Pistoia, CRT, 2000
  • (Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, “Koiné” n. 5, Pistoia, CRT, 2000
  • Scienza, cultura, filosofia, “Koiné” n. 8, con Lucio Russo e Marino Badiale, Pistoia, CRT, 2002.
  • I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, a cura di Roberto Massari, Bolsena, Massari, 2007.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 2000.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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