Rainer Maria Rilke (1875-1926) – Per i nostri padri una ‘casa’, una ‘fontana’, il loro vestito, erano infinitamente più intimi che per noi. Ora dall’America s’affollano tante cose vuote e indifferenti, parvenze di cose, imitazioni della vita …
«Ancora per i nostri padri una ‘casa’, una ‘fontana’, una torre a loro familiare, perfino il loro vestito e il loro cappotto, erano infinitamente di più, infinitamente più intimi che per noi; ogni cosa quasi un’urna, in cui trovavano sempre un che di umano da mettervi in serbo. Ora dall’America s’affollano tante cose vuote e indifferenti, parvenze di cose, imitazioni della vita … Una casa, nello spirito americano, una mela americana o una vite di laggiù non hanno nulla in comune con la casa, il frutto, il grappolo in cui la speranza e la meditazione dei nostri avi era lentamente penetrata. Le cose vive, vissute e ammesse alla nostra confidenza, a poco a poco scompaiono, e non possono più essere sostituite. Noi siamo forse gli ultimi che abbiamo conosciuto tali cose. Su di noi pesa la responsabilità di serbarne non solo il ricordo (ché sarebbe poca cosa, né darebbe alcun affidamento), ma il loro valore larico e ‘umano’ (‘larico’ nel senso delle divinità domestiche). […] Non vi è né un al di qua né un al di là, ma solo una unità immensa […] con un sentimento puramente, profondamente, beatamente terrestre bisogna introdurre le cose viste e toccate quaggiù in un cerchio più ampio, nel più ampio di tutti. Non in un al di là, la cui ombra oscuri la terra, ma in un tutto, nel Tutto».
R. M. Rilke, “An Witold von Hulewicz” (12 novembre 1925), in Briefe aus Muzot, Leipzig, Insel, 1937, trad. it. a cura di N. Saito, in R. M. Rilke, Del poeta, Torino, Einaudi, 1955, pp. 98-99.