Autore: ppci
Agnolo di Cosimo (1503-1572)
![Ritratto di Lucrezia Panciatichi (particolare), c. 1545.](https://blog.petiteplaisance.it/wp-content/uploads/2015/10/Ritratto-di-Lucrezia-Panciatichi-particolare-c.-1545..jpg)
Ilaria Rabatti – «La casa di carta», di Carlos María Domínguez
Carlos María Domínguez, La casa di carta, Sellerio, 2011
«…il lettore è un viaggiatore che si muove in un paesaggio già scritto. Un paesaggio infinito.
L’albero è già stato scritto, e la pietra, e il vento fra i rami, e la nostalgia di quei rami e l’amore cui prestarono la loro ombra.
E non conosco gioia più grande che percorrere, in poche ore, un tempo umano che altrimenti mi sarebbe estraneo…
Non basta una vita… una biblioteca è una porta nel tempo». (C. M. Domínguez)
Nella mia vita di appassionata lettrice ho maturato la certezza che un buon libro lascia sempre al lettore l’impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale.
Sarà forse perché amo respirare l’aria dei libri, o perché, col passare degli anni, la mia (vera) casa assomiglia sempre di più ad una “casa di carta”, che ho trovato folgorante il racconto, a tratti surreale, a tratti amaramente ironico, dello scrittore argentino Carlos María Dominguez, La casa di carta, scritto nel 2002, ma tradotto e pubblicato in Italia da Sellerio solo dopo un decennio, nel 2011. Attraversa la storia – che è anche un viaggio intorno al leggere – una tensione in forma di domanda, comune, mi pare, a tanta parte della letteratura argentina più recente (da Borges, a Manguel, a Piglia) sulla natura e l’essenza misteriosa del lettore.
Il protagonista indiretto della narrazione, Carlos Brauer, è un personaggio indimenticabile, con una totale aspirazione all’intimità e all’isolamento creativo. Lettore “puro”, assoluto (qualcuno lo definirebbe, troppo facilmente, compulsivo), egli intende il leggere non solo come un’attività, ma come una forma di vita che è al contempo difesa dalla vita e rifugio di fronte all’ostilità del mondo.
Ma Carlos Brauer è anche un geniale costruttore di cataloghi. Arrivato a raccogliere nella sua casa più di ventimila volumi, egli si porrà il problema della gestione e della disposizione dei libri nella sua biblioteca, risolvendo la “spinosa” questione delle “affezioni” – ovvero, mai collocare vicine le opere di autori che non si sopportano, come Borges e García Lorca; Marlowe e Shakespeare; Martin Amis e Julian Barnes; Vargas Llosa e García Márquez – elaborando un sistema aperto, basato sui numeri frattali, con cui poter modificare in ogni momento la collocazione dei volumi secondo criteri dinamici, ma ipotetici, «perché in fin dei conti nulla è più volubile delle valutazioni letterarie».
Sarà la drammatica (e metaforica) perdita in un incendio del catalogo – efficace ed ordinata sintesi, per tutti noi bibliofili, della realtà, la mappa che ci guida nella confusione della vita – a modificare definitivamente le sue prospettive e ad indurlo a trasferirsi, con i suoi libri, in un luogo sperduto «senza mezze tinte, né anestesia, né distrazioni, né consolazione» ai confini del mondo, sulla spiaggia di Rocha (Uruguay), dove poi maturerà la scelta con cui riscatterà la sua esistenza…
Il racconto, di cui volutamente taccio l’epilogo per non togliere al lettore il gusto della sorpresa finale, è innescato da una breve storia d’amore vissuta dal protagonista, di cui resta traccia in una dedica sul frontespizio di una copia de La linea d’ombra di Joseph Conrad, romanzo che mi pare splendidamente evocare un altro tema centrale della storia di Domínguez: quello del passaggio alla maturità del protagonista che si configura con il superamento della “propria” linea d’ombra attraverso un atto di amore estremo e assoluto.
Ilaria Rabatti
Antonello da Messina (1430-1479)
Giuseppe Conte – Materia madre
siamo le zolle di terra da dove scocca
le sue frecce di primavera il papavero
e da dove cresce il grano –
siamo l’erba sottile e i rami
giganti del cedro e le foglie del banano,
la materia è la madre, siamo le gocce
della pioggia che benedice e feconda
l’acqua dei fiumi che si può bere
l’acqua salata dell’onda
e della marea, siamo la pietra rocciosa
che strapiomba tra agavi e cactus
la sabbia del deserto tutta rosa
di nebbia e di miraggi.
in lei siamo fratelli, siamo i raggi
del pianeta Venere, i ghiacci delle comete
le corolle abissali delle nebulose
costellazioni ancora segrete
e quelle dell’Orsa, del Toro, delle Pleiadi.
come uomini e ci dà il canto
ama la materia e il suo grembo
come l’amò all’inizio, quando
la penetrò con un moto
vorticoso e veloce
finché fu luce.
Mario Vargas Llosa – Elogio della lettura
«Ho imparato a leggere a cinque anni.
È la cosa più importante che mi sia successa nella vita».
Mario Vargas Llosa, Elogio della lettura e della finzione, Einaudi, 2011.
Pascal Mercier – Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali o in quello che demonizza il pensiero critico esigendo amore per gli sfruttatori
«Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali. Ho bisogno della loro bellezza e della loro sublimità. Ne ho bisogno di contro alla piattezza del mondo. Voglio levare lo sguardo verso le luminose vetrate e lasciarmi abbagliare dai loro colori soprannaturali. Ho bisogno del loro splendore. Ne ho bisogno di contro alla sporca monocromia delle uniformi. Voglio lasciarmi avvolgere dalla pungente frescura delle chiese. Ho bisogno del loro silenzio imperioso. Ne ho bisogno di contro alle insulse urla da caserma e alle spiritosaggini dei fiancheggiatori del regime. Voglio sentire lo scroscio dell’organo, questo diluvio di suoni ultra terreni. Ne ho bisogno di contro alle stridule, ridicole marcette militari. Amo le persone che pregano. Ho bisogno della loro vista. Ne ho bisogno di contro al perfido veleno della superficialità e della distrazione. Voglio leggere le parole potenti della Bibbia. Ho bisogno della forza irreale della loro poesia. Ne ho bisogno di contro alla devastazione della lingua e alla dittatura delle parole d’ordine. Un mondo senza tutto questo sarebbe un mondo in cui non vorrei vivere.
Carmine Fiorillo – Luca Grecchi: Oltre la dimensione afasica della “gabbia d’acciaio” capitalistica
http://www.petiteplaisance.it/libri/231-240/237/sin237.html
Il refrain “Euro sì, euro no”
L’errore dei“No euro critici verso il modo di produzione capitalistico”
Tre notazioni per correggere la rotta
Il limite dell’approccio monetario e geografico
Il “contingente” elude la presa in carico di una progettualità umanistica e comunitaria
Oltre la dimensione afasica della “gabbia d’acciaio” capitalistica
Qualche minimo contenuto per affrontare il problema
Le scorciatoie non esistono
Cesare Pavese – Ritorno all’uomo: la carne e il sangue da cui nascono i libri. Una cosa si salva sull’orrorre: l’apertura dell’uomo verso l’uomo
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
I dirigenti dei partiti tradizionali, quale è in Italia oggi soprattutto il Partito Democratico, si possono distinguere, in base al fine principale della loro attività, in due categorie: a) aventi come fine l’ottenimento di incarichi pubblici; b) aventi come fine la realizzazione di forme di giustizia sociale. Quando un partito governa, la prima tipologia, che di solito coincide con la cosiddetta “classe dirigente”, è contenta: si aprono infatti molte possibilità. La seconda tipologia, che di solito coincide con la cosiddetta “base militante”, tende invece paradossalmente ad essere scontenta: negli ultimi anni, in effetti, le politiche adottate dai governi non rispondono alle idee di giustizia sociale più condivise. Ciò accade in quanto, per riuscire ad ottenere il potere, i partiti devono sposare le teorie economiche dominanti, le quali si oppongono strutturalmente, nel modo di produzione capitalistico, alla giustizia sociale.
Non mi addentro, in questa sede, nella descrizione dei processi di conquista del potere da parte di organizzazioni, come i partiti, che pure dovrebbero essere democratiche (democrazia significa, in greco, “potere del popolo”). Il mio scopo è più limitato: vorrei solo mostrare come, a mio avviso, la delusione attuale di molti elettori PD sia principalmente frutto di una illusione, consistente nel ritenere possibili cose strutturalmente impossibili, per la struttura stessa del PD per come è divenuto. Saranno molto utili, in questa analisi, alcuni strumenti teorici forniti da Aristotele.
Come noto, l’antico filosofo invitava a distinguere tra ciò che un certo ente è in atto, e ciò che esso è in potenza. Il seme di una rosa è, in atto, un seme, ma in potenza è una rosa, poiché ciò è inscritto nella sua essenza. Diventerà anzi sicuramente una rosa, se non sarà impedito da qualche elemento accidentale. Ciò in quanto gli enti naturali hanno principalmente al proprio interno la causa del loro mutamento, ossia mutano soprattutto in base alla propria essenza, mentre gli enti sociali – quali sono anche i partiti – hanno tale causa principalmente all’esterno, ossia mutano soprattutto adeguandosi all’ambiente in cui vivono. Il PD oggi, in atto, non è un partito che si pone come fine prioritario la giustizia sociale, in quanto ha saputo adattarsi efficacemente all’ambiente capitalistico. Per comprendere se lo potrà diventare, occorre appunto cercare di comprenderne l’essenza.
Per la comprensione di tale essenza ci si deve basare su alcune evidenze e su alcune riflessioni, le quali paiono univoche nel mostrare che il fine prioritario del PD sta sempre più diventando la ricerca del potere. La prioritaria attenzione ai risultati elettorali, la presenza crescente di figure “acchiappavoti”, la vicinanza agli industriali più che ai lavoratori, i crescenti attacchi al sindacato, lo stesso atteggiamento “padronale” di molti giovani leader, paiono segnali inequivocabili. Ora: poiché – come insegna ancora Aristotele – quando muta il fine di un ente ne muta anche l’essenza, difficilmente il PD potrà in breve tempo, salvo appunto trasformazioni strutturali, divenire un partito avente come fine la giustizia sociale (la quale è cosa differente dai famosi 80 euro, i quali peraltro sarebbero stati anche di più semplicemente rinnovando in modo impersonale contratti di lavoro scaduti da anni).
Per concludere, è possibile chiedersi: davvero i militanti PD devono disilludersi di vedere attuata, nel futuro prossimo, una seria politica di giustizia sociale? Se i segnali che ho sinteticamente evidenziato sono corretti – ma in queste analisi, come Aristotele sapeva bene, è sempre possibile sbagliare, ossia considerare essenziali elementi che non lo sono, così come non considerare elementi essenziali –, direi che non possono farsi molte illusioni. La possibilità, cioè, che l’attuale PD realizzi riforme di giustizia sociale, è grosso modo la medesima che ha un seme di rosa di trasformarsi in una palma. Ciò che non è nel fine non è infatti nemmeno nella essenza di un ente, dunque non è in potenza presente in esso, e pertanto non può realizzarsi in atto. Si tratta di una vera e propria impossibilità, che una maggiore dimestichezza con la filosofia classica insegnerebbe a riconoscere. Forse è anche per questo che le riforme della scuola degli ultimi vent’anni hanno tolto spazio alla filosofia.
Luca Grecchi