Giancarlo Chiariglione – «Il discepolato di Ernesto De Martino. Tra religione, filosofia e antropologia». Prefazione di Alberto Giovanni Biuso.

Ernesto De Martino 03

Giancarlo Chiariglione

Il discepolato di Ernesto De Martino

Tra religione, filosofia e antropologia

Prefazione di Alberto Giovanni Biuso

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Presto convintosi della potenza totalistica del sacro e che la religione è soprattutto un dramma, un’esperienza sia individuale che collettiva che implica un’azione, il giovane Ernesto De Martino, che aderisce dapprima al fascismo e poi al mito della Rivoluzione d’Ottobre, incontra nei suoi giorni e negli studi filosofi come Mircea Eliade, Jean-Jacques Rousseau, Antonio Gramsci, Georges Sorel e soprattutto Vittorio Macchioro, un uomo eclettico, geniale e vivente su molteplici confini culturali oltre che geografici che influenzerà come pochi altri pensatori la ricerca teorica del futuro autore di Sud e magia. Ebreo triestino, studioso dell’orfismo e autore di singolari scoperte in campo archeologico illuminate da riflessioni filosofiche, intuizioni antropologiche e vissuti religiosi, Macchioro, divenuto infine suocero di De Martino, avendo questi sposato la figlia Anna, pare infatti intuire quella deriva materialistico-economicistica e scientista che ci ha portati all’attuale mondo disincarnato, “liquido”, tanto che anche dopo la rottura consumatasi tra i due, gli studi dell’ex maestro e dell’ex discepolo, in una certa misura, saranno ancora orientati a definire, a indagare la decrepitezza di una società sempre più votata all’artificiale, alla spettacolarizzazione, alla depravazione più o meno raffinata.

 

 

Prefazione

Ernesto De Martino, «sciamano della razionalità» e «signore del limite»

di Alberto Giovanni Biuso

 

L’umano è un grumo di materia che si autocomprende. E lo fa in una molteplicità di forme e strumenti. Lo fa inventandosi dei significati, allo stesso modo in cui l’apparato percettivo si inventa i colori, gli odori, i sapori. Tra questi strumenti e forme, il più potente rimane probabilmente il sacro. Nessuna società e individuo possono infatti esistere senza la tensione costante verso un senso che superi l’andare mesto, meschino e mirabile dei giorni, senza un fulgore che riempia di gloria il tempo che siamo. Non importa il suo contenuto, importa la forma. E dunque il sacro può assumere le espressioni più diverse: un dio ma anche un amore, anche un progetto, anche una funzione, anche il denaro, anche il sapere. Religione è il legame di questi desideri con quelli di altri, con quelli vicini. Nulla a che fare con chiese e fedi trascendenti – forme anch’esse del sacro, certo ma non esclusive ed escludenti – e molto invece con l’immanenza del sentirsi ed essere vivi qui e ora.

Ernesto De Martino comprese la potenza totalistica del sacro e volle studiarla in espressioni tra loro diverse. Perché, come scrive giustamente Giancarlo Chiariglione, oggetto costante delle ricerche di De Martino fu «la fragile, caotica condizione dell’uomo in virtù della quale costui non sopravvivrebbe se non disponesse di quelle forme di protezione quali la religione, il mito e, appunto, la magia». L’attenzione verso il tarantismo salentino è parte di questo atteggiamento di acuta consapevolezza di ciò che davvero si muove nel profondo degli umani e dei gruppi. Il tarantismo infatti, scrive De Martino, «offriva, oltre i simboli del rosso e del fulgore delle armi, la possibilità di mimare scene di grandezza e di potenza, di successo e di gloria: ognuno poteva così rialzare la propria sorte tanto quanto la vita l’aveva abbassata, e viveva episodi che si configuravano come il rovescio della propria oscura esistenza».1 Un riscatto antropologico e semantico, assai più che sociale e per nulla economico.

A questa apertura metodologica e ricchezza di risultati De Martino giunse attraverso un lungo e intricato percorso che Chiariglione disegna in queste pagine in modo assai vivido. Partito da una concezione mistica del mondo, che lo fece aderire prima al fascismo e poi al mito della Rivoluzione d’Ottobre, De Martino incontrò nei suoi giorni e negli studi filosofi come Mircea Eliade, Jean-Jacques Rousseau, Antonio Gramsci e soprattutto Vittorio Macchioro, un singolare personaggio, un uomo eclettico e vivente su molteplici confini culturali oltre che geografici. Ebreo triestino, studioso dell’orfismo, archeologo, narratore, Macchioro divenne suocero di De Martino, avendo questi sposato la figlia Anna.

«Sciamano impotente», questa la definizione che Chiariglione ne dà, Macchioro fu per De Martino maestro dell’essenziale, del senso, della potenza del mondo, e tale rimase anche quando da lui prese le distanze seguendo altre strade e diventando uno «sciamano della razionalità in grado di portare a compimento quell’esorcismo solenne della ragione tradizionale non riuscito pienamente a studiosi come Freud e Jung».

E infatti per De Martino la Terra del rimorso è certamente la Puglia, nella quale fu vivo il simbolismo della taranta che morde e avvelena ma il cui morso può essere sconfitto dalla forza della musica, del canto, della danza e dei colori. La Terra del rimorso è anche l’intero Sud d’Italia, nel quale il passato torna ogni volta a mordere con il suo peso di ingiustizia, di violenza, di povera e cupa umanità rispetto al Sole accecante che la sovrasta. La Terra del rimorso è infine e soprattutto la terra tutta, è l’intero pianeta abitato dagli umani, che torna ogni volta a sentire il morso dell’orrore d’esserci e in molti modi cerca di liberarsene.

Al di là dei temi e degli ambienti che costituiscono i suoi specifici oggetti d’indagine, l’etnografia di De Martino assume un significato sempre universale, toccando i temi del tempo nel quale gli umani sono immersi insieme alla Terra intera, non sopra o dentro la Terra ma proprio insieme. E in questo modo lo studioso della magia, della taranta e del furore «diventa una sorta di Signore del limite; va via via ad acquisire un ruolo “esoterico-redentore-trasformatore” che solo una figura carismatica come lo sciamano può incarnare».

Aver mostrato il nucleo antropologico e insieme sacrale dal quale la ricerca di De Martino muove è forse il pregio maggiore della empatica e lucida analisi che Chiariglione ha dedicato a uno dei più significativi e fecondi studiosi che la recente cultura europea abbia nutrito.

 

1 E. De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano 19763, p. 170.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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